Nostro Signore Gesù Cristo ha avuto un Angelo? |
E’ dottrina ben nota che ogni uomo ha un angelo custode. Non sarebbe strano, dunque, che sorgesse la seguente indagine: lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo, essendo allo stesso tempo Dio e uomo – è questo il mistero dell’Incarnazione – ha avuto anche Lui un angelo custode. Gli Angeli, in relazione a noi, sono come fratelli maggiori, incaricati dal Padre comune di dirigerci verso la Patria Celeste. Hanno la missione di guidarci e allontanare da noi, in maniera misteriosa, gli ostacoli del cammino. La loro “custodia” non consiste in funzioni di assistenza e di difesa subordinate, ma in una specie di tutela protettiva che si adatta alla nostra libertà umana e che sarà tanto più efficace quanto più noi ci affidiamo a questa con fiducia e buona volontà. In queste condizioni si vede che Nostro Signore non poteva avere un angelo custode in quanto tale. Il principale servizio dell’angelo custode, ci dice san Tommaso, è quello di illuminare la nostra intelligenza: “La guardia degli angeli ha come effetto ultimo e principale l’illuminazione dottrinale” (Summa Teologica I, 113, 2). Ora, Nostro Signore, anche nella Sua scienza umana, non aveva ragione di ricevere lumi da parte degli angeli. COMUNQUE, IL SERVIZIO DEGLI ANGELI GLI CONVENIVA Sebbene Nostro Signore avesse pieno potere sulle creature e, di conseguenza, potesse ottenere direttamente tutto quello che fosse necessario alla Sua vita corporale, avere per Sé il servizio degli angeli Gli conveniva per una doppia ragione. Da un lato, per quanto riguarda l’assistenza materiale – come, per esempio, le cure per l’alimentazione e il vestiario, dati da bambino da parte di Giuseppe e Maria e dopo, ormai adulto, dalle sante donne. Questa assistenza degli angeli era conforme alla forma di debolezza e fragilità di cui aveva voluto ricoprirsi il Verbo fatto carne. Dall’altro lato, non era giusto che anche prima che Cristo entrasse nella gloria, gli angeli già Gli testimoniassero coi loro pietosi omaggi particolari, e anche con certe manifestazioni esteriori, che Lo riconoscevano come loro Maestro e loro Re? LA SOLUZIONE DI SAN TOMMASO D’AQUINO In questa maniera, San Tommaso non ammette che Nostro Signore abbia avuto un angelo custode in senso stretto, perché il ruolo dell’”angelo custode” è propriamente una funzione di direzione e tutela che non poteva avere per oggetto la santa umanità del Salvatore. Ma il grande Dottore si guarda bene dal fare uno strappo rispetto al Vangelo e dal negare il servizio degli angeli a Nostro Signore, servizio il cui modo abituale di funzionamento gli autori sacri non spiegano. Essi, invece, segnalano diversi atti significativi (Lc 13; Mt 4, 11; 26, 53) che sembrano bene indicare che Nostro Signore ha avuto, non soltanto un angelo solo, ma una falange di spiriti beati legati al servizio e all’assistenza della Sua umanità. La posizione degli angeli in relazione alla santa umanità di Nostro Signore è, così, molto ben espressa da queste parole del Dottore Angelico: “Non era di un angelo custode, in quanto superiore, che aveva bisogno, ma di un angelo che lo servisse come inferiore. Da ciò deriva quanto si dice nel Vangelo di Matteo (4, 11): “Si avvicinarono gli angeli che lo servivano”” (Summa Teologica I, 113, 4). Era il ruolo di ministri, non quello di guardiani, che gli angeli dovevano ricoprire presso il Verbo incarnato: non erano custodi, ma servi. L’EPISODIO DEL GETSEMANI L’episodio del Getsemani mostra, è vero, una difficoltà speciale: “Apparuit de caelo Angelus – dice il testo sacro – confortans eum” (Lc 22, 43). Come l’angelo ha potuto riconfortare Nostro Signore, cioè, rianimare il Suo coraggio, portarGli un soccorso morale? San Tommaso colloca molto bene l’obiezione: non possiamo dedurre, allora, che Cristo fu istruito dagli angeli, visto che “siamo riconfortati dalle parole di esortazione di chi insegna”? A fronte di questa difficoltà egli stesso risponde: “Il conforto ricevuto dall’angelo non è avvenuto nella maniera di una istruzione, ma per manifestare la veracità della Sua natura umana” (Summa Teologica III, 12, 4, 1). L’ANGELO HA MESSO IN OPERA MOTIVI DI CONFORTO Possiamo dire che l’angelo ha cercato di dare un conforto morale all’anima di Nostro Signore, delicata rispetto a tutte le altre, e così sensibile alle manifestazioni di affetto, non meno che gli abbandoni, ai tradimenti e agli oltraggi. Così, il ruolo dell’angelo non è stato (il che sarebbe ammissibile) quello di concedere all’anima di Nostro Signore una “illuminazione” vera, di rivelarGli qualche cosa di nuovo per rianimare il Suo coraggio. Ma, sia per mezzo di una parola esterna, sia con un’azione interiore sulla immaginazione e memoria del Messia, l’angelo ha messo in opera motivi di conforto che Dio Salvatore conosceva bene, ma che Egli aveva allontanato in un modo più o meno diretto dall’applicazione del Suo spirito, poiché, al fine di bere fino alla fine il calice dell’amarezza, l’augusto Redentore, nel momento supremo della Passione, si impegnava a considerare tutta la portata e tutta la profondità di questa Passione espiatoria (vds Cardinale Billot, De Verbo Incarnato, thes. XIX, § 4). Da tutti i lati, i pensieri opprimenti Lo incalzavano, provocando nel Suo cuore e nella Sua carne angustie inesprimibili: “Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi” (Sal 18, 5). E’ stato allora che l’angelo ha evocato agli occhi di Gesù le più dolci rappresentazioni. Come ben dice un devoto autore: “Ah! Senza dubbio, questo celeste messaggero richiama l’attenzione del Salvatore sulle virtù magnifiche che sarebbero germinate dal Suo sangue divino; egli evoca il quadro profetico di questi mirabili cortei di vergini, di martiri, di confessori, di amici fedeli e di veri pentiti di ambo i sessi, di ogni categoria e di tutte le età, che malgrado le molte debolezze, avranno per Gesù un amore sincero e ardente e si sforzeranno al massimo di mettere al riparo il loro buon Maestro da tante sofferenze e ferite” L’Abbé J. V., Le Coeur de Nôtre Seigneur d’après l’Évangile, 29è. Jour -Tradotto, riassunto ed adattato da L’Ami du Clergé, n° 50, 1911,pp. 1111-1113 |
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