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San Gabriele araldo della buona novella (prima parte) PDF Stampa E-mail

San Gabriele araldo della buona novellaPrecedendo di poco Michele, l'angelo Gabriele interviene nel Libro di Daniele (metà del II secolo avanti Cristo): mostrandosi al profeta, egli si manifesta di colpo nella missione che eserciterà in seguito, quella dell'angelo delle divine rivelazioni. E non delle minori, poiché riguardano il tempo della Fine. I suoi due altri interventi riportati dalla Scrittura - nel Vangelo di Luca - si pongono nella stessa prospettiva escatologica. Egli appare al vecchio Zaccaria per annunciargli la nascita di Giovanni Battista, il Precursore di Cristo, il cui leitmotiv sarà: "Pentitevi, poiché il regno dei Cieli è vicino" (Mt 3, 2). Ed a Maria, egli precisa nel momento dell'Annunciazione, parlando del figlio che darà alla luce: "Egli regnerà sulla casa di Giacobbe per (tutti) i secoli, ed il suo regno non avrà fine" (Lc 1, 34).

GABRIELE, L'ARALDO DELLA BUONA NOVELLA Non più di Daniele, l'Evangelista ci da notizie sull'angelo di cui, a dire il vero, non si sa molto. Anche se egli declina la sua identità, il suo nome è soggetto a controversia: significa, come è correntemente ammesso, forza di Dio, o molto semplicemente uomo di Dio, servo di Dio? I linguisti non sono d'accordo. Le sue apparizioni suggeriscono la prima lettura: alla sua vista, Daniele, spaventato, cade col volto contro la terra, lo choc è tale che egli ne resterà malato per alcuni giorni (Dn 8, 17-18, 27). Gabriele esercita lo stesso potere terrificante su Zaccaria che, "a quella vista, fu turbato, ed il timore cadde su di lui" (Lc 1, 12). Il vecchio uomo ha ragione di avere paura: l'angelo finisce col renderlo muto poiché non ha voluto credere alle sue parole! Con Maria, il temibile Gabriele si comporta in maniera radicalmente differente: senza discostarsi in nulla dall'autorità che egli ha da Dio, egli si mostra molto cortese e di una squisita delicatezza. E' vero che egli è davanti alla sua regina - anche se quest'ultima lo ignora -, e che egli deve essere abbagliato dalla grazia e la trasparenza di cui è colma quella piccola ragazza tutta pura, con la sua prima reazione quando egli le rivolge la parola: ella è turbata, non già perché si trova davanti a lui, ma a causa del modo con cui egli la saluta. Il testo lo esplicita: "Salute, piena di grazia! Il Signore è con te".

A queste parole ella fu tutta turbata, e si domandava che senso potesse avere quel saluto" (Lc 1, 29). Ella non conosce lo spavento che ha atterrato Daniele e spaventato Zaccaria, si commuove perché le parole dell'angelo la portano a fare una cosa che mai le ha attraversato lo spirito: posare uno sguardo su se stessa, ella che non si preoccupa che dello sguardo di Dio sulla sua piccolezza. Ella spiegherà alla mistica cappuccina VERONICA GIULIANI (1660-1727) quale effetto produsse in lei il saluto di Gabriele: Nel saluto dell'angelo, ebbi modo di entrare più avanti nell'umiltà, poiché io provavo, per via d'amore, una partecipazione all'essenza di Dio; e sentii la mia anima, benché fossi una pura creatura, diventare in un istante deificata e divinizzata, nel momento in cui il Verbo divino prese possesso delle mie viscere. Avendo dato il mio consenso alla volontà di Dio, io seppi d'un tratto, attraverso l'operazione dell'amore, che la mia anima si univa all'anima di Gesù; come uomo e Dio allo stesso tempo, egli mi comunicò, per via d'amore, l'Essere divino. E' così che io rimasi, in un istante, non più come una semplice creatura umana, ma divinizzata dall'operazione del Verbo divino che, in quell'istante, si incarnava nel mio seno attraverso l'operazione dell'amore. Di fronte ad un tale splendore unito a tanta umiltà, come Gabriele non rimase estasiato in dolcezza davanti a Maria, a cui il suo discorso strapperà quel grido dal cuore, la più bella dichiarazione d'amore che una creatura abbia fatta a Dio: "Sono la schiava del Signore" (Lc 1, 38)? Non conveniva che l'angelo si inchinasse davanti all'uomo, fino al giorno in cui una creatura umana sorpassante gli angeli, con la sua pienezza di grazia, con la sua familiarità con Dio e con la sua dignità.

Questa creatura umana fu la Beata Vergine Maria. Per riconoscere questa superiorità, l'angelo le testimoniò la sua venerazione con quelle parole: "Io vi saluto". Per mancanza nel poter estrarre maggiormente dalla Scrittura, e se si vogliono evitare le digressioni che ispirarono loro gli apocrifi, gli autori spirituali si sono ridotti a interpretare sul nome dell'angelo, come per esempio PIERRE DE BERULLE (1575-1629), capofila della Scuola francese di spiritualità: Quest'angelo inviato per quella commissione, grande e straordinaria, si chiama Gabriele, dice san Luca (...), ossia si chiama nella nostra lingua, la Forza di Dio. Poiché egli annuncia il mistero in cui Dio ha messo la sua forza e la sua potenza nel salvare gli uomini, nello stabilire la sua grazia sulla terra, la sua gloria nel cielo ed il terrore del suo nome negli inferi. Vi sono anche alcuni grandi ed antichi dottori che dicono, negli atti del concilio di Efeso, che questo nome di Gabriele vuol dire Uomo e Dio (Homo et Deus), come se il nome di questo grande angelo fosse la cifra della sua ambasciata, e che egli portasse in quella denominazione il segno perpetuo della più grande legazione che mai vi sarà. Questo è molto elegantemente scritto, ma non ci insegna niente che non sappiamo già. Poiché egli fu il portatore della Buona Novella dell'Incarnazione del Verbo, l'angelo Gabriele è stato dato come patrono alle telecomunicazioni civili e militari. Il 9 settembre 1972, riprendendo la scala del suo predecessore Pio XII, il papa Paolo VI ha fatto di Gabriele il santo patrono delle telecomunicazioni. Ambasciatore di Dio presso la Vergine di Nazareth, egli è anche patrono dei diplomatici. Per onorarlo, la Chiesa ci invita a pregare Dio nei seguenti termini: O Dio, che in mezzo a tutti gli angeli hai fatto la scelta dell'arcangelo Gabriele per annunciare il mistero dell'Incarnazione di tuo Figlio, accordaci che dopo averlo onorato sulla terra noi gustiamo in Cielo gli effetti della sua protezione. Per Cristo, nostro Signore. Amen. Ma ci si può anche rivolgere direttamente all'angelo: San Gabriele Arcangelo, angelo dell'Incarnazione, apri i nostri orecchi ai dolci avvertimenti ed agli appelli pressanti del Signore. Tieniti sempre davanti a noi, ti scongiuriamo, affinché comprendiamo bene la Parola di Dio, affinché noi lo serviamo e gli obbediamo, e che compiamo quello che egli vuole da noi. Aiutaci a rimanere svegli, affinché, quando egli verrà, il Signore non ci trovi addormentati. Amen. Questa è la preghiera che i cattolici di Budapest recitano quando passano sulla Piazza degli Eroi (Hösök tere) che domina il Monumento del millennio: una colonna di 38 m di alto, sormontata dalla statua dell'angelo Gabriele, con, alla base, le statue equastri dei sette capi delle tribù magiare.

L'ANGELO CHE AMA I FIORI Le Scritture non descrivono maggiormente questo angelo terribile e, se il profeta precisa che, al momento di una seconda visione, Gabriele si accostò a lui "con un volo rapido, al tempo dell'offerta della sera" (Dn 9, 21) questo non implica affatto che il messaggero celeste abbia avuto delle ali: gli angeli non ne sono provvisti che secondo il Libro di Enoch, la cui datazione rimane delicata, quantunque il testo riprenda leggende e tradizioni orali che risalirebbero all'apocalittica ebraica dell'epoca maccabea, con tutto quello che questa nasconde di apporti e di influenze assire. Gli angeli della Bibbia - nel Nuovo come nell'Antico Testamento - si presentano il più sovente sotto forma di uomini, vestiti di bianco. Il Vangelo di Luca non apporta nessuna precisazione su questo punto, ma Gabriele è senza dubbio apparso a maria sotto questo aspetto, al momento dell'Annunciazione. Anna Caterina Emmerich non lo ha visto diversamente, quando ella fu portata a contemplare la scena: Alla destra di Maria si effonde in linea obliqua, a partire dal soffitto, una tale massa di luce, che io mi sentii respinta contro il muro verso la porta. Vidi in quella luce un adolescente dai capelli biondi smossi vestito di bianco, che discendeva verso la Vergine. Questi era l'angelo Gabriele. Niente ali dunque, anche se Anna Caterina lo distingue allora più nettamente che nella sua visione dell'annuncio a Zaccaria: "Quando egli accese l'incenso, io vidi discendere a destra dell'altare una luce abbagliante nella quale stava una sagoma risplendente". Con pochi dettagli di differenza, le quattro ragazzine che, dal 8 maggio al 15 dicembre 1947, hanno beneficiato di apparizioni mariane nella chiesa Saint-Gilles dell'Ile-Bouchard, descrivono allo stesso modo il personaggio celeste che stava vicino alla Vergine e che, a loro richiesta, rispose che egli era l'angelo Gabriele: L'Angelo stava (...) a poca distanza dalla Signora ed alla sua destra. Egli era vestito di un abito bianco ed aveva delle ali bianche dagli orli dorati. Teneva in mano un giglio bianco e l'altra mano poggiava sul suo petto. I capelli erano biondi, a forma inglese. Per rendersi più facilmente identificabile, l'angelo innalzava il giglio e le ali che un'iconografia relativamente recente gli hanno dati per attributi: "Le ali dell'Angelo erano come quelle che i missionari ci mettevano nella Missione". Ma le ali che i missionari monfortiani aggiustavano alle spalle dei bambini per le processioni, non avevano affatto la frangia di piume d'oro che hanno notate le piccole veggenti. Per contro, la visionaria italiana MARIA VALTORTA (1897-1961), abitualmente così prolissa nelle sue descrizioni, si mostra incapace di schizzare solamente il ritratto dell'angelo, nelle pagine che ella consacra all'Annunciazione; scrupolo di discostarsi dalle rappresentazioni classiche, od incapacità nel formulare l'ineffabile?

LA BELLEZZA DEL GESTO Fino alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453), l'iconografia dell'angelo Gabriele, tale come è raffigurato nelle rappresentazioni dell'Annunciazione, risponde ad uno standard imposto dall'arte bizantina: in piedi davanti alla Vergine Maria, egli tiene in mano un bastone, simbolo di autorità designante il messaggero divino, l'ambasciatore - riccamente vestito e sontuosamente alato - incaricato di portare ufficialmente alla Vergine il messaggio del Re dell'universo. E' così che lo si vede in una bellissima miniatura armena del VI-VII secolo (le sue ali sono costellate di occhielli, come delle piume di un pavone), ed in numerose icone greche e russe. Il bastone di comando si trasforma talvolta in uno scettro sormontato da un fiore ornato di perle, i pittori occidentali se ne impadroniscono, con un piacere non dissimulato, di questa fantasia. Ma nessuno scettro né segno di autorità: come tutti gli angeli, Gabriele non è prima di tutto il servo dell'Altissimo ed un ammiratore incondizionato della Donna, loro regina? Oramai egli si inchina ed anche piega il ginocchio davanti a lei, e se ha qualcosa in mano, non può che essere uno stelo di giglio, in omaggio alla Tutta Santa la cui purezza incomparabile - ella è concepita senza peccato - lo abbaglia. I ruoli sono rovesciati, ed è la bellezza del gesto, quel fiore di giglio offerto, che sottolinea la differenza tra il bell'angelo sontuosamente vestito di pesanti ricami orlati o di preziosi sete d'una fluidità in temporale, e la piccola ragazza di Nazareth dalla veste altrettanto modesta come lo à il suo mantenimento: la vera bellezza non è nell'apparire - il sembrare - ma nell'essere, nella semplicità originale dell'uomo sgorgato dal cuore e dalle mani di Dio, di cui Maria, la nuova Eva, è il modello perfetto. E' così che è mostrato Gabriele per la prima volta, pare, nelle Annunciazione del pittore fiorentino Filippo Lippi (metà del XV secolo).

In quella che è conservata a Roma a palazzo Venezia, non solamente l'angelo tiene il giglio, ma lo offre a Maria, in segno di rispetto e di omaggio da parte della città: Firenze, che inalbera questo fiore nelle sue armi, pretende di onorare la Vergine con un culto speciale e beneficiare così della sua particolare protezione. Un mezzo secolo più tardi, Girolamo Savonarola si farà eco di quella predilezione di Maria per la capitale della Toscana, che avrà contemplato in una grandiosa visione: Gli angeli portano la corona (offerta dai Fiorentini) a Maria, che la pone sulla sua testa e prega la Santissima Trinità di avere pietà della famiglia dei suoi fedeli. "Sia fatta secondo la tua volontà", rispondono le tre figure della Trinità. Davanti a tutta la corte del Paradiso, la Vergine pronuncia allora la formula che assicura ai Fiorentini la grazia divina: "Firenze, tu che sei cara al nostro Dio e Signore Gesù Cristo, mio figlio, ed a me, custodisci la tua fede, persisti nelle tue preghiere, armati di pazienza poiché è così che tu acquisterai la salvezza eterna presso Dio e la gloria presso gli uomini". Per far posto q queste pretese, Siena, rivale di Firenze, sostituisce allo stelo del giglio - col pennello del suo pittore Simone Martini - un ramo d'olivo: Maria è salutata dall'angelo come madre del Principe della pace e Regina della pace. Per connotati che siano politicamente, queste rappresentazioni associano oramai la figura del messaggero divino ai più bei fiori della creazione: non solamente il giglio (rimpiazzato talvolta dall'amarillo), che egli tiene in mano, e che si ritrova frequentemente in mazzetto in un vaso d'oro posto vicino alla Vergine, non solamente l'olivo rivale di Siena, ma la rosa, fiore per eccellenza di Maria, Rosa Mistica, che l'angelo incorona, si svolge in ghirlande sui suoi vestiti, estende i suoi rami fioriti sui muri della casa di Nazareth. Ed anche, per un paradossale ritorno del bastone - è il caso di dirlo -, il simbolismo liliale, oramai ben inscritto nell'immagineria occidentale, sarà ripreso fin dal XVI secolo dai pittori di icone in Oriente, al punto che una rappresentazione di Gabriele senza il suo fiore di giglio, nella scena dell'Annunciazione, sarà tenuta per sospetta di eresia, e questo tanto più che l'inno acatisto canta Maria in questi termini: "Salve, giglio dal profumo squisito, signora che esala un soave odore per i fedeli!". Fino all'epoca più recente, diversi mistici sono tributari, nelle loro visioni, di queste rappresentazioni fiorite dell'angelo dell'Annunciazione, che precedette nel Medio Evo una iconografia differente: si dipingeva l'angelo avente una lanterna in mano, e nell'altra una bandoliera recante la parola Ave, oppure uno specchio di diaspro sul quale erano inscritti gli ordini di Dio. Mechtild Thaller la evoca con suo ramo di giglio: "San Gabriele porta un abito sacerdotale (...) una dalmatica ed una stola incrociata, ricamata d'oro. Nella sua mano destra, teneva il giglio; aveva la mano sinistra posata sul suo petto".

Ella riprende anche nella sua descrizione gli elementi vestimentali che fanno di Gabriele un angelo sacerdotale, forse perché apparendo a Zaccaria, egli si è mostrato nel santuario "alla destra dell'altare dell'incenso" (Lc 1, 1). Già, nella sua Annunciazione conservata al Koninglijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa, Roger van der Weyden (1400-1646) vestiva l'angelo con una dalmatica immacolata, che egli ha completata in quella del Louvre con una stola diaconale (di traverso) di colore porpora, ed una cappa d'oro riccamente orlata. A fianco, le visioni di Mechtild sembrano un po' tenue, tanto più che esse si declinano in toni freddi, il verde chiaramente. Senza dubbio questo è legato al carattere molto austero della spiritualità e della missione di questa grande penitente.

LE SETTE ALLEGREZZE DI MARIA Un giorno, mostrandosi a Mechtild Thaller, l'angelo Gabriele le dice: Tu soffri con Maria, rallegrati anche con me! Mai ancora tu hai recitato la corna in onore delle sette Allegrezze di Maria. Recitala dunque! Questo rosario è una sorgente di grandi gioie spirituali per tutti quelli che lo recitano, esso dona una grandissima gioia alla Regina dei Cieli. Fanne parte anche ai tuoi amici spirituali. Salutali in nome di Gesù e dici loro che la mia Regina li ama molto, che ella veglia su di essi incessantemente, perché essi diffondono il mio culto e quello di tutti gli angeli, il che è, per la Regina degli Angeli, la causa di una gioia che non si saprebbe esprimere. Egli sa di che parla: la legenda francescana del rosario delle sette allegrezze di Maria lo fa intervenire direttamente. Nel XV secolo, fra Giacomo, novizio presso gli osservanti di Borgo San Sepolcro, attraversa una crisi spirituale. Oh, non grande cosa, ma allora basta un nulla per strappare una vocazione. Giovane pastore, egli aveva sempre avuto l'abitudine di ornare le immagini della Madonna con delle corone di fiori campestri che intrecciava guardando i suoi montoni. Egli non ne ha oramai più il tempo, né l'occasione, le rose del chiostro conventuale essendo riservate dal frate giardiniere agli altari della cappella. Un giorno che egli se ne lamenta davanti alla statua della Vergine, l'angelo Gabriele gli appare e gli insegna come onorare, con la recita delle sette decine - un Pater e dieci Ave - le allegrezze di Maria: tale è la corna più gradita alla Madre di Dio. Tutto allegro, il fraticello fa sua questa devozione, e la pace ritorna nella sua anima. Poco dopo, nel mentre che egli prega in questo modo, il maestro dei novizi entra all'improvviso nella sua cella e lo vede inginocchiato, un angelo in piedi ai suoi fianchi intrecciante una corona di rose e di gigli legati da un filo d'oro, che egli gli posa finalmente sulla testa. Fra Giacomo è obbligato a rivelare il suo segreto, e la devozione si propaga così nella comunità, poi negli altri conventi della provincia delle Marche. Alcuni anni più tardi, essendosi un novizio impegnato per voto a recitare prima di ogni pasto la preghiera del fraticello - chiamato da allora FRA GIACOMO DELLA CORONA -, si accorge nel momento in cui egli entra in refettorio che non l'ha ancora detta.

Chiede al padre guardiano l'autorizzazione a recarsi nel coro per riparare alla sua dimenticanza; il superiore vi acconsente, ma, prolungandosi l'assenza, invia un religioso a cercare il novizio. Non ritornando questo, ne invia un secondo, che non riappare anche lui, poi un terzo. Siccome la comunità manifesta qualche impazienza, poiché il pasto si raffredda, va lui stesso a vedere cosa accade: i tre religiosi sono inginocchiati in estasi, contemplando l'angelo Gabriele impegnato a raccogliere le rose ed i gigli che escono dalla bocca del monachello ed a intrecciarne con un filo d'oro una corona, che egli finisce col deporre sulla testa della statua della Vergine. Non è stupefacente che con tali brevetti accordati dal Cieli, la devozione abbia conosciuto un successo duraturo. Pertanto, il beato ALAIN DE LA ROCHE (1428-1471), un austero domenicano bretone - doppio pleonasmo? - non apprezzava affatto questo modo di agire con la Vergine Maria: gli spasimanti non offrivano alle loro belle questi cappelli o corone di fiori, al fine di raccontare fioretti (vale a dire flirtare, l'inglese ci ha fregato l'espressione, ostandole tutta la sua poesia). Egli non amava dunque, inoltre, il termine cappelletto (corona), e voleva rimpiazzarlo con salterio, poiché vi sono nel rosario classico 150 Ave, tante quanti i salmi nella Bibbia. Ma gli angeli sono meno provocatori degli uomini, per santi che siano questi ultimi, ed hanno saputo ispirare alla pietà popolare di imporre la parola rosario, contro il parere del dotto predicatore. Inoltre, con l'aggiunta dei cinque misteri di luce ai misteri fin là contemplati tradizionalmente, il papa Giovanni Paolo II ne ha fatto passare il numero da 150 a 200, che non ha nulla più a che vedere col salterio.

IL LINGUAGGIO DEI FIORI Gabriele ama i fiori, e se ne serve per insegnare agli uomini. Forse egli è l'inventore del linguaggio dei fiori? Già, col suo giglio, egli saluta la purezza della Vergine. Col suo ramo d'olivo, sottolinea le aspirazioni pacifiche di Siena contro la bellicosa città dei Medici e, quando inalbera uno stelo d'amarillo nella scena dell'Annunciazione, è un omaggio alla regalità di Maria. Ma gli accade di essere più esplicito, intervenendo direttamente con dei fiori presso talune persone. Una pia donna - molto bella per giunta - è sospettata di adulterio da suo marito, ricco commerciante di Ferrara che rosica una gelosia maldestra. Ella si rivolge al francescano FRANCESCO DA CASTROMIGLIO, supplicandolo di prendere in mano la sua causa: lui solo saprà far sentire ragione ad un uomo che, come numerosi suoi concittadini, vede in ognuno dei suoi amici o parenti un potenziale amante di sua moglie dacché, alcuni anni prima, il conte Nicola d'Este, signore della città, ha sorpreso la sua seconda moglie Parasina Malatesta nelle braccia del figlio che egli ha avuto dalla prima. L'esempio viene dall'alto e rischia di essere contagioso, benché il conte - dopo aver fatto decapitare gli amanti - abbia decretato che ogni donna convinta di adulterio sarebbe stata passibile di morte. Fra Francesco convoca il marito geloso e lo ammonisce, sforzandosi di convincerlo dell'innocenza della sua sposa. Invano. Siccome il buonuomo non vuol sentire nulla, il frate si pone in preghiera: sotto gli occhi spalancati del sospettoso marito, l'angelo Gabriele appare, portando una rosa bianca - simbolo di amore e di purezza - che il commerciante, oramai rassicurato sulla condotta di sua moglie, deve rimettere a questa in pegno di concordia ritrovata. Nel secolo successivo, Gabriele è mandato da Dio presso le clarisse del monastero del Pilar a Belalcazar, vicino a Cordoba. Egli deve presentarsi a FELIPA DE SOTOMAYOR Y CASTRO, figlia del signore del luogo, che viene dall'entrare in religione nel 1524 all'età di quindici anni, rinunciando alla gloria mondana che gli sarebbe stata apportata dalla sua illustre estrazione: ella non è altri che figlia del duca e Grande di Spagna. L'angelo si mostra alla novizia sotto la forma di un bel giovane e, avendo declinato la sua identità, le dichiara: "Sorella mia, il Re del Cielo mi invia a voi per dirvi che egli vi prende per sua fidanzata e che egli stesso è vostro fidanzato". E, alla duchessina estasiata, il celeste ambasciatore offre da parte dello sposo divino una croce di fiori, delle rose rosse, bianche e gialle - tanti simboli dell'amore - che, esalando un soave profumo, infiorano l'altare della Vergine. A questa Annunciazione d'un nuovo genere susseguono molteplici visioni dell'angelo: egli istruisce suor Felipa durante il suo noviziato, l'aiuta nel suo ufficio presso i malati, ai quali ella consacra la sua vita, la incoraggia nelle sue penitenze. Sovente, quando egli le appare, ella è sollevata dal suolo, aureolata d'una luce brillante, a meraviglia delle sue sorelle.

Ella muore nel 1531, all'età di appena ventidue anni, in un'ultima estasi che ha illuminato con la sua presenza il suo angelo di predilezione. Sempre a Cordoba, la carmelitana MARIA DE JESUS DE SANDOVAL (1543-1604), discepola di Santa Teresa d'Avila, è combattuta tra il suo angelo custode, che ella ama molto, e San Gabriele, per il quale ella nutre una profonda devozione. Non che i due angeli siano rivali presso di lei, ma ella passa dal piacere dell'uno e dell'altro ad una successione di estasi dove vede il suo angelo custode presso di lei, glorioso e risplendente d'una celeste bellezza, poi Gabriele che tanto si unisce ad essi, tanto eclissa il suo confratello. Ella non sa più dove dare la testa, fino al giorno in cui una visione le fa comprendere il significato di questo gioco di nascondino: se l'angelo custode la guida, la consiglia, la illumina, talvolta la ammonisce, è a Gabriele - che sta davanti a Dio (cfr Lc 1, 19) - che tocca prendere il contatto per presentare le sue preghiere davanti al trono dell'Altissimo, come tanti fiori con cui egli fa un bouquet. Per dare più peso alla sua dimostrazione, egli le lascia una volta tra le mani un cesto dorante: rose dell'amore, gigli della purezza, violette dell'umiltà, margherite della semplicità. Suor Maria di Gesù si affretta a portare sull'altare della Vergine quel dono tanto incantevole quanto insolito.

"Enciclopedia dei fenomeni straordinati" di Joachim Bouflet - Tradotto da Alfonso Giusti (Segretario Generale della M.S.M.A.)

 
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