L'amica dell'Angelo custode |
Tutte le vite dei santi sono sante. E tutte hanno per motivo fondamentale quello dell’amore di Gesù e di Maria. Ma ogni santo ha poi una particolare grazia per sé e un particolare insegnamento per gli altri. Leggendo la vita di Gemma Galgani, ho incontrato, fra i vari capitoli, alcune pagine che mi hanno fatto sempre un certo effetto, fra la meraviglia e l’incredulità. D’altra parte ho sempre capito che proprio quelle pagine formavano il grumolo più fragrante della santità di Gemma Galgani. La fanciulla lucchese, si sa, era un giglio di purezza, uno specchio di obbedienza, un esempio di umiltà. Soffrì la passione di Gesù e ricevette le stigmate di Cristo. Ma quanti altri santi non furono come lei puri, obbedienti, umili e piagati? Leggendo dei suoi atti di virtù, dei suoi sudori sanguigni, della sua candida innocenza, della sua umile carità, sono preso d’ammirazione e da venerazione per la fanciulla lucchese ma soltanto quando giungo su quelle tali pagine a cui ho accennato, l’anima ... ... mi fa un balzo di meraviglia. E queste pagine, che più delle altre mi colpiscono, narrano le relazioni della giovane santa col suo Angelo custode. L’Angelo custode! In quasi tutti noi, non è che una reminiscenza del catechismo, quell’angelo custode che forse abbiamo sentito vicino nel giorno della prima comunione, e che poi è stato rapidamente dimenticato. Ricordiamo spesso i cari amici d’infanzia, i luoghi della gioventù, i giochi dell’adolescenza. Ci piace tornare alla ricerca del tempo perduto e alla commemorazione di quel paradiso confinato nel tempo che prende i colori del mito via via che si allontana da noi nel tempo. Ma chi ricorda mai l’Angelo custode dei nostri primi anni, il compagno dei primi fervori religiosi? E se qualcuno ci dicesse che quell’Angelo non è un ricordo nostalgico, ma è ancora al nostro fianco, non invecchiato e non stanco, come accoglieremmo la notizia? Forse quelle parole ci muoverebbero più all’ironia che alla meraviglia, più alla diffidenza che allo stupore. Perché il sintomo più allarmante della nostra tragedia spirituale consiste proprio nell’aver dimenticato l’Angelo custode. L’uomo senza più celestiale compagnia, cammina solo le vie del mondo; combatte solo con la sua nuda volontà, si dibatte nell’errore, solo cade, muore solo. Nel tumulto della vita, l’uomo è disperatamente solo, non sentendo vicino a sé nessuna presenza soprannaturale. Egli è costantemente accompagnato dall’ombra del suo corpo, ma non è mai, Né preceduto né seguito dalla luce del suo Angelo custode. L’Angelo custode è il grande scomparso della nostra vita. Morremo, e del nostro compagno di viaggio non sapremo nulla, fuorché la notizia tutta intellettuale del suo essere. La sua rivelazione ci stupirà, e ci parrà impossibile che egli sia stato così vicino a noi, e noi si sia stati tanto lontani da lui. Il suo volto ci sarà sconosciuto, la sua voce, misteriosa. Nessun estraneo ci sembrerà più estraneo del nostro Angelo custode. Invece Gemma Galgani vedeva e udiva il suo custode. Parlava con lui, scherzava e gioiva alla sua presenza. Si confidava con lui, si mortificava dei suoi rimproveri. Poteva fissare il volto del suo Angelo, e in quella visione perdeva i sensi. Poteva parlare con lui, come si parla a un amico. Gli diceva: "Se qualche volta sono cattiva, caro Angelo, non ti adirare, voglio esserti grata". Lo scorgeva sensibilmente, ora sospeso in aria, con le ali spiegate, ora in ginocchio per terra. Al fianco ella aveva la presenza continua di questo puro spirito. Quando egli non era contento di lei, la obbligava a guardarlo fisso in viso. "Mi comandò di guardarlo in faccia, - raccontava la Santa al suo direttore spirituale – Lo guardai, ma abbassai quasi subito il mio sguardo. Ma lui insisteva… Mi lanciava certi sguardi severi…". Il confessore, al quale certa confidenza non piaceva, vietò alla giovane di tenere i suoi rapporti con l’Angelo custode alla maniera delle comuni amicizie. Allora Gemma Galgani si rivolse al compagno angelico, dicendo: "Ci vuole pazienza, caro Angelo, il padre non vuole, e ci conviene cambiare registro". Tanto candore e tanta genuina cordialità mi hanno sempre meravigliato moltissimo. Ma anche più stupefacente mi è parsa la disinvoltura con la quale la fanciulla umilissima, per condizioni sociali e per volontà religiosa usava dell’Angelo come di un servitorello. Gli affidava ambasciate e gli consegnava lettere da recapitare. L’Angelo obbediva, riferiva, portava le risposte. La cosa avrebbe davvero qualcosa di burlesco e di sconveniente, se un uomo della serietà di padre Germano non l’attestasse con coscienza: "Quante prove – egli scrive – non furono da me tentate per accertarmi che fatto così singolare accadesse veramente per virtù soprannaturale! Eppure niuna fallì mai, e sempre dovetti rimanere convinto che, come in questa, così in altre cose straordinarie non poco il cielo voleva per dir così scherzare con questa bambina sì semplice e a lui tanto cara". Se non che, gli scherzi, per dir così, del cielo sono sempre significativi ammaestramenti. Nella confidenza di Gemma Galgani per il suo Angelo custode, non ci è forse una grande lezione per tutti gli uomini? Noi abbiamo dimenticato il nostro Angelo; non ne avvertiamo più la sua presenza, non ne vediamo più il volto, non ne sentiamo più la voce. Siamo come soli, abbandonati, scoraggiati. Per tornare alla fiducia e alla speranza, bisogna ristabilire le relazioni col nostro Angelo custode. Questa è la lezione che ci dà Gemma Galgani. Il principio di quasi tutti i mali che travagliano l’umanità e la società, è nella solitudine dell’uomo, il quale non vive più nella luce di una presenza angelica. Perciò, oscuramente l’uomo combatte dentro di sé, e brutalmente combatte fuori di sé, nemico della sua anima e del suo prossimo, perché dimentico del suo Angelo custode. Testo di Pietro Barghellini, consigliato da Miriam (Amica della M.S.M.A.) |
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