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Il culto di San Raffaele nella storia PDF Stampa E-mail

Il culto di San Raffaele nella storiaIl primo santuario consacrato in Europa all'arcangelo sarebbe la chiesa detta dei templari, nella città di Saint-Raphaël, sulla Costa Azzurra. La località ne trarrebbe il suo nome, essa ne porta nelle sue armi l'effigie. Ma si ignora tutto delle origini di questo luogo di culto, che risalirebbero al V secolo. Si conosce per contro - dalla legenda, almeno - la storia della chiesa dell'Anzolo, a Venezia. Essa sarebbe stata costruita nel VI secolo da una certa Adriana, moglie di Genusio Rutenio, signore di Padova. Il detto Genusio era partito in viaggio attraverso l'Europa, in un'epoca in cui le strade erano tanto meno sicure in quanto i barbari venuti dal Nord e dall'Est infestavano sui paesi occidentali. In capo a diversi mesi, non vedendolo ritornare, Adriana invocò l'arcangelo e fece voto di costruirgli una cappella se il suo sposo sarebbe rientrato sano e salvo al focolare.

Ella non aveva ancora formulato che da poco la sua richiesta che il nobile signore si annunciava alle porte di Venezia, in cui la coppia aveva la sua residenza estiva. Cosa promessa, cosa dovuta: in alcune settimane, l'edificio fu terminato e consacrato a l'Anzolo Rafael, forma dialettale per Angelo Raffaele. Adriana ebbe tanto meno pena nel far consacrare la cappella all'arcangelo - il cui culto era allora poco diffuso -, in quanto ella beneficiò dell'appoggio di un prelato: Magno, vescovo di Eraclea, era sbarcato nella laguna di Venezia al termine di un pericoloso viaggio che lo aveva portato dalle coste del mar Egeo a quelle dell'Adriatico. Egli era fuggito davanti ai barbari e, nel momento in cui stava per cadere nelle loro mani, si era raccomandato a san Raffaele. Questi gli era apparso - non si dice sotto quale forma - e avendolo assicurato della sua protezione, gli aveva chiesto in cambio di dedicargli un santuario. Allorché il vescovo si disponeva ad intraprendere i primi lavori, Adriana era venuta a trovarlo per parlargli del suo voto e pregarlo di consacrare all'arcangelo la cappella che ella si proponeva di costruire. E' così che la nobildonna ed il vescovo sono all'origine della chiesa dell'Anzolo, ma la leggenda non precisa se essi hanno suddiviso le spese di costruzione, o, in caso contrario, quale dei due ne avrà finanziato la costruzione. Comunque sia, la città dei dogi ha adottato san Raffaele come uno dei suoi celesti protettori e, lungo i secoli, il santuario, caro al cuore dei Veneziani, fu costantemente ingrandito ed abbellito.

Il 9 ottobre 1659 di sera, il padre BARTOLOMEO CANALE ed il suo compagno fra MELCHIORRE BONETTI, religiosi barnabiti, giungono nelle vicinanze della città di Savona. Sono trascorsi cinque giorni dacché hanno intrapreso, a partire da Monza dove essi risiedono, un pellegrinaggio ai più famosi santuari d'Italia: impresa ad alto rischio, tenuto conto dell'insicurezza delle strade, che infestano briganti, mercenari stranieri smobilitati e vagabondi di ogni risma. Le porte di cinta sono già chiuse a causa del coprifuoco, e si rifiuta ai due pellegrini l'entrata della città, ma una sentinella indica loro la direzione di un albergo dove potranno trovare l'ospitalità: Seguimmo il cammino che ci aveva indicato, ma dopo aver molto girato in tondo, poiché non conoscevamo il paese ed a causa della notte, finimmo per perderci del tutto, lontani da ogni abitazione e da ogni strada. Non sapevamo più che fare, né dove andare, ed in questa situazione angosciante, esitammo sulla decisione da prendere. Allora ci volgemmo verso il Signore, che mai abbandona quelli che confidano in lui".

Appena hanno invocato l'assistenza divina che si vedono esauditi: "Ecco che subitaneamente noi sentimmo dei brusii di parole, e due adolescenti simili a due angeli inviati dal cielo apparvero. Con cortesia, essi ci accompagnano e, in pochissimo tempo e per una via molto comoda, ci ritrovammo nei sobborghi di Savona, a San Sebastiano, davanti all'albergo della Rosa Rossa. Erano circa le due del mattino. I giovani batterono alla porta e l'oste ci accolse subito, trattandoci molto bene. Io dissi allora alle nostre due guide di aspettare un istante, poiché volevo far portare loro da bere e dare loro un po' di soldi. Ma non appena l'albergatore aveva preso la luce e portato del vino, e io stavo per preparare il denaro, che i nostri uomini erano scomparsi. Benché avessimo illuminato la strada con la lanterna, non li abbiamo più rivisti. Il padre Canale disse: "Penso che Dio ci abbia inviato due angeli per accompagnarci". Semplicemente, il buon frate si diede un poco il bel ruolo nella sua Relazione. Più grave, egli omette di precisare che il venerabile Bartolomeo Canale (1603-1681) identificava i misteriosi adolescenti come l'arcangelo Raffaele e l'angelo protettore della loro famiglia religiosa.

Quello che è accaduto nel 1839 ad Antonio Maria Claret è ancor più stupefacente. Il giovane sacerdote catalano - era stato ordinato nel 1835 - decide di recarsi a Roma per sollecitare la sua ammissione alla Propaganda Fide, poiché egli si augura di diventare missionario.  Siccome gli rifiutano un lasciapassare. Egli prende il cammino dei contrabbandieri e dei clandestini fino a Perpignan, e da lì prosegue la sua strada fino a Marsiglia, che egli raggiunge alla fine del mese di settembre. E' subito accostato da un passante che gli indica un albergo, così come pure l'indirizzo del consolato di Spagna, dove egli deve ritirare il suo passaporto. L'indomani, allorché cerca la via dove abita il console, lo stesso giovane lo avvicina: Non solamente mi indicò la via, ma mi ci accompagnò. Parlò al console e tutto si arrangiò tutto per il meglio, poi mi portò a visitare le chiese, il cimitero e tutto quello che la città conta di più prezioso in materia di edifici religiosi; mai mi parlò di stabili e di cose profane, né mi ci condusse.

Infine, il 2 ottobre, Antonio Maria Claret deve imbarcarsi sul Tancredi, che effettua la traversata da Marsiglia a Civitavecchia: Poco prima, egli si presenta al mio albergo, prende il mio bagaglio e mi pregò in mille maniere di lasciargliele portare, e così noi andammo tutti e due al porto. Ci lasciammo davanti al battello. Durante quei cinque giorni, egli era stato con me in permanenza, mostrandosi così delicato, così attento, così amabile e così scrupoloso verso di me, che mi sembrò che il suo grande Signore lo avesse inviato per assistermi con la più grande cura; sembrava un angelo più che un uomo, così modesto, così allegro, e così pensieroso allo stesso tempo, così religioso e così fervente, portandomi sempre nelle chiese, cosa che mi piaceva molto. Mai mi propose di entrare in un caffè né in altro luogo similare, mai lo vidi mangiare né bere, poiché al momento dei pasti egli scompariva, per ritornare poi.

Sant'Antonio Maria Claret ha sempre creduto che avesse beneficiato nella città focea dell'assistenza di un inviato di Dio, verisimilmente l'arcangelo Raffaele. Sovente nella sua vita, egli provò la protezione sensibile degli angeli, verso i quali egli nutriva una profonda devozione. Egli annota nei suoi scritti autobiografici che, più di una volta, essi lo hanno aiutato a ritrovare la propria strada quando si era perduto, che lo hanno liberato dai banditi di strada, che hanno svelato i tentativi di assassinio contro di lui quando egli era arcivescovo di Cuba, poi confessore della regina Isabella II di Spagna. Malgrado l'estrema discrezione di cui faceva prova per quello che riguardava la sua vita interiore, gli giunse di lasciarsi sfuggire alcune confidenze, e non poté nascondere a tutti le sue estasi, accompagnate talvolta da lievitazione e da manifestazioni luminose.

Sarebbe stato interessante anche conoscere i favori straordinari che ricevette dall'angelo Raffaele la sua compatriota Santa MARIA JOSEFA SANCHO DE GUERRA (1842-1912), fondatrice delle Serve di Gesù della Carità: Ella raccomandava quella devozione che praticava lei stessa, invitandoci a chiedere a San Michele il timore di Dio, a San Raffaele lo spirito di carità per curare gli ammalati e perché non muoiano senza aver ricevuto i sacramenti, ed a San Gabriele la forza per sopportare le vicissitudini dell'esistenza. Ella ci inculcava anche la devozione all'angelo custode, affinché rimanessimo fedeli alle divine ispirazioni. Ma la Madre ha taciuto gli interventi prodigiosi dell'angelo in suo favore, come pure le sue religiose, che si accontentavano di rilevarle con laconismo: Fino alla sua morte, la formidabile umiltà di nostra Madre ha vigilato nel tenere nascoste numerose grazie straordinarie (...) Secondo l'esempio dato dalla venerabile Fondatrice, la devozione a San Raffaele ha acquisito nell'Istituto un grande sviluppo: le suore hanno adottato la pratica delle continue novene all'arcangelo, ed esse hanno infinite volte sperimentato la sua protezione visibile di fronte a dei pericoli manifesti al momento dei viaggi che esse avevano da intraprendere in vista della loro missione caritativa. Non ne sappiamo dunque di più, ed è ben rammaricabile. Da questi racconti, esce nondimeno che l'angelo è in permanenza vicino a quelli che viaggiano, in spostamento professionale con essi per così dire.

Poiché egli ha trovato il rimedio proprio per guarire la cecità del vecchio Tobia, Raffaele è considerato come l'angelo taumaturgo e, a questo titolo, egli è uno dei santi patroni dei medici e dei farmacisti, ma anche dei ritrosi. Ma in origine, i fedeli che l'invocano aspettano da lui che egli ottenga la guarigione spirituale, ossia la grazia della conversione. Fin dal Medio Evo circola questa preghiera:

Venite in mio aiuto, ve ne supplico,
Glorioso Principe San Raffaele,
Il miglior medico delle anime e dei corpi.
O voi che avete guarito gli occhi di Tobi,
Date ai miei occhi la luce fisica,
Ed all'anima mia la luce soprannaturale:
Allontanate da me tutte le tenebre
Con le vostre celesti suppliche. Amen.
(Manoscritto del XI secolo)

Uno dei primi a fare appello ai poteri dell'arcangelo come guaritore delle anime è il giovane eremita GENS BOURNAREL (il suo nome significa in provenzale bello, grazioso). Nato nel 1104 a Monteux, vicino a Carpentras, egli nutrì fin dalla sua infanzia una particolare devozione a San Raffaele, e deplora tanto più la fastidiosa abitudine che hanno i suoi concittadini di "punirlo" quando la siccità fa strage: essi portano in processione un'antica statua ritenuta rappresentare l'angelo, poi vanno ad immergerla nelle acque del Ricaveau, un ruscelletto vicino, dove essa rimane immersa fino a che infin cade la pioggia. Un giorno, Gens decide di metter fine a questa pratica superstiziosa: prende l'effigie e la brucia, col pretesto che quel pezzo di legno divenuto informe in capo al tempo non è altro che la reliquia di un antico idolo. Senza dubbio non ha torto. Gli abitanti di Monteux, parroco in testa, prendono la mosca e cacciano l'importuno a colpi di pietra. Alcuni autori dicono che egli ne è tanto più contento che così facendo sfugge ad un matrimonio progettato da papà Bournarel, e di cui egli non voleva saperne. Gens - non ha che una quindicina d'anni - si ritrae in solitudine nei dintorni del Beaucet, non lontano da Venasque. Per alcuni anni, egli vi mena una vita solitaria, beneficiando di frequenti apparizioni del suo angelo custode e dell'arcangelo Raffaele, al quale egli chiede la conversione degli abitanti di Monteux. Un giorno, avendo un lupo sgozzato la sua mucca, egli lo obbliga i nome dell'angelo a prendere il posto della povera bestia per tirare la carretta. Ma la leggenda non dice che il lupo gli abbia fornito anche del latte. San Gens è morto all'età di 23 anni nel posto dove si innalza oggi il villaggio che reca il suo nome.

Una gentile leggenda poitevina riporta che Raffaele rivelò ad un pio eremita - è San Gens? - l'uso dell'angelica, così chiamata in suo onore (la si chiamava una volta arcangelica). A credere agli autori antichi, questa pianta sarebbe una vera panacea: essa guarirebbe la rabbia e le malattie proprie alle donne: "Essa aiuta le donne ritenute troppo fredde a concepire, e fa venire i fiori alle ragazze che tardano troppo nell'averli". Essa renderebbe amabili le spose e le suocere amare, e fedeli le balzane. Sarebbe anche sovrana contro il veleno dei serpenti e degli scorpioni, e permetteva di vivere centenario. Un certo Annibale Camoux, morto a Marsiglia nel 1759 all'età rispettabile di centoventi anni, attribuiva la sua longevità eccezionale all'abitudine che aveva di masticare ogni mattina la radice di angelica. Madame de Sévigné, che ne usciva pazza - il suo buon gusto non ricorda nulla di cui ci si sovvenga e non rassomiglia a nessun altro gusto che il suo - non dovette dare sufficientemente libero corso alla sua leggendaria ghiottoneria poiché è deceduta a settant'anni. Soprattutto, l'angelica mostrerebbe la sua efficacia al momento delle epidemie di peste: nel 1510, riporta Paracelso, la si utilizzò contro questo flagello a Milano, e quando esso si abbatté sul Poitou, il 6 maggio 1603, le religiose della Visitazione di Niort - che avevano fatto dei rami di angelica confetti di loro specialità, molto ricercata - si misero a distillare la pianta per distribuirne il liquore agli ammalati. Si ignora se il rimedio fosse efficace, ma questo non ha nulla di sorprendente, tanto è vero che dopo una macerata di anguilla all'aglio ed una buona irrorata di angelica, chiunque si trovasse in punto di morte risusciterebbe subito: il miscuglio, specialità del Marais (palude) poitevino - è detonante. 

Questa utilizzazione dell'angelica trae la sua origine da una apparizione dell'arcangelo a SIMONE DE SOUSA, commendatore dell'Ordine di Nostra Signora della Mercede a Cordoba durante la peste del 1348. il religioso si desolava nel vedere gli ammalati soccombere a centinaia - vi furono tante vittime presso i mercedari stessi, che inquadrarono una fusione con i trinitari, non meno provati -, quando egli vide apparire un giovane d'una bellezza eclatante che gli disse: Io sono l'arcangelo Raffaele, vengo in tuo aiuto. Le tue preghiere, le tue elemosine, e soprattutto la tua perseveranza nelle vie dell'umiltà e della carità, sono d'un sì grande pregio agli occhi di Dio, ch'egli calmerà il suo corruccio, distoglierà il flagello e farà sentire a questa città provata le dolcezze della sua misericordia. Vai a trovare il vescovo e digli di far mettere sul campanile della cattedrale una mia immagine, e che egli esorti il popolo a ricorrere alla mia intercessione. Immediatamente, gli ammalati saranno guariti, alla sola condizione di chiedere alla Regina degli angeli la medicina di Dio. Apprendi anche che tutti quelli che porteranno la mia immagine e faranno ricorso alla mia intercessione, saranno liberati da ogni male, in particolare dai malefici dell'impuro Asmodeo, che perde gli uomini e rapisce loro la grazia di Dio. La medicina di Dio non era, come lo si credette più tardi, l'angelica. Raffaele pensava piuttosto ai rimedi spirituali che costituiscono la preghiera e la conversione. Il popolo non si sbagliò affatto, e ben presto l'epidemia fu circoscritta. Riconoscente, Cordoba si pose solennemente sotto la protezione dell'arcangelo, al quale la municipalità innalzò nel 1884 una statua su una delle piazze della città.

A partire da allora, la devozione verso l'angelo guaritore fu popolarissima in Spagna. San GIOVANNI DI DIO (1439-1550), fondatore a Granata di un ospizio da cui sarebbe uscito l'Ordine dei Fratelli Ospedalieri, beneficiò fin dagli inizi della sua impresa dell'aiuto di Raffaele, che gli apparve per dirgli: Giovanni, io sono l'arcangelo Raffaele, inviato da Dio per assisterti nel tuo caritatevole lavoro. Il Signore mi ha confidato la custodia della tua persona e di tutti quelli che, con te, serviranno il Signore. Io tengo un conto fedele delle tue azioni e delle elemosine che ti sono fatte. Io ho per missione di proteggere tutti quelli che favoriranno le tue opere di carità. Sotto tali auspici, l'opera non poteva che prosperare, e l'angelo vi si impegnò. Una volta, come Giovanni percorreva le strade di Granata con l'attrattiva della sua carità - marmitte piene di zuppa, fiaschi di vino e flaconi d'olio, stoffe, bende, fiale di medicamenti e vasi di unguento -, egli vide sotto un portico un miserabile in stato pietoso: occorreva portarlo all'ospedale, ma come fare, carico del suo basto di soccorritore? Subito apparve Raffaele, prese il medico in braccio e ne caricò le spalle di Giovanni che, piegando sotto il peso, raggiunse tanto bene quanto male l'ospizio. Un'altra volta, essendo venuto a mancare il pane, Giovanni si pose in dovere di solcare le vie della città per trovare qualche benefattore. Durante la sua assenza, un bel adolescente vestito come lui entrò in infermeria, recando una cesta colma di pane tanto fresco, con cui gli ammalati si saziarono. Q2uando il santo questuante rientrò - afflitto e desolato al pensiero che i suoi poveri non avrebbero avuto da mangiare -, li trovò saziati, dormenti beatamente. Siccome egli si meravigliava, l'arcangelo si mostrò a lui: Fratello mio, noi formiamo un solo e stesso ordine, poiché vi sono degli uomini che, sotto un povero abito, sono uguali agli angeli prendi questo pane che il Cielo vi invia!.

Ed egli designò una provvigione di michette calde e dorate a punto, che assicurarono la pietanza dell'indomani. Si trovarono tuttavia diverse volte alcuni ammalati un po' tignosi nel far osservare che, la vigilia, quando egli aveva loro distribuito i pani, Giovanni era d'una bellezza e d'una giovinezza singolari. Egli ebbe delle difficoltà nel convincerli che la fame aveva dato loro di volta, essi non demorsero: o era un angelo, oppure il loro benefattore era in bilocazione, trasfigurato dal miracolo. L'una e l'altra possibilità non essendo contraddittorie, così come lo spiegherà nel XX secolo la stigmatizzata tedesca Teresa Neumann, rivestendo il suo angelo custode la sua parvenza per esercitare da lontano un apostolato che ella si sarebbe augurata di compiere, mas che la distanza od altre circostanze le impedivano di compiere di persona: Un uomo ce mi è del tutto sconosciuto mi ha raccontato che egli era pronto, sabato scorso, a suicidarsi a causa delle pene morali e delle difficoltà professionali insormontabili. Subito, Teresa Neumann si era trovata davanti a lui e lo aveva messo in guardia, dissuadendolo dal compiere il suo gesto. Nel suo stato normale, Teresa mi disse che ella aveva avuto molto da soffrire quel sabato, che era stata in preda a penose tentazioni di scoraggiamento. Nello stato di riposo elevato, ella ci fece sapere che il suo angelo custode aveva rivestito il suo aspetto per avvisare quell'uomo, poiché egli interviene così per manifestare quello che il Salvatore opera in lei. Quello che fece senza dubbio l'angelo custode della beata GIACINTA MARTO (1910-1920), la piccola veggente di Fatima, per riportare nel retto cammino un "figlio prodigo" che sua madre aveva confidato alla preghiera della ragazzina: Egli affermava che Giacinta gli era apparsa, che l'aveva perfettamente riconosciuta. Chiesi a Giacinta se fosse vero che lei si era trovata là con lui. Ella mi rispose di no; che non sapeva neanche dove fosse quel bosco di pini e quelle colline dove egli si era perduto. "Io ho solamente pregato molto per lui Nostra Signora, mi disse lei, poiché avevo pena per zia Vittoria". Ecco dunque quello che lei mi ha risposto. Che cos'è dunque accaduto? Non lo so. Dio solo lo sa. Alla morte di Giovanni di Dio, le campane delle chiese di Granata si misero a suonare: come lo avevano fatto alla sua nascita -, fenomeno che il buon popolo attribuì ad una iniziativa degli angeli desiderosi di rendere omaggio a colui che li aveva tanto onorati e pregati durante la sua vita.

"Enciclopedia dei fenomeni straordinati" di Joachim Bouflet - Tradotto da Alfonso Giusti (Segretario Generale della M.S.M.A.)

 
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