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Il problema delle Sette ed il modo con cui colpiscono PDF Stampa E-mail

Il problema delle Sette ed il modo con cui colpisceIL PROBLEMA DELLE SETTE ED IL MODO CON CUI COLPISCE (...) N. A. è un MOVIMENTO basato sulla forza dello Spirito Manifestato nella Volontà, la Concordia ed il Lavoro e nello studio, la riflessione, la comprensione del Giusto, del Buono e del Bello, come lo raccomandava il divino Platone. N. A. non pretende di essere una religione né una panacea ma un Centro al servizio dell'Umanità e che obbedisce alle divinità che ci reggono. Benché queste ragioni ed altre simili ci sembrano chiare, è evidente che il mondo, soprattutto quello del giornalismo che sempre è in cerca del sensazionale, ha per abitudine di includerci direttamente nelle "sette". (Rivista Le Bastion, Nuova Acropoli, 1993). D'altra parte, le accuse portate sulla setta e le eventuali condanne sono rimaneggiate a vantaggio della setta e presentate al soggetto come delle persecuzioni del gruppo che è nel suo diritto.

Le accuse di lavaggio di cervello o di "controllo mentale", (un termine oggi alla moda), con la paura e la collera  che questi termini suscitano, sono spesso utilizzati contro i Nuovi Movimenti Religiosi di piccola taglia e vulnerabili. Per quelli che sono ostili nei riguardi degli individui che hanno adottato una nuova fede, la teoria del controllo mentale offre una spiegazione pratica e plausibile come pure una buona scusa per prendere delle misure punitive nei loro riguardi. D'altronde, questo permette a quelli che decidono di lasciare un nuovo Movimento religioso per ritornare alla vita secolare, di rigettare la responsabilità di atti che potrebbero ora imbarazzarli.

E' così che si perpetua il mito del controllo mentale. (Documento La nostra professione di fede, La Famiglia, 1992). - la legge è considerata come incompatibile con gli interessi del gruppo. Essa non risponde delle caratteristiche che permettono la diffusione e la realizzazione di quest'ultimo e sono condannate come tali. Questo tipo di approccio emargina il gruppo che ha l'opinione di essere maestro di quello che è buono e di rifiutare di sottomettersi a delle leggi persecutorie. La società in un vicolo cieco Nonostante che i vecchi modelli e gli antichi discorsi persistono. L'elogio di soluzioni, di concezioni e di teorie inadatte ai tempi nuovi occupa cinicamente l'avanscena. Un numero sempre più grande di persone risentono che la società è in un vicolo cieco e l'incertezza dell'indomani vince gli spiriti. (Trattato Le ragioni dell'Ira, Il Movimento). - la visone stereotipata dei membri del gruppo nei riguardi del mondo esterno; Le persone che attaccano la Scientologia sono dei criminali ... Il meno che si possa dire dei gruppi che ci attaccano è che sono dementi. (Lettera di Regolamento, L. R. H., Scientologia, 1966). Si ritrovano qui le caratteristiche che permettono al gruppo di singolarizzarsi e di affermarsi come differente da quello che si pone al di là delle sue frontiere. La visione manichea costituisce in questa prospettiva una delle tecniche di predilezione per marcare la singolarità, come pure una vita del gruppo ed una identità chiuse alle persone che non fanno parte del gruppo. Più il gruppo è marginale, più esso si allontana dalla norma e di conseguenza più si scarta il soggetto da una possibilità di avvicinamento con delle persone esterne al gruppo.

CONCLUSIONE La comunicazione riuscita presuppone l'esistenza di impegni comuni tra gli interlocutori. Lo scambio esiste certamente tra l'individuo e la setta - durante il periodo di reclutamento chiaramente - ma gli impegni che lo motivano non sono condivisi dalle due parti. Ognuno vorrebbe trovare nell'altro, ma senza l'altro, quello che è venuto a cercare accettando di stabilire il dialogo. L'alterità così messa a male non va senza porre la questione fondamentale del tipo di negoziazione investito per servire la relazione. Se una negoziazione esiste, essa è ineguale e menzognera. La setta cerca meno nello scambiare che nel giustificare la validità delle proposte cui essa tiene e nel persuaderne il suo interlocutore. Essa cerca meno la costruzione di un territorio comune che nel dare l'illusione di un consenso. Da una parte, il manipolatore conosce l'impegno dello scambio: fare aderire. Per darsi tutte le possibilità di raggiungere il suo obiettivo, egli mobilita tra le altre cose i mezzi di ragionamento e di argomentazione che servono al suo oggetto. Egli sa come destabilizzare, sedurre ed influenzare il suo interlocutore. E dall'altro lato, vi è precisamente l'altro, che non percepisce di colpo la malevolenza del primo, poiché esso non è da nessuna parte sparso con degli indizi, e che nella sua fiducia eccessiva non chiede che di credere alle proposte che gli sono sottoposte. Egli riceve, senza coscienza dell'impegno vero del gioco al quale si presta. Per lui, nessuno stratagemma, nessuna tecnica predefinita per agire sull'altro.

Egli è guidato senza saperlo nello scambio, e l'uscita della comunicazione deve condurlo ad una situazione di strada cieca logica ed emozionale. Si può riassumere la negoziazione tra i due interlocutori ad una situazione di diktat, decisione unilaterale implicita che deve condurre all'approvazione del più debole alle proposte del più forte. Se la negoziazione sottintende l'idea di un conflitto da disarmare, non è con concessioni vicendevoli che si opera ma con l'abdicazione di colui che non può valutare la legittimità di quello che gli perviene senza avere i mezzi di difendersi con lo stesso genere di investigazione degli utensili della lingua. Lo sfruttamento della situazione di squilibrio è più pietoso ancora quando l'individuo è affiliato al gruppo. In questo caso, la negoziazione si riassume in termini di minacce, rese pertinenti grazie alla gerarchia inerente la struttura settaria. Gli impegni anche sono cambiati. Questa volta, l'individuo cerca di convincersi del fondamento della sua presenza e dei benefici che può trarne. Egli è pronto a pagare il prezzo forte per evitare una situazione in dissonanza alla quale egli pensa di non poter far fronte. La sottomissione all'autorità o meno, in gioco nella negoziazione, è ugualmente tributaria della credibilità e della fiducia che l'individuo attribuisce alla persona che gli fa fronte. Il potere carismatico del guru gli serve nella condivisione dei compromessi. Comunicare col mondo esteriore è un'impresa pericolosa per l'adepto ed il suo ambiente familiare e sociale. Le loro proposte non sono ermetiche, come i loro discorsi lo lascia talvolta pensare, esse non fanno che sfruttare il linguaggio nei limiti che permettono alle credenze ed ai valori della setta di rimanere coerenti.

E se la setta vi è per molto in questo linguaggio ridotto, l'adepto stesso tenta di valorizzare quello nel quale si è impegnato, non esclusivamente per paura delle rimostranze, ma al fine di persuadersi lui stesso della pertinenza della sua scelta, la cui rimessa in gioco significa anche, non lo dimentichiamo, una nuova rottura di ripari ed una reintegrazione mai facile in una società da cui è stato tenuto lontano. D'altronde, i giudizi peggiorativi con cui la setta alimenta il suo discorso contribuiscono a creare una relazione conflittuale tra l'adepto e l'esterno. Bisogna mettersi al suo posto; la prospettiva del mondo che gli si propone è colma di pregiudizi e di stereotipi che compromettono la voglia di un confronto pacifico all'altro. In questo contesto, la comunicazione che è portata a stabilire col suo ambiente non può essere che conflittuale, nel momento in cui egli non ha l'indietreggiamento necessario per fare la parte delle cose tra la realtà effettiva e la rappresentazione tronca che la setta gli propone da questa stessa realtà. Lo scambio che egli stabilisce con le persone che non appartengono al gruppo settario si attualizza sotto forma di un rapporto di forza. Ogni interlocutore tenta di imporre il suo proprio punto di vista all'altro. Non ci si comprende, si rifiuta di prendere in considerazione le proposte ed il vissuto dell'altro. Le regole della comunicazione sono biascicate. Le successive sconfitte scatenano allora dei meccanismi di difesa, che si materializzano con un discorso offensivo fatto di accuse, di minacce, di rimproveri, di reazioni da evitare, di silenzi. La responsabilità incombente ad ognuno si sintetizza nella nozione di alterità, che deve condurre a prendere coscienza che l'altro non è un secondo me stesso, non pensa come me, ma al contrario è una persona ricca di esperienze e di credenze che gli sono proprie. La lingua mi permette tanto di dire all'altro quello che penso quanto di accedere ai pensieri che l'altro mi confida. Tutta la forza della comunicazione è di stabilire un territorio comune che permetta di costruire, ma di costruire insieme. La lingua ne è senza dubbio il mezzo privilegiato.

Laetitia Schlesser - Gamelin "IL LINGUAGGIO DELLE SETTE SVELARE I TRANELLI"

 
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