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Newton e la «Crociata massonica del Settecento» PDF Stampa E-mail

Newton e la «Crociata massonica del Settecento»Isaac Newton (1642 - 1727)Un aspetto in genere molto sottovalutato della personalità di Newton, che tuttavia sta venendo a galla in modo sempre più evidente, anche in base alla pubblicazione di alcuni suoi manoscritti segreti (1), è il vivo interesse che questo scienziato nutrì per la cosiddetta «sapientia veteres». Interesse che tanto influì nella determinazione delle sue principali scoperte scientifiche, fra le quali la famosa legge di gravitazione universale, che egli giustificò: «in uno scolio classico ai Principia, sulla base di considerazioni musicali, e di cui attribuì la scoperta a Pitagora stesso!» (2). Fu proprio dallo sfondo mitologico del pitagorismo che lo scienziato prese ispirazione per la soluzione dei molti problemi scientifici affrontati fin dagli anni giovanili di Woolsthorpe. La propensione di Newton ad attingere dal passato conoscenze recondite ed obliate, secondo una tendenza tipicamente rinascimentale, lo indusse a ricercare il senso nascosto delle Sacre Scritture,  ...

... non alla luce dello Spirito Santo, ma esaminandole mediante vere e proprie regole interpretative (3).   Questo tentativo di elaborare un’esegesi biblica del tutto personale non poteva che portarlo fuori strada, sfociando cioè nella violazione dei canoni propri dell’ortodossia religiosa. A tale proposito, Thomas Hearne, che lo conobbe bene, scrisse che: «Sir Isaac, anche se fu un grande matematico, fu un uomo poco religioso, tanto più che si schierò con gli eretici dell’epoca». Nonostante il suo proclamato arianesimo, credenza non certo in voga nell’Inghilterra puritana del settecento, Newton bruciò le tappe di un’ammirabile carriera, iniziata con la nomina di fellow al Trinity College di Cambridge. E culminata, nel 1669, con la cattedra di Lucasian Professor di matematica, ottenuta sotto una specialissima dispensa del re Carlo II che lo esonerava dall’obbligo di prendere gli ordini religiosi. Il suo maestro e predecessore Isaac Barrow, infatti, era stato anche Cappellano reale. Dal punto di vista politico, le sue posizioni nettamente contrarie a quelle della fazione cattolica e tory, che auspicava la restaurazione della monarchia degli Stuart, gli valsero l’elezione, nel 1689, dopo la caduta degli stessi Stuart, a deputato nel Parlamento inglese, nelle file «progressiste» dei Whig. In seguito, ricevette la nomina a direttore della Zecca Reale, carica che svolse con zelo persino eccessivo, dal momento che, per crimini contro il conio, mandò alla forca ventotto persone.

Tra queste, un tale William Chaloner, che aveva osato indicare nello stesso Newton ed in altri eminenti burocrati i veri responsabili delle contraffazioni e degli abusi commessi all’interno della Zecca. Newton ricoprì anche la carica di Presidente della Royal Society, che mantenne per ventiquattro anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1727. Persino negli ultimi istanti di vita, Newton manifestò alla nipote, in piena coscienza, la sua avversione a Dio ed alla Chiesa, rifiutando il sacramento dell’estrema unzione. Rifiuto che tuttavia non dovette facilitargli il fatidico transito, se è vero che: «Il dolore salì a tale livello che, con meraviglia dei presenti, il letto sotto di lui e la stanza stessa furono scossi dai suoi spasimi; tale fu la lotta che la sua grande anima sostenne nel lasciare il suo involucro terreno» (4). Abbiamo rapidamente richiamato alcuni aspetti relativi alla vita pubblica di Newton, per mettere in evidenza quelli privati, non così ragguardevoli, che tuttavia sono di primaria importanza per comprendere il senso intimo della sua produzione scientifica. Spesso infatti si tende a credere che il formalismo fisico-matematico che conforta teorie e modelli scientifici sia del tutto asettico, privo cioè di influssi e condizionamenti ideologici dello scienziato che lo ha elaborato. Ma tale credenza costituisce un deprecabile, quanto diffuso inganno, dal momento che, in realtà, è la fede privata, più o meno manifesta, degli scienziati a guidare ed a determinare gli indirizzi della loro ricerca scientifica. E l’ideologia che domina e al tempo stesso si trasmette nelle più importanti teorie elaborate dalla scienza moderna è il pitagorismo, con tutti i suoi risvolti mistici. Non solo Pitagora, dunque, ma anche Ermete.

In questo senso, Newton fu il padre, oltre che della fisica classica, anche dell’ormai generale tendenza «metodologica» di trasmettere attraverso la scienza manifesta una dottrina privata. Da buon pitagorico infatti egli riuscì a dissimulare le sue manie segrete, che investivano la sfera magica della natura, dalle quali tuttavia attingeva continuamente per orientare le sue indagini razionali, ed anche le sue norme etiche. Indicative tracce di queste ricerche esoteriche traspaiono, come dicevamo all’inizio, dai suoi manoscritti ancora inediti. Questi scritti, «che ammontano a un milione di parole, costituirono un vero e proprio scandalo. Essi furono universalmente rifiutati, in varie riprese: dalla Royal Society, dal British Museum e da molte università, comprese Harward e Princetown. Venduti all’asta nel 1936, giacciono ora a Cambridge e Gerusalemme, in massima parte inediti», afferma ancora Odifreddi (5). Non è difficile comprendere per quale ragione siano ancora censurati i codici di colui «che per ingegno ha superato ogni altro uomo» (6), alla luce del vivo interesse che questo personaggio nutrì per la filosofia occulta, ed in particolare per la disciplina alchemica. Sembra proprio che l’arte arcaica del «solve et coagula», e non l’indagine fisico-matematica della natura, costituisse l’interesse primario al quale Newton conformò anche la propria etica, che a riguardo scrisse: «Coloro che vanno alla ricerca della pietra filosofale [sono] per le loro stesse regole tenuti a [condurre] una vita severa e religiosa» (7). Alchimia dunque intesa non secondo i canoni comuni, che la interpretano come una pittoresca attività di manipolazione dei metalli, ordinata alla preparazione dell’elisir di lunga vita o di altre apparenti assurdità. Ma secondo un significato più profondo, celato da un linguaggio altamente simbolico, che la designa invece come disciplina mistica, finalizzata alla trasformazione della pietra grezza in oro, ossia dell’uomo profano in presunto «mago», in possesso delle conoscenze che consentirebbero di interagire con gli aspetti più intimi della natura.

Questo significato simbolico - riconosciuto da «tutti gli alchimisti [i quali] dichiarano che la loro Arte è una pratica esoterica che persegue scopi analoghi o affini a quelli delle grandi tradizioni esoteriche e mistiche» (8) - è riconducibile alla teoria della «Coincidentia oppositorum», tipica espressione rinascimentale dell’immanentismo neoplatonico, ed alla simpatia universale, presunta causa del legame profondo che nella visione magico-dialettica collegherebbe tutto con tutto. Dicevamo che gli interessi esoterici di Newton ebbero molta influenza nel determinare la nota prospettiva scientifica da lui proposta. Peraltro, non siamo i soli a sostenere che per definire una dinamica celeste formalmente corretta: «Newton si era servito di immagini e concetti tratti dai suoi studi alchemici e dalle ricerche sull’antica teologia; poi per completare il processo, aveva escogitato esperimenti replicabili estrapolando infine il suo concetto della gravità e giungendo a una descrizione rivoluzionaria della gravitazione universale» (9). A monte del lavoro scientifico di Newton è dunque presente una concezione mitica dell’universo, che diventa ancora più evidente nella sua importanza, se si considera che, come egli stesso ammette, proprio dalla cosmogonia pitagorica prese avvio la sua famosa legge di gravitazione universale, che: «Pitagora aveva scoperto e poi occultato; i suoi seguaci se l’erano tramandata in formule criptiche per sottrarla alle irrisioni del volgo. Le immagini del Sole come Apollo Musagete che suona la lira dalle sette corde, o come Pan che soffia al suo flauto dalle sette canne erano, evidentemente, un’allegoria del sistema eliocentrico con i sette pianeti» (10). Sempre in questa prospettiva mitologica, Newton giunse alla convinzione che non solo Pitagora aveva ricevuto il bagaglio delle conoscenze segrete direttamente da Mosè. Ma che addirittura: «A Noè e ai suoi figli era stata rivelata da Dio la filosofia eliocentrica, che Copernico riscoprirà molte generazioni dopo.

Ma questa sapienza si era persa a causa di falsi interpreti» (11). Questa significativa affermazione indica che l’adesione dello scienziato inglese all’eliocentrismo è riconducibile ad una causa innanzitutto metafisica e religiosa, successivamente tradotta in rigorosi termini fisico-matematici. Infatti, se Newton era fermamente convinto che la teoria eliocentrica fosse frutto di una rivelazione divina, allora non poteva che accettarla al pari di una verità rivelata, una sorta di dogma naturalistico, da sostenere con tutta la forza del razionalismo geometrico. In base a questo suo personale convincimento, Newton non poteva che far corrispondere la Chiesa cattolica alla «falsa immagine» e alla «Meretrice di Babilonia», unica responsabile della degenerazione del «divino» eliocentrismo, avvenuta nei lunghi secoli medievali, durante i quali il magistero ecclesiastico aveva appoggiato la dottrina geocentrica, con i suoi sviluppi metafisici fondati sul realismo moderato di San Tommaso d’Aquino. Nella sua essenza profonda, l’opera scientifica di Newton può dunque essere intesa come una tendenza a riportare in auge il corpus delle più occultate credenze pitagoriche, attraverso i nuovi canoni dell’indagine quantitativa: «Per Newton la sua legge della gravitazione universale non era altro che la rinascita più autentica del Pitagorismo, e certamente non era l’unico a scorgere in esso l’unità della scienza e della conoscenza, della politica e dell’etica, della religione, la dimensione essoterica e dell’esoterica: l’iniziazione.

Lo dimostrò col silenzio, davvero pitagorico, con cui avvolse i decenni di studi alchemici» (12). E’ curioso peraltro notare che i padri della cosiddetta scienza moderna, i «preti della natura» per usare un’espressione di Boyle, nel presentare le loro opere intrise di teologia naturalistica si appellarono a filosofi del passato, alquanto obliati, come a voler segnare un tratto di continuità con quel passato remoto, più che un solco di rottura con quello del sapere vigente. Ad esempio, Copernico si richiamò ad Aristarco, e di passaggio anche ad Ermete; Galilei fondò la sua indagine su Archimede. Lo stesso Newton: «All’inizio della prefazione dei Principia esce nella famosa quanto lapidaria affermazione: gli antichi, come dice Pappo, nelle investigazioni della natura fecero il massimo conto della meccanica. Fra le qualità occulte, e le forme sostanziali degli scolastici, e la scienza moderna di Galilei e Newton, stanno, solenni, i libri di Archimede e di Pappo» (13). Proprio i riferimenti alle più antiche credenze e attinenze magiche della realtà, sembrano costituire il fulcro degli inediti newtoniani, sui quali giace ancora un imbarazzato riserbo. Consideriamo infatti che verso la fine del 1600 stavano prendendo piede in tutta Europa, e non solo nelle fasce popolari della società, superstizioni collegate a pratiche divinatorie ed evocatorie del tutto incredibili.

Persino personaggi del calibro di Robert Boyle, insieme ad altri illustri membri della Royal Society londinese: «non avevano alcun dubbio sul fatto che spiriti disincarnati, streghe e demoni producessero degli effetti sul mondo della natura» (14). Non disgiungendo dunque il mondo naturale da quello impalpabile, nel quale aleggiano esseri soprannaturali, «gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti», ai quali allude San Paolo (Ef 6, 12), erano molti i «preti della natura» che trovavano del tutto legittimo interpretare il mondo fisico non solo dal punto di vista sensibile e quantitativo. Sempre Boyle, infatti, scrisse che credere all’azione degli spiriti nell’ambito naturale era addirittura utile per la teologia, in quanto: «L’esistenza di esseri intelligenti che non sono comunemente visibili contribuisce in maniera determinante a redimere gli atei» (15). Nessuna sorpresa allora se lo stesso Newton potesse condividere l’idea che il «Corpus Hermeticum» «fosse stato ‘trasmesso’ all’umanità da entità soprannaturali» (16). Ovvero, da spiriti disincarnati, in grado di rispondere in modo tangibile, attraverso i canoni del rito e del sacrificio, ad opportune evocazioni ed invocazioni, finalizzate a promuovere e a «guidare» nel corso dei secoli una presunta evoluzione conoscitiva e spirituale dell’intera umanità (17). Questa affermazione, anche se mirabolante, non deve stupire più di tanto. Non sono mancate autorevoli attestazioni anche nell’ambito della cultura ufficiale, in ordine alla possibilità che tali contatti siano effettivamente perseguibili, e perseguiti. Senza compromettersi più di tanto, lo stesso Kant non esitò a dichiarare che: «Si giungerà un giorno a dimostrare che l’anima umana vive in una stretta unione con le nature immateriali del mondo degli spiriti; che questo mondo agisce sul nostro e gli comunica impressioni profonde» (18). San Tommaso peraltro avverte che i demoni sono in grado di stabilire relazioni tangibili con gli uomini, e che possono anche trasmettere delle mezze verità: «così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24, 24). Testualmente: «L’insegnamento che i demoni impartiscono ai loro profeti contiene delle verità che lo rendono suscettibile di accettazione: poiché l’intelletto si lascia condurre alla falsità dall’apparenza della verità, come la volontà si lascia trascinare al male dall’apparenza del bene» (19). Non costituisce peraltro una novità che Newton fosse scienziato pubblico ed alchimista privato, se non per il «peso» da attribuire a tale attestazione. Betty Teeter Doobs, dopo aver studiato a fondo il poco evidenziato interesse alchemico dello scienziato inglese, è giunta alla conclusione che egli sperimentò: «tutte le operazioni dell’antica alchimia, così come non si era mai fatto prima né si farà dopo di lui» (20). Stando a questa affermazione, Newton perseguì un alto grado di iniziazione alchemica, che gli consentì di svolgere un ruolo centrale non solo nell’ambito scientifico, ma soprattutto in quello iniziatico, considerando anche il fatto che in quel periodo la linea di separazione fra scienza e magia, pur se declamata, non era ancora stata demarcata con chiarezza.

Tuttavia, che Newton avesse una base di sostenitori ed epigoni in campo iniziatico, si deduce anche dal fatto che egli giunse addirittura ad interrompere «la composizione dei Principia nella primavera del 1686 per eseguire alcuni esperimenti alchemici» (21). Forse questi esperimenti alchemici non furono di natura strettamente formale e metallurgica, come potrebbe apparire a prima vista. E’ probabile infatti che dal punto di vista simbolico questi «esperimenti» rispondessero alle richieste di trasformazione strutturale che si erano evidenziate all’interno delle corporazioni segrete, che in quel periodo operavano efficacemente in Londra. Già dagli anni Trenta del Seicento infatti iniziarono le aperture delle logge a persone estranee all’arte muratoria: «e forse non è un caso che si trattasse di personalità con interessi ermetici ed alchemici» (22). Giorgio Galli fa inoltre notare che il 1686 è proprio l’anno nel quale le logge massoniche, trasformandosi da operative a speculative, aprirono i portali della conoscenza iniziatica anche ai non appartenenti alla professione muratoria. Un esperimento, questo, di trasformazione intima. Un esperimento alchemico, dunque, al quale potrebbe benissimo aver preso parte, se non addirittura diretto, il padre della dinamica celeste, l’ispiratore della nuova filosofia naturale. E’ peraltro noto che questa rivoluzione massonica, che corrispose ad una vera e propria metamorfosi interna alla corporazione muratoria, culminò il 24 giugno del 1717, con la fusione delle quattro Logge di Londra nella Grande Loggia Madre del Mondo.

E che uno dei principali fautori di tale svolta, fu John Theophilus Desaguliers (1683-1774), figlio di un pastore protestante francese rifugiatosi in Inghilterra per motivi religiosi: «amico intimo di Newton, membro della Royal Society, e divulgatore delle dottrine newtoniane» (23). Desaguliers si ispirò costantemente alla dottrina di Newton, per legittimare solo quel governo che si conformasse alle leggi della natura ed al suo sistema d’equilibrio, indicando nell’opera scientifica di Newton, in particolare nella legge di gravitazione pitagorica, la filosofia necessaria per mantenere stabilmente i nuovi equilibri sociali, culturali, e religiosi che si stavano delineando in funzione della democratizzazione sociale proclamata dalle norme massoniche. Dopo essere stato accolto nella Royal Society, nel 1714, sotto l’egida di Newton, che in quegli anni ricopriva la carica di presidente, Desaguliers venne eletto Gran Maestro della Loggia Inglese, nel 1719. Sotto la sua guida, la Gran Loggia di Londra e la massoneria si svilupparono in modo «sorprendente» nelle isole britanniche, al punto che «nel 1740 le logge erano già più di 180» (24). Questo notevole sviluppo fu reso possibile anche grazie ai legami ed alle corrispondenze che Desaguliers riuscì a stabilire fra massoneria, nobiltà, ed i quadri dirigenti del governo, dai quali ottenne favori che seppe ricambiare prontamente. Come quando, ad esempio, nel 1737, conferì come segno di riconoscenza i due primi gradi massonici a Federico, principe di Galles. Già da questi brevi cenni, appaiono strette le aderenze e connessioni che si instaurarono fra la nascente massoneria inglese e la appena costituita Royal Society. Infatti, non solo è stato ampiamente riconosciuto che le prime logge inglesi fossero molto vicine agli ambienti della suddetta Società, ma anche che «la nascita di una tradizione massonica, tra fine XVII e inizio XVIII secolo, fosse legata al diffondersi della ‘nuova scienza’, cioè dell’ideologia newtoniana e alla creazione della nuova immagine della natura legata alle scoperte scientifiche di Isaac Newton» (25). È anche noto che la Royal Society, fondata nel 1660 sotto gli auspici di Carlo II Stuart, traeva origine dal «Collegio Invisibile», istituito a Londra nel 1645 da Boyle e Locke, che a sua volta discendeva dalla segretissima setta dei Rosacroce, insediatasi a Londra fin dal 1610.

Sottolineiamo in proposito che il luogo nel quale «più venivano praticati gli studi sulla religione dei druidi, sull’ebraismo, sul celtismo e sui culti solari era quello della Royal Society di Londra, che come abbiamo visto era contiguo allo spazio massonico» (26). Peraltro, è interessante notare ancora che: «a istituire la Royal Society furono i massoni … ed in pratica i primi appartenenti alla Royal Society erano tutti massoni» (27). Molti dei quali, seguendo le utopie ideologiche di Francesco Bacone, si prodigavano a divulgare ed esaltare i risultati dell’indagine scientifica newtoniana, perché questa tornava molto utile al «cosiddetto Illuminismo radicale inglese che più contribuì a trasferire i risultati delle esperienze scientifiche di Newton all’interno del nuovo ordine politico» (28), ed alla nascente massoneria. Questa capillare e tenace trasfusione di conclusioni scientifiche all’interno dei quadri socio-culturali settecenteschi si realizzava nonostante la pressione contraria esercitata dalla Controriforma, dal calvinismo e, sul piano filosofico, dal cartesianesimo, che in quel tempo ancora imperava nel resto dell’Europa. Il newtonianesimo, con la sua famosa affermazione «hypotheses non fingo», divenuto motto per l’intero illuminismo, costituì dunque l’autorevole legittimazione della strategia culturale massonica, che andò determinandosi e consolidandosi sempre più, nel corso del settecento inglese. Abbiamo già fatto riferimento alla convinzione di Newton riguardo alla cosmologia geocentrica, che egli riteneva non solo errata, ma addirittura blasfema, perché contraria a quella eliocentrica, rivelata direttamente da Dio a Noè ed ai suoi discendenti. Sulle linee di questo pseudo misticismo decisamente antitrinitario, lo stesso scienziato riteneva di avere individuato: «la prima vera religione nel culto delle vestali, nel quale si adorava il Dio della Natura in un tempio costruito a immagine del sistema solare» (29). L’arcaico tempio circolare di Vesta, costruito intorno a un fuoco centrale, perennemente acceso, circondato da sette lampade, rappresentava simbolicamente il sole e i sette pianeti orbitanti. E colui che a distanza di migliaia di anni era riuscito a scoprire ed a tradurre in termini analitici la legge occulta che reggeva questo sistema sacro era proprio il «prete della natura» Newton, novello Pitagora, redivivo Ermete.

Peraltro, l’arcinota legge di gravitazione universale, che attribuisce la forza maggiore alla massa maggiore, senza tuttavia chiarire cosa debba intendersi per forza che agisce a distanza, senza contatto diretto fra i corpi, lasciò perplessi molti suoi contemporanei, che intravidero nell’idea di forza di Newton un richiamo «alle simpatie ed antipatie segrete che si trovano nella letteratura occultista rinascimentale» (30). Ma per quanto riguarda la legge gravitazionale newtoniana è stato addirittura rilevato che: «Quasi fosse il castigo di un peccato originale, questa legge potrebbe segnare l’antro di un girone dantesco in cui ‘sia bramoso ognun dell’altrui stanza’. Infatti, senza eccezioni, i corpi lontani sono sospinti l’uno contro l’altro per distruggersi in uno scontro frontale, oppure sono costretti a fronteggiarsi come in una sfida, girandosi attorno e scrutandosi fino a perdersi in un abbraccio mortale o allontanarsi in cerca di altre prede» (31). Di certo, l’immagine che deriva da questa legge pitagorica assume tinte sconfortanti, dal momento che implica un mondo dominato da un perenne ed immotivato dinamismo, del tutto slacciato da ogni fine trascendente, e da ogni rapporto con quell’«altissimo onnipotente bon Signore» decantato in modo estatico, nel momento del più acuto dolore, della più cruda sofferenza, dal serafico Francesco. Il contrasto fra queste due concezioni del mondo è tuttavia evidente. Il Dio-padre cristiano infatti possiede connotati estremamente rasserenanti, che contrastano con i caratteri formali ed asettici dell’architetto universale, il kosmokrator (signore del cosmo), al quale allude la dottrina pitagorico-newtoniana. Di conseguenza, il modello cristiano del mondo, da ridefinire e da non confondere con quello medievale geocentrico, non può rispecchiarsi nell’immagine cosmologica proposta dalla scienza pitagorico-massonica, sulla base dei lavori dei suoi padri fondatori, fortemente condizionati da una dottrina immanentistica, che di principio esclude ogni teleologia ed ogni legame causale con il Creatore di «tutte le cose visibili ed invisibili». Ma il suddetto contrasto, si determina già a partire dai principi filosofici che stanno alla loro base. Infatti, all’interno della metafisica scolastica, l’analisi del movimento naturale conduce direttamente alla dimostrazione dell’esistenza di Dio, per il semplice motivo che: se tutto ciò che si muove, è «mosso», deve allora necessariamente esistere una Causa Prima, il cosiddetto Motore Immobile (32).

La filosofia naturale newtoniana conduce invece alla conclusione contraria, in quanto Dio viene ridotto ad un’ipotesi cosmologica non necessaria. Difatti, sulla base del primo principio della dinamica, i moti e lo stesso universo si manterrebbero da sé (33). Occorre peraltro sottolineare che la legge di inerzia di Newton non è evidente, né dimostrabile, se non idealmente, dal momento che nel concreto universo curvilineo non possono esistere moti rettilinei: «il nostro moto rettilineo uniforme è tale solo rispetto a un sistema di riferimento (la Terra) che è in moto non uniforme … Non abbiamo dunque un autentico esperimento sul principio d’inerzia, ma solo un caso di moto relativo ad un sistema di riferimento» (34). D’altra parte, Newton ha proposto una prospettiva cosmologica del tutto inconsueta e bizzarra. Interessato unicamente alle traiettorie geometriche dei corpi celesti, lo scienziato inglese è riuscito ad oscurare tutto il quadro armonico elaborato dalla filosofia cristiana che rende l’universo, di per sé incomprensibile, un cosmo ordinato a Dio ed all’uomo. Per comprendere meglio: cosa diremmo di uno spettatore che assistendo ad una partita di calcio si interessasse solo delle traiettorie geometriche tracciate dal pallone, ignorando tutto il resto: i giocatori, il gioco di squadra, le marcature, persino il senso stesso del gioco? Fino a che punto avrebbero valore i tentativi di questo singolare spettatore di risalire alle regole ed allo scopo di questo sport, considerando unicamente le linee spezzate tracciate dal pallone? Anche chi non si è mai interessato a questo sport, sorriderebbe di fronte a tale pretesa. Eppure, paradosso a parte, Newton sembra essersi comportato proprio così.

E molti dei suoi epigoni, fidandosi del rigore geometrico delle sue opere, dell’autorità e del carisma che emanano da tale personaggio ormai contornato dalle aureole del mito, continuano a comportarsi in modo altrettanto singolare. Ancora essi trascurano la finalità propria di ogni movimento, il punto di vista generale del mutamento, ovvero il passaggio dalla potenza all’atto, il realizzarsi cioè del fine ultimo degli enti in transito nel tempo. Finalità che corrisponde ad elevazione, ad innalzamento della dimensione fisica alla luce di quella trascendente. Ascensione realizzata, dimostrata e promessa ai suoi fedeli da Cristo, vincitore del mondo e delle sue leggi, anche naturali. Proprio nella struttura cosmologica newtoniana, dominata dal rigore esasperante imposto dalla forza di gravitazione pitagorica, diretta sempre verso il basso, non poteva che trovare un adeguato campo di azione la sua radice spirituale, assai cara a quegli arconti primordiali regolatori degli astri e dei pianeti, del tutto estranei al cosmo teologico e teleologico, tempio universale, «Hortus conclusus», centrato nella gloria di un Dio che è innanzitutto Padre, prima che Signore del mondo. Si presenta dunque come una diretta conseguenza dei successi della filosofia di Newton, l’onda positivistica che di lì a poco si sarebbe sollevata anche sulla base delle opere di Saint-Simon, realizzando così l’atteso parto di quel “mondo nuovo”, egizio, emancipato dai vincoli della tradizione cristiana, profetizzato dai vari Bruno, Campanella, eccetera. Senza escludere, in questo processo di sollevamento e di emancipazione collettiva, l’ascendente decisivo esercitato dalla filosofia democratica di Locke, espressa nel «Trattato sul governo», dalla quale presero ispirazione ed avvio le rivoluzioni sociali americana, nel 1776, e francese, nel 1789.

Tutto questo fermento «alchemico» di matrice newtoniana frantumò, per dirla alla Hegel, la rigidità delle categorie sociali che contrapponevano in modo dualistico classe a classe, popolo a popolo, rimettendo in moto «il fluire della Natura» e la storia stessa delle Nazioni, secondo linee confacenti alla nascente massoneria speculativa. Come non sottolineare allora che la rivoluzione dalla quale prese inizio il processo di sovvertimento delle categorie sociali e religiose settecentesche fu innanzitutto quella newtoniana, sviluppatasi all’interno dell’ambigua Royal Society, che proponeva quadri regolatori del mondo in piena sintonia con quelli massonici. Infatti, «non è un caso che le principali accademie scientifiche nel continente furono emanazione e nacquero comunque per impulso delle logge massoniche … Fu così per la progettata accademia delle scienze a Napoli, e per la Reale Accademia delle Scienze di Torino» (36). Pertanto, solo quando la rivoluzione pitagorica newtoniana si affermò, sulla base della potente propaganda messa in atto a partire dalle logge inglesi, presero piede e si determinarono in modo conseguente le rivoluzioni americana, francese e russa, che infatti possono considerarsi: «figlie della prima» . A ragione, dunque, Bernard Fay affermò che «fu Newton a rendere possibile la crociata massonica del Settecento» (37). Ed a legittimare, insieme alla concezione ermetico-pitagorica del mondo naturale, quel falso ed illusorio misticismo che ne costituisce l’erroneo fondamento. Giancarlo Infante --------------------------------------------------------------------------------

Note 1) I manoscritti segreti di Newton, di carattere teologico ed iniziatico, vennero messi all’asta (Sotheby’s) nel 1939 dai suoi eredi. L’economista inglese John Keynes ne acquistò una buona metà, che lasciò al King’s College di Cambridge. L’altra parte venne acquistata dall’orientalista ebreo Abraham Salomon Ezekiel Yahuda, e donata in seguito allo Stato d’Israele, che a sua volta li affidò alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemme. Dal 2003 alcuni di questi manoscritti sono stati messi in mostra, ma la gran parte è ancora inedita. 2) P. Odifreddi, «Il Vangelo secondo la Scienza», Einaudi, Torino, 1999, pagina 40. 3) I. Newton, «Trattato sull’Apocalisse», a cura di M. Mamiani, Bollati Boringhieri, Torino, 1994, pagina 21, «Regole per interpretare le parole e il linguaggio delle Scritture». 4) W. Rankin, «Newton - Per cominciare», Feltrinelli, Milano, 1996, pagina 162. 5) P. Odifreddi, «citato», pagina 178. 6) «Newton qui genus humanum ingenio superavit», iscrizione posta alla base della statua dello scienziato, posta all’ingresso della Cappella del Trinity College a Cambridge. 7) Citato in M. White, «Newton , l’ultimo mago», Rizzoli, Milano, 2001, pagina 171. 8) M. Eliade, «Il mito dell’alchimia», Bollati Boringhieri, Torino, 2001, pagina 11. 9) M. White, «citato», pagina 275. 10) A cura di P. Casini, «I. Newton - Il Sistema del Mondo e gli scolii classici», Edizioni Theoria, Roma, 1983, pagina 13. 11) «Newton sposa inoltre il mito secondo il quale Pitagora ricevette gli elementi di questa sapienza da Mosco il Fenicio. Secondo questa tradizione, sostenuta anche da Ralph Cudworth, Mosco non sarebbe che un altro nome per Mosè», N. Guicciardini, «Newton: un filosofo della natura e il sistema del mondo», I grandi della scienza, Le Scienze, Milano, anno I, n. 2, Aprile 1998, pagina 41. 12) M. Nicosia, «citato», pagina 73. 13) E. Garin, «La cultura del Rinascimento», Milano, 1988, pagina 42. 14) S. Shapin, «La rivoluzione scientifica», Einaudi, Torino, 2003, pagina 34 e seguenti. 15) «Ibidem», pagina 167. 16) M. White, «citato», pagina 154. 17) «Ci è stato recentemente svelato (Cerchio Kappa di Roma) come il mondo dello Spirito, dal Kardec ad oggi, abbia svolto e svolga un vero e proprio ‘progetto spiritico’, nel senso che esisterebbe un programma - che si sviluppa tramite l’alta medianità intellettiva - per assistere e promuovere l’evoluzione conoscitiva e spirituale dell’umanità ed anche prepararci a quanto succederà tra breve e cioè all’aprirsi di quell’Era dell’Acquario, o New Age, che è ormai alle porte», E. Cellina, «L’insegnamento medianico», citato in F. M. Dermine, «Mistici veggenti e medium - Esperienze dell’aldilà a confronto», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002, pagina 143, nota 113. 18) «Ibidem», pagina 60, nota 92. 19) «Ibidem», pagina 67, nota 109. 20) B. T. Doobs, «The foundations of Newton’s Alchemy», in M. Eliade, «citato», pagina 35. 21) R. Westfall, citato in G. Galli, «La Magia e il Potere», Lindau, Torino, 2004, pagina 39 e nota 54. 22) A. Trampus, «La massoneria nell’età moderna», Editori Laterza, Roma-Bari, 2001, pagina 14. 23) M. Nicosia, «La tradizione pitagorica e la Massoneria», in «Le radici esoteriche della massoneria», Atanòr, Roma, 2003, pagina 73. 24) A. Trampus, «citato», pagina 26. 25) «Ibidem», pagina 77. 26) «Ibidem», pagina 25. 27) C. Kright e R. Lomas, «La chiave di Hiram», Mondadori, Milano, 1997, pagine 371 e 372. 28) A. Trampus, «citato», pagina 126. 29) W. Rankin, «citato», pagina 116. 30) B. T. Doobs, in M. Eliade, «ibidem». 31) F. de Felice, «Gli incerti confini del cosmo», Mondadori, Milano, 2000, pagina 10 e seguenti. 32) La prima via di San Tommaso è la più evidente. Essa infatti prende in esame il movimento (motus), fenomeno accessibile ai sensi. San Tommaso per spiegare il movimento non si riallaccia alla cosmologia aristotelica. Egli definisce il principio secondo cui «Quidquid movetur ab alio movetur, tutto ciò che si muove è mosso da altro», (Summa teologica, I, q. 2, a. 3), facendo appello alla dottrina metafisica dell’atto e della potenza. Da tale principio discende che: ciò che è mosso è in potenza, e ciò che muove è in atto. Poiché nessuna cosa può essere allo stesso tempo in atto e in potenza, per giungere ad una spiegazione finale del movimento, occorre risalire fino ad un Atto Puro, ovvero ad un principio del movimento che sia di per sé immobile. L’ente che possiede tale perfezione merita il nome di Dio. Confronta B. Mondin, «Il problema di Dio», Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1999, pagine 129-132. 33) «Laplace, basandosi esclusivamente sulle tre leggi della dinamica e sulla legge di gravitazione universale di Newton, nel suo ‘Traité de mécanique céleste’, spiega i moti dei pianeti e le loro perturbazioni in maniera soddisfacente, senza bisogno di far ricorso ad un’azione preternaturale di Dio. Tanto che, come si racconta, quando Napoleone gli chiese perché non avesse fatto menzione di Dio nella sua opera, rispose: ‘Sire, non avevo bisogno di quest’ipotesi’», E. Lopez-Doriga, «L’universo di Newton e di Einstein», Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1991, pagine 103-104. 34) «Ibidem», pagina 102. 35) A. Trampus, «citato», pagina 79. 36) S. Shapin, «citato», pagina XIV. 37) Bernard Fay, «La massoneria inglese e la rivoluzione intellettuale del Settecento», Edizioni di Ar, Padova, 1999, pagina 249.

Dott. Giancarlo Infante (Amico della M.S.M.A.)

 
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