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Il "segreto" di Galileo Galilei PDF Print E-mail
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Il "segreto" di Galileo GalileiVerso la fine del 1633, Descartes apprese che il «Dialogo» di Galilei era stato condannato. Intimorito, sospese la stesura del suo trattato sul Mondo (1). E scrisse la sua apprensione all'amico Marsenne: «Ora io vi dirò che tutte le cose che spiegavo nel mio trattato, e fra queste c'era il moto della Terra, sono a tal punto dipendenti le une dalle altre, che basta sapere che una è falsa per rendersi conto che tutte le ragioni di cui mi sono servito non hanno validità alcuna» (2). Cartesio più che altro temeva che la condanna ecclesiastica avrebbe potuto fermare la rivoluzione eliocentrica appena avviatasi, alla quale anch'egli aveva aderito. La sorte di Galilei non lo preoccupava più di tanto, dal momento che lo scienziato italiano, a differenza di lui, godeva di forti protezioni ecclesiastiche che avrebbero senz'altro attenuato il giudizio degli inquisitori. Il conflitto che Galilei stava affrontando contro una parte della Chiesa, l'altra gli era ben favorevole, riguardava da un lato l'interpretazione di alcuni passi ...

... biblici, che sostengono l'immobilità della Terra ed il movimento del sole, da Galilei distorti a favore dell'eliocentrismo. Dall'altro, il magistero stesso della Chiesa, insidiato da una contro-spiritualità, collegata al neoplatonismo ed al misticismo ermetico. Infatti, è nel «Dialogo», «se lo si sappia leggere», che si trova il segno della trasformazione di un'ipotesi astronomica in una vera e propria percezione filosofica del mondo (3). Peraltro, «Un fatto è certo: prima che Galileo si fosse dato a compiere la sua opera in difesa del sistema copernicano, nessuno si era accorto della rivoluzione copernicana. Le novità del resto sono per pochi, e quei pochi, gli eletti, non possono non essere degli iniziati. E come una sorta di ‘iniziazione' a misteri o, se si preferisce, come frutto di eresia furono subito giudicate le ‘Lettere Copernicane' » (4).

Consideriamo che prima delle prese di posizioni di Galilei, la Chiesa cattolica era stata favorevole all'ipotesi copernicana. Addirittura, il «De revolutionibus» di Copernico si dimostrò lo strumento efficace per sostenere la riforma del calendario, realizzata da Gregorio XIII, contro le resistenze messe in atto dalle chiese protestanti. E' lo stesso Galilei a riferire che Copernico, «uomo non solamente cattolico, ma sacerdote e canonico», venne chiamato a Roma in occasione della riforma del calendario e, grazie al suo intervento, in modo «conforme alla sua dottrina non solamente si è poi regolato il calendario, ma si fabbricarono le tavole di tutti i movimenti de' pianeti» (5). Osserva giustamente Morpurgo-Tagliabue: «Che dopo 70 anni si proibisse assolutamente l'opinione copernicana, non appariva neppure pensabile: per la pietà riconosciuta all'autore, ‘nobilis astrologi', che aveva dedicato l'opera a Paolo III, e per la diffusa utilità dei suoi calcoli e dei suoi metodi, apprezzati durante la riforma del Calendario» (6). Resta pertanto oscuro il motivo del cambio di atteggiamento del clero nei confronti della nuova ipotesi astronomica e della persona stessa di Galilei. Infatti, anche il suo «avversario», cardinale Roberto Bellarmino, aveva nutrito un forte sentimento di stima per lui. In una lettera ai Matematici del Collegio Romano, san Roberto scrive riguardo alle: «nuove osservazioni di un valente matematico per mezzo di uno strumento chiamato ‘cannone' overo ‘ochiale'; e ancor io ho visto, per mezzo dello stesso istrumento, alcune cose molto meravigliose intorno alla luna e a Venere» (7).

Il «dietro front» della Chiesa è stato senz'altro favorito da una certa mancanza di umiltà dello scienziato, che caldeggiava con eccessiva enfasi argomenti tendenzialmente eretici e dubbi, proprio dal punto di vista scientifico: «A Galilei col crescere degli anni cresce una superba sicurezza di sé, un senso di superiorità della propria mente sugli altri uomini. Egli si espande in una superba gloriosa vecchiezza non priva di iattanza: la iattanza della ragione. E' questa fiducia che lo conduce di errore in errore, dalla trascuranza delle leggi di Keplero alla teoria delle comete, alla teoria delle maree: una luminosa cecità, un'ottimistica fiducia nella semplicità razionale della natura8 un tranquillo dogmatismo. Non sa di avere a fianco un dio ingannatore» (8). I primi a rendersi conto che nell'eliocentrismo galileiano fossero presenti fattori spuri non inerenti alla sola scienza astronomica, furono i «Domenicani, i domini-canes, cani del Signore» (9), i quali reagirono, forse in modo altrettanto polemico, tramite il padre Tommaso Caccini, che denunciò il 21 dicembre 1614, dal pergamo di Santa Maria Novella in Firenze, gli errori dottrinali dei copernicani e dei matematici, provocandone le piccate reazioni. D'altra parte, non potendo ignorare l'opera del loro famoso confratello, Giordano Bruno, i padri domenicani conoscevano benissimo i diversi livelli di interpretazione della dottrina eliocentrica, dei quali, quello scientifico, rappresenta il più basso ed evidente. Il discusso frate infatti più volte «tratta Copernico con una certa sufficienza, rimproverandogli di avere interpretato la sua teoria dal solo punto di vista matematico, mentre egli, Bruno, ne ha compreso i più profondi significati religiosi e magici» (10).

In realtà, Bruno conosce alquanto malamente il lato scientifico della teoria copernicana, come dimostrano le assurdità contenute nella sua opera «La cena de le ceneri»: «Se i suoi nemici si fossero limitati a un'interpretazione letterale, avrebbero potuto coprire Bruno di ridicolo, ma difficilmente si sarebbero dati la pena di bruciarlo vivo ... Pare che Bruno abbia scelto deliberatamente la teoria copernicana come veicolo per introdurre le proprie concezioni filosofiche in parte perché essa godeva di una notevole corrente d'interesse e in parte perché poteva essere adattata alle proprie teorie. Bruno e i suoi contemporanei avevano inoltre ragione di vedere in Copernico un rinnovatore del pitagorismo magico, che essi consideravano una fonte della tradizione ermetico-neoplatonica» (11). Peraltro, è risaputo che Galilei venne informato dell'interpretazione bruniana della teoria di Copernico, quindi del suo significato metaforico e magico, da parte di un altro controverso personaggio, Tommaso Campanella, che conosceva personalmente molto bene.

I due si incontrarono a Padova, anche con Paolo Sarpi, protagonista di una forte opposizione al Papato, e con Giovan Battista Della Porta, autore del libro, all'epoca famoso, «Magiae naturalis Libri XX» (Napoli 1589), dove si spiega fra le tante cose che scopo della magia è capire il funzionamento del cosmo, e di imitarne i processi (12). Questi personaggi apparentemente così diversi, erano tuttavia accomunati da una stessa passione: quella astrologica. Galilei dimostrò tracce di questo suo interesse così poco scientifico nel «Sidereus Nuncius» ove, con prosa elegante, dedica a Cosimo de Medici i satelliti di Giove, spiegando che le splendide virtù che adornano la sua persona gli sono state conferite da questo astro molto benigno, che nel momento della sua nascita era in posizione del cielo di straordinaria importanza. «Ma se l'oroscopo di Cosimo II è il più clamoroso, per la celebrità del testo in cui vi si fa cenno, non è certo l'unico caso di genitura compilata da Galileo, e già più di un secolo fa, con la probità intellettuale che lo contraddistingueva, A. Favaro dedicava un breve saggio a ‘Galileo astrologo', superando comprensibili resistenze nei confronti di un argomento per quei tempi imbarazzante ... Galileo conosceva molto bene la pratica astrologica: è certo che nel periodo padovano componeva oroscopi dietro compenso» (13).

Il fatto che Galilei si prestasse a redigere oroscopi e previsioni sul futuro, al pari di qualunque ciarlatano, si addice ben poco al cliché di provato sperimentatore con il quale egli è passato alla storia, ma del quale molti hanno dubitato, dal momento che: «Nessuna delle esperienze galileiane era fondata, tutte immaginate, e per questo facilmente dimostrate. Molti lettori delle sue opere sono stati tratti in inganno dall'apparente rigore geometrico delle sue dimostrazioni» (14). Tuttavia, è comprensibile che i positivisti non potevano non esaltare gli aspetti dello scienziato che tornavano a loro favore, adombrando quelli contrari. Di certo, assume tinte sconfortanti l'immagine del padre della cosiddetta scienza moderna intento, fra una polemica e l'altra, sotto banco, per sbarcare meglio il lunario, o per attirarsi i favori dei potenti di turno, ad interpretare campi e quadranti planetari per compilare temi di natività a favore di qualche povero illuso. La comune tendenza al vaticinio che accomunò i due, emerge anche dalla lettera che Campanella inviò a Galilei, per ringraziarlo della copia dei «Dialoghi» ricevuta nel mese di luglio del 1632. In tale occasione, il frate riassume genericamente il senso del libro, compiacendosene, al punto da affermare: «Tutte le cose mi son piaciute, e vedo quanto è più valido il suo argomentare di quel di Copernico, se ben quello è fondamentale».

Ed in conclusione, come esperto del settore, collega l'argomento astronomico ad una sorta di profezia astrologica: «Queste novità di verità antiche, di novi mondi, novi stelle, novi sistemi, nove nazioni, etc., son principio di secol novo» (15). Come si vede, il modello eliocentrico è utilizzato come punto di forza per ribaltare e sovvertire «lo stato dei fatti e delle cose», direbbe Wittgenstein, dell'epoca. Infatti, il problematico frate calabrese, che nelle sue opere si propone fra l'altro l'utopica realizzazione dell'unità religiosa dell'umanità, fondata sull'accordo (improponibile) della religione cristiana con la religione naturale: «sia nell'apologia che in ‘Lettere a Galileo', parla dell'eliocentrismo come di un ritorno all'antica verità e come un preannuncio di un'età nuova, usando un linguaggio che ricorda fortemente quello di Bruno ne ‘La cena de le ceneri' » (16). L'illusione di Campanella e degli ermetisti rinascimentali è assai evidente, dal momento che la novità da loro tanto attesa e declamata, non sarebbe altro che il ritorno di presunte verità antiche, di matrice egizia, segretamente collegate alla filosofia eliocentrica. La sintonia ideologica che si stabilì fra Campanella e Galilei lascia dunque intendere che entrambi conoscessero le implicazioni «spirituali» presenti nell'eliocentrismo, e che insieme, ognuno a modo proprio, si proponessero di elevare il modello copernicano a paradigma universale, quale simbolo e pentacolo dell'umanità rinata, dopo secoli di coercizione religiosa e culturale. Ma in realtà costringendola inesorabilmente in griglie spirituali davvero esecrabili.

Infatti, l'eliocentrismo, come abbiamo già riferito, esprime un significato religioso persino più profondo di quello connesso alla teoria geocentrica, se è vero che in esso si maschera l'arcaico culto del sole e degli spiriti della natura. Costituisce pertanto una grande illusione il credere che la scienza ci abbia liberati dai condizionamenti religiosi di stampo medievale, dal momento che essa ci ha come imprigionati in una mentalità tendenzialmente ateo-materialistica, spesso adombrata dietro le prevedibili espressioni dello scientismo militante. Atteggiamento interiore, questo, da molti conseguito inconsapevolmente, mediante uno studio essenzialmente passivo, teso ad accreditare i temi proposti dalla cultura ufficiale, e ad irrobustire il pregiudizio verso tutto ciò che si discosta dal sapere comune. È dunque una comprensibile conseguenza il fatto che a molti possa apparire azzardato accostare le argomentazioni scientifiche di Galilei (fumose, prolisse, ed in gran parte errate: basta trovare la forza di leggere alcune pagine del «Dialogo»), con gli elementi propri della magia, proprio perché i princìpi sui quali poggiano queste due attività operative non solo sembrano inconciliabili, ma addirittura contrapposti. Infatti, mentre la vera scienza si fonda su una ricerca razionale ed oggettiva della verità, la magia si basa sulla possibilità di stabilire un contatto personale effettivo con un mondo occulto, attraverso uno stato illuminativo dell'essere. Tuttavia, questo contrasto è solo apparente: superficie e profondità caratterizzano lo stesso mare della conoscenza ermetica, dalla quale magia e scienza hanno tratto per larga parte ispirazione. Ricordiamo infatti che per i neoplatonici proprio attraverso la conoscenza metalogica l'anima individuale può giungere a fondersi con l' «anima mundi», divenendo essa stessa, microcosmo-uomo, ciò che contempla, macrocosmo-universo. Questo vagheggiato fine «è un momento di abbandono mistico, in cui l'individuo, spezzati i vincoli della sua finitezza, s'immerge in un'ineffabile beatitudine, di cui, però, nulla si può dire» (17).

Dunque, l'indagine fisica della natura costituirebbe soltanto una componente non esaustiva di una conoscenza superiore, per certi tratti misteriosa e profonda, perseguibile esclusivamente mediante un percorso individuale, graduale ed iniziatico. E' nella cerchia dei Medici, a Firenze, che attraverso Marsilio Ficino e Pico della Mirandola prese avvio e si diffuse il neoplatonismo rinascimentale, costituito da una mescolanza di argomentazioni platoniche ed ermetiche, alle quali si aggiunse in seguito la Cabala (18). Poco prima della cacciata degli ebrei dalla Spagna, avvenuta nel 1492, Pico cercò di interpretare in senso cristiano la Cabala, sostenendo che essa fosse conferma della verità del cristianesimo, e che in essa fossero celate le chiavi per comprendere i misteri divini celati nelle Sacre Scritture, così svuotate del loro proprio significato trascendente e ridotte ad una sorta di discutibili libri sibillini. L'argomento centrale del neoplatonismo, al quale aderirono tra gli altri Ficino, Pico, Reuchlin, Agrippa, Bruno, ma ai quali vorremmo aggiungere Galilei, è presto detto: il ristabilimento dello stato di perfezione originaria dell'uomo, perdutosi nelle epoche in proporzione all'affermarsi del cristianesimo, e riservato esclusivamente agli eletti, che, essendo della stessa sostanza del mondo divino, avrebbero in sé la possibilità di auto-redimersi e di giungere alla conoscenza perfetta (19). Il collegamento fra razionale ed irrazionale è dunque sottile, invisibile a molti, perché attuato attraverso il linguaggio allegorico, proprio degli iniziati. Ovvero il linguaggio dei simboli.

A volte basta un simbolo, posto in un punto nevralgico di un edificio, di una statua, di qualunque costruzione non solo muratoria, per imprimere a tutta l'opera il carattere segreto espresso e contenuto nel simbolo stesso. Infatti, il simbolo è prima di tutto un segno, qualcosa capace di rinviare a qualcos'altro, che, nell'esoterismo, diviene il tramite tra universo e uomo, spirito e materia, invisibile e visibile (20). Mircea Eliade specifica che il simbolo appartiene alla sostanza stessa della vita spirituale, ed anche se è possibile mascherarlo, mutilarlo o degradarlo, tuttavia non sarà mai possibile estirparlo (21). I simboli dunque assumono un significato realistico, poiché segno e significato unificandosi divengono una sola entità. Secondo il filosofo E. Cassirer, il simbolo non rappresenta un lato marginale del pensiero, «ma il suo organo necessario ed essenziale», dal momento che è attraverso di esso che i concetti si rendono pensabili alla mente. E questo significa semplicemente che: «Il serpente non è solo il segno emblematico del male, ma è malvagio in se stesso; il sole non è semplice segno della luce divina, ma Dio stesso, secondo un rapporto di identificazione sic et simpliciter» (22). A proposito del linguaggio allusivo dei simboli, del loro potere di collegare realtà separate secondo le prospettive delle scuole iniziatiche che li esprimono, riteniamo di fondamentale importanza chiarire i contorni storici relativi ad un episodio che sembra essere sfuggito alla totalità degli autorevoli studiosi che si sono occupati del caso Galilei. Nessuno infatti ha mai notato e messo in evidenza come sia proprio un piccolo simbolo a svelare e ad imprimere un, ben celato, carattere ermetico alle, spesso contraddittorie, dissertazioni galileiane (23). Ma ricostruiamo i fatti. Il padre Riccardi (24), Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, sollevò una questione cruciale, riguardo ad un emblema, dal sapore cabalistico, presente sul frontespizio del «Dialogo». Egli scrisse subito a Clemente Egidi (25), che nel «Dialogo» galileiano «vi sono molte cose che non piacciono», ed invitò l'Inquisitore ad operare «con dolcezza» cercando di farle accomodare.

E poi concluse, con tono perentorio: «Avvisi se l'impresa de' tre pesci è dello stampatore o del Signior Galilei, e procuri destramente scrivermene lo intendimento». Abbiamo già riferito che questo marchio rappresenta tre pesci, nel caso: delfini, collegati fra loro in modo da formare una sorta di spirale: una spirale pitagorica. Ogni delfino preso separatamente rappresenta il numero sei. Pertanto, tre delfini, tre sei. Ed ecco presentarsi in un luogo così impensabile la «cifra della bestia». D'altra parte ecco anche spiegato l'allarme del Riccardi, nei confronti di tale «impresa» marchiata su di un'opera, che apparentemente caldeggiava il sistema eliocentrico copernicano. Galilei non si degnò di svelare in prima persona l'arcano, fornendo spiegazioni plausibili che dissolvessero i dubbi circa quel simbolo, che sembra rappresentare come un suo segreto personale, del tutto inviolabile. Furono invece i suoi autorevoli amici ad insinuare dubbi, ed a mettere in difficoltà il Riccardi, con sarcastiche insinuazioni. In particolare, Filippo Magalotti (26) dopo aver irriso l'osservazione del Riccardi, della quale scrive: «Io mi vergognerei per reputazione sua e di chi ne è stato l'inventore», minimizza il significato del marchio, quasi che fosse un segno come un altro, senza trattenersi dal «ridere e far atti di meraviglia», per la bassa e meschina insinuazione che tale «impresa» potesse contenere un senso misterioso e segreto. Magalotti pertanto assicurò il Riccardi che il marchio fosse quello dello stampatore Landini, anche se lì per lì non poteva dimostrarlo.

Allora, incaricò l'amico Guiducci (27) di cercare in Firenze qualche libro dello stesso stampatore, «fosse anche solo un lunario», ove comparisse tale emblema. Dopo circa un mese, ricevette proprio un lunario, insieme ad un libro usato da un'imprecisata «compagnia», ed «un altro foglio che deve pur essere servito a qualcosa», marchiati nello stesso modo. Se il Guiducci in un mese di ricerca non riuscì a trovare niente altro di quei fondi di deposito, allora vuol dire che quella strana spirale non era il marchio ufficiale della stamperia Landini. Ma semmai quello utilizzato per stampe particolarmente riservate, ad uso di oscure confraternite, o di segretissime logge. Tanto meno che lo stampatore avrebbe potuto benissimo cedere ad eventuali richieste, supportate da compenso adeguato, ed imprimere quel marchio su qualche innocuo lunario o altro foglio, dimostrandone così l'uso consueto. Tuttavia, nonostante quei pochi e discutibili riscontri stampati, erano infatti pubblicazioni di scarso valore, il bonario padre «Mostro», messo alle strette dalle pressioni degli amici di Galilei, diede infine il permesso necessario per la pubblicazione del testo galileiano, nel quale venivano ribadite concezioni già condannate dalla Chiesa, durante il primo processo subito da Galilei, nel 1616. Proprio per questa sua «inavvertenza e trascurataggine» nel sottoscrivere tale libro, ignorandone «gli editti e gl'ordini e le proibizioni», il Riccardi in seguito non sfuggì alle maglie dell'Inquisizione (28). Il Santo Uffizio infatti aveva capito benissimo che nei «Dialoghi» era contenuto un riferimento segreto, attraverso il quale il modello eliocentrico, il movimento della Terra e la centralità del Sole assumevano significati magici e sovversivi (29). Un riferimento profondamente anticlericale, che si riallaccia al culto del sole, praticato in Eliopolis, città egizia dei sacerdoti-maghi esaltati da Bruno. Ma anche prototipo della «Civitas solis», decantata da Campanella, a sua volta in stretto contatto con la segretissima setta dei Rosacroce (30). «Non per niente in difesa del Sistema Copernicano, nello stesso lasso di tempo, accorrono tra gli altri anche Bruno e Campanella, amici tutti della rinata scienza o membri tutti di una sorta di unica ‘società segreta' » (31).

Nel processo del 1633, a parte il rinnegamento formale delle idee espresse nel «Dialogo», che costituisce come una dimostrazione del contraddittorio «marchio di fabbrica» contenuto sul frontespizio, Galilei se la cavò alquanto bene. Infatti, subì una condanna irrisoria: «per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitenziali» (32), anche privatamente, dunque senza alcun controllo. Tempo necessario: una quindicina di minuti. Per quanto riguarda il carcere, egli non dovette scontarlo negli angusti sotterranei dell'Inquisizione, ove probabilmente, come in tutti i carceri dell'epoca, penzolavano catene ed altri strumenti di tortura, ma nella lussuosa Villa Medici, al Pincio, «reputato da tutti la meglio di Roma, senza difficoltà» (33). «Un luogo così delizioso», gli scrive infatti sollevata l'affezionatissima figlia suor Maria Celeste, il 2 luglio 1633 (34). In seguito, Galilei venne trasferito nella sua villa di Arcetri, una sorta di accademia o «loggia», dove poté tranquillamente proseguire i suoi studi, ricevere amici ed allievi, senza restrizioni particolari. Cartesio dunque si era sbagliato. La condanna ecclesiastica dell'eliocentrismo non riuscì a fermare la forza dirompente di tale dottrina. Infatti, anche se il cerchio si strinse intorno ai suoi fautori, la rivoluzione esoterica ugualmente si avviò. «E la terra intera, presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia»[1].

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1) Dieci anni prima, su Cartesio era caduto il pesante sospetto, mai dissolto, di appartenere alla setta dei cosiddetti "invisibili", ossia i Rosacroce. Il filosofo però fece di tutto per smentire ogni voce circa la sua appartenenza a tale setta, che se ci fu restò effettivamente "invisibile". Confronta, Giorgio Galli, "Hitler e il nazismo magico - Le componenti esoteriche del Reich millenario", BUR, Milano, 1999, capitolo settimo. 2) Citato da E. Garin, "Il ‘caso' Galileo nella storia della cultura moderna", in "Novità celesti e crisi del sapere" - "Atti del convegno internazionale di Studi Galileiani", Giunti Barbera, Firenze, 1984, pagina 5. 3) E.Garin, ibidem, pagina 9. 4) M. Caleo, "Galileo l'anticopernicano", Edizioni Dottrinari, Salerno, 1992, pagina 13. 5) G. Galilei, "Lettera a Cristina di Lorena", Carlo Mancosu Editore, Roma, 1993, pagina 14. 6) G. Morpurgo-Tagliabue, "I processi di Galileo e l'epistemologia", Edizioni di Comunità, Milano 1963, pagina 28. 7) R. Bellarmino, "Lettera ai Matematici del Collegio Romano", del 19 aprile 1611. Tutti i documenti citati nel presente articolo sono tratti dal testo, G. Galilei, "Dal carteggio e dai documenti-Pagine di vita", a cura di I. Del Lungo e A. Favaro, "Presentazione" di E. Garin, Sansoni, Firenze, 1915, ristampato nel 1984. 8) G. Morpurgo-Tagliabue, citato, pagina 123. 9) J. Leclercq, "Bernardo di Chiaravalle", Vita e pensiero, Milano 1992, pagina 13. 10) F. A. Yates, "Giordano Bruno e la tradizione ermetica", Laterza, Roma-Bari 1995, pagina 176. 11) L. S. Lerner e E. A. Gosselin, "Giordano Bruno", in "Le Scienze", edizione italiana di "Scientific American", numero 58, giugno 1973, pagina 25. 12) Questo memorabile incontro è ricordato dallo stesso Campanella in una lettera del 19 giugno 1636. 13 G. Ernst, "Astrologia e profezia in Galileo e Campanella", in "Novità celesti e crisi del sapere - Atti del convegno internazionale di Studi Galileiani", citato, pagina 264. 14) M. Caleo, citato, pagina 10. 15) "Lettera di Tommaso Campanella a Galileo", del 5 agosto 1632. 16) F. A. Yates, citato, pagine 413 e 414. 17) G. Martano (a cura di), "Neoplatonismo", Le Monnier, Firenze, 1981, pagina 14. 18) Confronta F. A. Yates, "Cabbala e occultismo nell'età elisabettiana", Einaudi, Torino, 2002, Parte prima. 19) La tradizione ermetica "non si è mai interrotta: in tutte le epoche sono sempre esistiti Grandi Iniziati che hanno trasmesso ad altri Iniziati le Verità di cui essi erano depositari. In tal modo, la tradizione iniziatica esoterica non ha subito interruzioni o salti", G. Di Bernardo, "Filosofia della massoneria", Marsilio, Venezia, 1987, pagina 126. 20) G. Di Bernardo scrive che: "mediante i simboli diventa visibile qualcosa che sta al di là dei significati che assumono i fatti storici ... il mondo della Qabbalà è un mondo di simboli", in "La ricostruzione del Tempio - Il progetto massonico per una nuova utopia", Marsilio, Venezia, 1996, pagina 87. 21) Confronta M. Eliade, "Immagini e simboli", Jaka Book, Milano, 1988, pagina15 e seguenti. 22) U. Nicola, "Atlante illustrato di filosofia", Demetra, Colognola ai Colli, 1999, pagina 440. 23) Il testo "Galileo L'anticopernicano", di M. Caleo, citato, mette a fuoco la contraddittorietà del linguaggio galileiano, che in realtà sembra negare quanto in apparenza afferma. Così: "L'assurdo dell'identità reale-razionale, ha prodotto quel metodo della ‘sensata esperienza', che, a mio parere, rappresenta un limite imposto alla scienza, dal momento che essa è portata a cercare più la sua verità che la verità del reale", pagina 9. 24) Niccolò Riccardi (1585-1639) genovese, frate domenicano, soprannominato "Mostro" dal Re di Spagna, forse non solo per la sua straordinaria cultura, ma anche per la sua notevole obesità, era zio di Caterina di Francesco Riccardi, moglie dell'ambasciatore del Granduca di Firenze a Roma Francesco Niccolini, e sostenitrice di Galilei. Eletto Maestro del Sacro Palazzo Apostolico, il Riccardi venne incaricato delle questioni relative alla stampa del "Dialogo sui due massimi sistemi". 25) Clemente Egidi da Montefalco, Inquisitore generale di Firenze. 26) Filippo Magalotti apparteneva ad una delle famiglie fiorentine che in Roma godevano i favori papali dei Barberini, coi quali erano anche imparentati. Costanza Magalotti infatti aveva sposato Carlo Barberini, fratello maggiore dei Pontefice. 27) Con Mario Guiducci, Galilei scrisse un "Discorso sulle comete", tenuto nell'Accademia Fiorentina e pubblicato nel giugno dello stesso 1619, in risposta polemica ad una pubblicazione del padre Orazio Grassi, dell'ordine dei Gesuiti, professore di matematica del Collegio Romano, nella quale veniva interpretata la comparsa di tre comete, avvenuta per la prima volta il 29 novembre 1618, nella costellazione dello Scorpione. Era una premessa alla polemica sviluppata successivamente contro il Grassi dallo stesso scienziato ne "Il Saggiatore". 28) "Lettera di Francesco Niccolini ad Andrea Cioli", del 3 luglio 1633. 29) Confronta L. S. Lerner e E. A. Gosselin, citato, pagina 29. 30) F. A. Yates, "Giordano Bruno e la tradizione ermetica", citato, pagina 445. 31) M. Caleo, citato, pagina 11. 32) Da "La sentenza di condanna di Galilei". 33) "Lettera di Benedetto Castelli a Galilei", del 6 aprile 1630. 34) Fu proprio la morte repentina di suor Maria Celeste, figlia prediletta di Galilei, avvenuta qualche mese dopo l'abiura, ad infliggere una dura condanna allo scienziato, peraltro già afflitto dalla cecità incombente. 35) "Apocalisse", 13, 3.  

t. Giancarlo Infante (Amico della M.S.M.A.)

 
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