Adora il Signore e rendi culto solo a Lui |
L'evangelista presenta in tre scene che si susseguono come in una sequenza cinematografica le tre tentazioni mosse dal diavolo a Gesù nel deserto. Narrate con immagini grandiose, sono poste all'inizio della sua vita pubblica. Ma è un inizio «paradigmatico», che si apre al seguito e che in qualche modo anticipa le singole tappe della vita di Gesù. In particolare Luca scrive esplicitamente: «Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, d diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato» (Luca 4,13). Così, dopo la moltiplicazione dei pani, quando le folle lo vogliono fare re, Gesù fugge sulla montagna, lui solo (Giovanni 6,15). E così quando lo vorrebbero limitare alla dimensione del miracolo, ostacolandolo nell'annuncio, che è la sua missione tipica (Marco 1,35-39). E ancora quando Pietro, dopo aver confessato che Gesù è il Figlio di Dio, pretende di tenerlo lontano dalla via della passione: il Signore, invece, lo rimprovera dicendogli: «Lungi da me, satana! ... ... Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Marco 8,33). Continuo, dunque, è il confronto tra Gesù e Satana. E in tal senso, il racconto delle tentazioni compendia in mirabile e drammatica sintesi tutta la lotta di Gesù: egli difende e custodisce limpide l'essenza e l'autenticità della missione ricevuta dal Padre e nello stesso tempo indica l'ordine che deve guidare la vita, il cammino dell'essere umano, il cammino della storia. In questione è sempre la scelta radicale tra l'obbedienza alla volontà di Dio, suprema e unica norma di vita, e l'ascolto della voce del diavolo che spinge alla disobbedienza. «Si tratta ultimamente di ciò che ha importanza nella vita. Questa realtà ultima, decisiva è il primato di Dio. Il cuore di ogni tentazione è di mettere da parte Dio, che accanto a tutte le cose che urgono della nostra vita appare come una questione di second'ordine. Ritenere più importanti se stessi, le esigenze e i desideri del momento che non Lui, questa è la tentazione, che sempre ci minaccia. Infatti, in tal modo si contesta a Dio la sua divinità e facciamo nostro Dio noi stessi o meglio le potenze che ci minacciano» (1.Ratzinger). La prima tentazione: di' che questi sassi diventino pane! La prima tentazione si aggancia alla fame di Gesù, una fame causata dal prolungato digiuno: «E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò» (Matteo 4, 2). E lo tentò: «Gli disse: "Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane"» (Matteo 4,3). È dunque sul suo essere, sulla sua «identità» filiale, e quindi sulla sua relazione vivente e personale con Dio che Gesù viene tentato: «Se sei Figlio di Dio...». Queste parole le udremo ancora sulle labbra di quelli che scherniranno Gesù sotto la croce: «Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!» (Matteo 27,40). Sono parole che, mentre suonano derisione e insulto, contengono una grande sfida, come pure le parole che seguono: «Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso!». Dunque, per essere credibile, Gesù deve dare la prova delle sue prerogative divine. Per la verità, questa è una richiesta che attraversa tutta la vita di Gesù. Ed è la stessa richiesta che anche noi, lungo la storia, rivolgiamo a Dio, a Cristo, alla Chiesa. Se tu, o Dio, veramente esisti, devi mostrarti con evidente chiarezza! Se tu, o Cristo, sei veramente il Figlio di Dio, lo devi attestare in modo irrefutabile, anche con il miracolo! Se tu, o Chiesa, sei vera-mente la Chiesa di Cristo, devi far trasparire senza ombre il suo volto luminoso! Il tentatore chiede a Gesù, come prova del suo essere Figlio di Dio, di rendere pane le pietre del deserto. Non è forse una richiesta assolutamente logica, se è vero che niente contraddice più radicalmente la nostra fede nella bontà di Dio e nell'amore di Cristo redentore che la fame degli uomini? Tanto più che nel cammino di Israele nel deserto Dio stesso aveva nutrito il suo popolo con la manna. E proprio questo pane del cielo era visto come una prefigurazione del tempo messianico! È una sfida tremenda quella posta dal tentatore a Gesù, perché il grido degli affamati -sono senza numero nel mondo! -ci penetra profondamente nell'anima e ci sconvolge. Ma come rispondere alla sfida? Ecco la risposta di Gesù: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Qual è il vero senso di queste parole? E ne-cessario cercare di comprenderlo bene, anche alla luce di altri interventi di Gesù circa il pane. Come sappiamo, egli moltiplica il pane per migliaia di persone che l'hanno seguito nel deserto. Ma queste erano venute per udire la Parola di Dio e per questo avevano abbandonato tutto il resto. Potevano, allora, con un cuore aperto a Dio e in comunione con i fratelli, ricevere il pane in un modo giusto. Gesù, dunque, non è indifferente alla fame degli uomini, alle loro necessità materiali, ma le colloca nel giusto contesto e dà loro il giusto ordine. Ritroviamo un altro intervento di Gesù sul pane: è l'intervento nell'ultima Cena, quando il pane diventa Eucaristia: Gesù stesso, cadendo per terra e morendo, diviene pane di vita per noi (cfr. Giovanni 12,24), con una moltiplicazione che dura in modo inesauribile sino alla fine dei tempi. Ora di fronte al tentatore e alla sua proposta Gesù si appella alla Parola di Dio e respinge la tentazione dei pani, ossia rifiuta un messianismo economico, come se la salvezza voluta da Dio e portata da Gesù agli uomini si potesse esaurire nella realizzazione e promozione esclusivamente mondane dell'esistenza. Ma il pane non è un assoluto e l'uomo non è soltanto homo oeconomicus! «Gesù rifiuta la via messianica di una salvezza soltanto terrestre e in termini di benessere (pani) e apre se stesso e noi al primato di Dio e della sua parola» (V. Mannucci). Alfred Delp, il gesuita tedesco giustiziato dai nazisti, ci aiuta a cogliere la verità, e insieme la bellezza e l'urgenza, della risposta di Gesù al tentatore scrivendo: «il pane è importante, la libertà è più importante, ma la cosa più importante di tutte è l'adorazione». Come a dire che, dove quest'ordine dei beni viene rovesciato, ossia dove non c'è adorazione di Dio, non ci può essere giustizia nei riguardi dell'uomo: anche l'ambito dei beni materiali viene dissestato e distrutto. Lo dimostra, tra l'altro, il fallimento del marxismo: rifiutando Dio, esso credeva di poter trasformare le pietre in pane, ma ha finito per dare pietre invece di pane! Come scrive il Papa: «Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore» (Centesimus annus, n. 24). «Non di solo pane vive l'uomo...». Siamo chiamati ad accogliere con totale disponibilità e a vivere con grande determinazione queste parole così sante e così vere! Dobbiamo riconoscere nuovamente il primato di Dio e della sua Parola! Solo questa «adorazione» di Dio, unico e sommo Bene, ci libera dalla «idolatria» dei beni materiali e dalla «brama di ricchezza» (cfr Efesini 5,5). La seconda tentazione: gettati giù! L'evangelista la introduce così: «Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù...» (Matteo 4,5-6). È inutile domandarsi come il diavolo abbia portato Gesù a Gerusalemme. Le tentazioni, infatti, non implicano nessuno spostamento, tanto che alla fine Gesù si ritrova di nuovo nel deserto. Si tratta piuttosto di un processo puramente interiore dello spirito di Gesù. Teatro di questa seconda tentazione è il tem-pio di Gerusalemme, il centro spirituale del giudaismo. Anzi è il pinnacolo, lo spigolo più alto delle mura del tempio, che sta su di uno strapiombo impressionante sulla vallata del Cedron: da lì venivano precipitati i bestemmiatori. Per Gesù il tempio della città santa è, nella sua verità più bella e affascinante, la «casa del Padre». In tal modo, la tentazione riveste una forma profondamente «religiosa»: diventa una sfida sacrilega a quanto di più caro possiede e vive il Signore Gesù, il suo rapporto filiale di totale fiducia con Dio. Il Grande Tentatore sottopone nuovamente a durissima prova la divinità di Gesù: «Se sei il Figlio di Dio...». E proprio lui, il diavolo, non si vergogna di citare la Sacra Scrittura, evidentemente per attirare Gesù nella sua trappola. Gli ricorda il bellissimo Salmo 91, che canta la protezione di Dio garantita all'uomo fedele mediante il soccorso degli angeli: «Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede» (Salmo 91,11-12). Si noti l'astuzia diabolica -è il caso di dirlo! -di far riascoltare queste parole del Salmo in un luogo sacro, dunque nel luogo che per eccel-lenza parla della protezione di Dio: dove dovrebbe l'uomo, che crede in Dio e a lui si affida, potersi sentire più sicuro che non nel sacro recinto del tempio? La citazione del Salmo è precisa e puntuale. E anche questo è un particolare significativo, perché il diavolo si rivela grande conoscitore delle divine Scritture, sicché il colloquio della seconda tentazione si configura come un dibattito fra due esperti nella Bibbia. Il diavolo vi appare, dunque, come abilissimo «teologo» (J.Gnilka). Anche Gesù risponde al colpo inferto dal tentatore con la stessa «arma», citando cioè la Parola di Dio: «Gesù gli rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo"» (Matteo 4,7). Così, per dare risposta alle trentaquattro parole pronunciate dal diavolo (secondo il testo greco), a Gesù ne bastano pochissime: «Non tentare il Signore Dio tuo». Si tratta di una citazione desunta dal libro del Deuteronomio (6, 16), che rievoca l'episodio dell'acqua scaturita dalla roccia. Com'è noto, il popolo ebraico -giunto a Massa (che significa «tentazione») -aveva messo alla prova Dio con mormorazioni e contestazioni (Meriba vuol dire appunto «contestazione», «protesta») reclamando acqua ad ogni costo, sino a minacciare Mosè di lapidazione (Esodo 17,1-7). Israele di-mostrò, ancora una volta, la sua durezza di cervice e di cuore, la sua ingrata sfiducia verso Dio che l'aveva liberato dall'Egitto. Di qui la pretesa minacciosa di un intervento miracoloso da parte di Dio. Ma una simile pretesa costituiva una vera sfida, una «tentazione» contro Dio. Significava metterlo alla prova: Dio deve mostrare con un miracolo che è Dio! Scrive l'autore sacro: «Si chiamò quel luogo Massa e Meriba, a causa della protesta degli israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: "Il Signore è in mezzo a noi sì o no?"» (Esodo 17,7). «Gettati giù!». E la tentazione del messianismo miracoloso e spettacolare, «che sbaglia la grandezza con la grandiosità, la gloria con il plauso, il libero assenso con il consenso pubblicitario» (V. Mannucci). Ci muoviamo nel contesto sociale e culturale del tempo di Gesù, dove era viva presso i giudei l'attesa di un messianismo spettacolare, come attesta lo storico Giuseppe Flavio e come conferma anche l'evangelista Luca (cfr. Atti degli Apostoli 5,36; 8,9 55.). Infatti, dopo l'esilio, di fronte al dominio degli stranieri, negli ambienti apocalittici più accesi si sognavano rivolgimenti cosmici e prodigi strabilianti in cielo e sulla terra per la liberazione del popolo eletto. Ma Gesù rifiuta questa via messianica taumaturgica e magica, non vuole affatto strumentalizzare la protezione di Dio per finalità mondane. E così egli continuerà a comportarsi durante tutto il suo ministero: rifiuterà un «segno dal cielo» che i farisei gli chiedevano per sfida (cfr. Marco 8, 11 ss.); soprattutto non risponderà alle provocazioni di quanti lo schernivano invitandolo a scendere dalla croce per provare che era il Cristo (Marco 15,31 ss.). Certo, Gesù compirà numerosi miracoli, ma solo in funzione del suo annuncio di salvezza e in favore dei poveri, dei malati, degli emarginati, come preludio dell'avvento del regno di Dio. Gesù risponde al tentatore rinnovando la sua adesione irremovibile di Figlio alla volontà del Padre e dimostrando un'amorosa e totale fiducia in lui. Siamo esattamente all'opposto di Israele, che si riteneva abbandonato da Dio dopo tante prove di amore e di assistenza. La terza tentazione: tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai! Siamo ora giunti al vertice del racconto evangelico delle tentazioni, al più violento assalto diabolico contro Gesù: «Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò se, prostrandoti, mi adorerai"» (Matteo 4,8-9). Eccoci sul «monte altissimo». Questo non va cercato nella topografia terrestre, anche se, forse, l'evangelista allude al monte Nebo, dal quale il Signore mostrò tutto il paese a Mosè, promettendo di darlo alla sua discendenza (cfr. Deuteronomio 34, 1-4). Ora dal monte il tentatore fa vedere a Gesù nel loro splendore «tutti i regni del mondo». E allo sguardo segue l'offerta: «Tutte queste cose io ti darò». Ma l'offerta è a una precisa condizione, sorprendente e allucinante: «se, prostrandoti, mi adorerai». E così Satana dimostra tutta la sua sacrilega spudoratezza: ha la pretesa di rivaleggiare con Dio, esigendo di essere «adorato» al suo posto. Ma prostrarsi davanti al diavolo, in segno di adorazione, non è forse il radicale pervertimento del rapporto filiale di Gesù con il Padre? Satana insiste: vuole la sottomissione totale e il riconoscimento pieno del suo potere sul mondo. A dire il vero, è lo stesso Nuovo Testamento a prendere sul serio il dominio tirannico di Satana: questi, infatti, viene denominato «principe di questo mondo» (Giovanni 12,31; 14,30; 16, 11;Apocalisse 13,1-8; 19; 19,19-21), «il principe delle potenze dell'aria» (Efesini 2,2), «il dio di questo mondo» (2 Corinzi 4,4). Marco lo descrive come «il forte», ma con l'immediata precisazione che sarà presto detronizzato dal «più forte» (Marco 3,27). «Gli mostrò tutti i regni del mondo... e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò..."» Ma ci viene da chiedere: non è forse proprio questa la missione del Messia? Non dev'essere lui il re del mondo? E la Scrittura stessa a rispondere: sì, il Messia deve dominare da mare a mare e su tutti i confini della terra (cfr. Salmo 2,6.8; 72,8; 110,1). Di più, a lui è stato dato ogni potere, in cielo e sulla terra (cfr. Matteo 28, 16-20). Ma rimane totalmente aperto l'interrogativo: «come» il Messia deve dominare e «perché» gli è stato dato ogni potere? È proprio l'ultimo testo evangelico citato che ci aiuta a individuare con chiarezza la ragione, il contenuto e la modalità assolutamente unici e originali del dominio di Gesù, in radicale e irriducibile antitesi con la proposta del tentatore. È Gesù stesso, dopo la sua risurrezione, a radunare «sul monte» da lui fissato gli undici discepoli (v. 16). E ad essi, dopo che «gli si prostrarono innanzi» (v. 17), dichiara solennemente: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque...» (vv. 18-20). Come si vede, il Signore ha potere non solo in terra, ma anche e innanzitutto in cielo: e solo chi ha tutto quanto questo potere, ha il potere vero, il potere che salva. Senza il cielo, senza la benedizione di Dio, il potere terreno resta sempre ambiguo, insidioso e fragile. Inoltre, Gesù ha questo potere in quanto è risorto: ciò significa che il suo potere presuppone la croce e la morte; presuppone, quindi, un «altro» monte -il Calvario -dove egli, deriso dagli uomini e abbandonato dai suoi, viene appeso alla croce e muore. E così, al confronto dell'amore di donazione di Cristo che regna dalla croce, «tutti i regni e i re di questo mondo sono il capovolgimento grottesco di Dio e del suo Regno: tolgono la libertà invece di darla, cercano il dominio invece del servizio, gonfiano di vanagloria invece di riflettere la "Gloria"... Gesù sarà re, ma sulla croce. Lì si rivelerà come libertà assoluta, mettendo la vita a servizio di tutti, senza dominare nessuno» (S. Fausti). La proposta ingannatrice cui il tentatore sottopone Gesù è, dunque, quella di un messiani-smo politico, di un regno trionfalistico sostenuto dalle potenze del mondo e dal possesso delle ricchezze terrene. È questa la religione del potere e del benessere, che si risolve in un'idolatria implacabile che esige dal suo fedele una totalità assoluta in dedizione, simile a quella che lega il fedele autentico al Dio vivo e vero. Ma è categorica e inequivocabile la risposta di Gesù: «Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Luca 16, 13). Per questo Gesù smaschera con la massima decisione la seduzione del diavolo, svela la sua identità e comanda energicamente al tentatore di andarsene via: «Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto"». Gesù, dunque, rifiuta la via del messianismo politico nella linea del potere-dominio (adorazione del diavolo) e abbraccia in amorosa conformità al progetto del Padre la missione del «servo» umile e obbediente, che per amore lo porta alla morte di croce. Aderisce così all'unica signoria, quella di Dio. Quel «Vattene, satana! » sarà rivolto, un giorno, persino allo stesso apostolo Pietro, qualificato come istigatore satanico! Infatti, dopo che ebbe confessato la sua fede messianica in Cristo (cfr. Matteo 16,16) e sentendo Gesù «dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (v. 21), «Pietro lo trasse in disparte e cominciò a prote-stare dicendo: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai"» (v. 22). Ma ecco, istantaneo e folgorante, il rimprovero di Gesù: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! » (v. 23). La tentazione consiste, appunto, nello scontro frontale tra la volontà di Dio e la volontà degli uomini, consiste cioè nel tentativo del diavolo di allontanare l'uomo da Dio e dal suo progetto d'amore. Gesù non ha nessunissima esitazione: sceglie sempre e solo la volontà del Padre. Il tentatore risponde citando lo Shema’ Israel, la vera parola centrale dell'Antico Testamento, la sua confessione di fede essenziale e la sua pre-ghiera fondamentale (il giudeo la recitava tre volte al giorno): «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze... Temerai il Signore Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome» (Deuteronomio 6,4-5.13). Recitando questa preghiera, il Messia unisce a sé tutti coloro che riconoscono la loro totale dipendenza da Dio solo: «A lui solo rendi culto!». Non così è stato per Israele, che non ha ascoltato l'esortazione di Mosè e si è contaminato con l'idolatria, adorando il vitello d'oro (Esodo 32). È il triste preludio delle future infedeltà nella terra promessa, allorquando il popolo eletto si prostrerà in adorazione di Baal e di tante altre divinità straniere. Ora, invece, sul «monte altissimo» Gesù «riscatta» l'idolatria del suo popolo e porta a compimento in se stesso -nel suo cuore e nella sua carne -il «primo» e in un certo senso «unico» comandamento: «amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze». È interessante notare come quest'ultima frase biblica venga designata dal giudaismo nei termini di «prendere su di sé il giogo del regno di Dio». Come scrive il Card. J. Ratzinger, «Esattamente questo avviene qui: Gesù istituisce il primato di Dio e dichiara il mondo suo regno, regno di Dio. E solo dove Dio regna, solo dove Dio è riconosciuto nel mondo, là anche l'uomo è onorato, là il mondo può diventare giusto. Il primato dell'adorazione è il presupposto fondamentale per la liberazione dell'uomo». Gli angeli lo servivano L’evangelista Matteo conclude così il suo racconto delle tentazioni di Gesù: «Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli si accostarono e lo servivano» (Matteo 4,11). «il diavolo lo lasciò»: nella lotta contro Satana, Cristo è il vincitore! «Ed ecco angeli si accostarono»: egli non è solo, ma gode della «compagnia» degli angeli. «Lo servivano». E in questo servizio che sta il messaggio «teologico» dell'evangelista, e non tanto una sua indicazione storica. Infatti, gli angeli che sono per antonomasia i «ministri di Dio» si pongono alle dipendenze di Gesù: egli rifiuta la regalità terrena propostagli da Satana, ma condivide la regalità stessa di Dio. Gli angeli diventano suoi servitori. E quando «verrà nella gloria del Padre suo», il Figlio dell'uomo sarà in compagnia dei «suoi angeli» (cfr. Matteo 16,27; cfr. Luca 9,26). È da rilevarsi, ancora, che il Salmo 91 -citato a Gesù dal tentatore -ci presenta gli angeli come ministri obbedienti a Dio: «Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo» (Matteo 4,6). Ora gli angeli sono inviati a Gesù e lo servono, stanno cioè ai suoi ordini: diventano così l'espressione della fiducia filiale piena che Gesù ha nei riguardi del Padre e della sua amorosa protezione. In particolare, nel contesto di Matteo il servizio degli angeli è connesso con la fame di Gesù. Satana aveva promesso a Gesù la loro protezione, se si fosse gettato giù dal pinnacolo del tempio. Ora l'aiuto degli angeli per il nutrimento gli viene offerto da Dio stesso. Anche in questo Gesù porta a compimento, in positivo, la storia di Israele: questi, durante l'esodo, aveva sì sperimentato l'assistenza degli angeli (cfr. Esodo 14,19; 32,34; 33,2), ma non seppe corrispondere alla benevolenza di Dio. Gesù, invece, rimane assolutamente fedele a Dio e al suo progetto d'amore, respingendo ogni compromesso con il tentatore. Per questo Dio gli procura un cibo prodigioso, che in qualche modo evoca «il pane degli angeli» di cui parla il libro della Sapienza: «Sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto» (Sapienza 16,20). Gesù, dunque, rifiutò il pane di Satana, simbolo di una vita vissuta secondo la volontà del proprio «io». Poté così mangiare il pane degli angeli, frutto della sua totale disponibilità alla volontà del Padre. |
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