Il tentatore gli si accostò e gli disse |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions «Il tentatore allora gli si accostò e gli disse...» (Matteo 4,3). Questo allora rimanda a un quadro cronologico che l'evangelista dipinge nei due precedenti versetti del suo racconto, nei quali presenta gli attori o protagonisti del dramma: il Signore Gesù e il tentatore. Scrive: «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame» (Matteo 4,1-2). Siamo di fronte all'introduzione del brano delle tentazioni di Gesù: un’introduzione, questa, che ci coinvolge personalmente, non solo perché siamo in rapporto con i due attori che si fronteggiano tra loro, ma anche perché l'esperienza di Gesù è destinata a diventare la nostra stessa esperienza, come esempio e come grazia. Nella sorte di Gesù è in qualche modo anticipata la sorte del discepolo. Lo esprime in modo limpido e profondo sant'Agostino nel commento a un salmo: «Cristo fu certamente tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato tu. Tua infatti era la carne che Cristo aveva presa perché tu avessi da lui la salvezza. Egli aveva preso per sé la morte, che era tua, per donare a te la vita; da te egli aveva preso su di sé le umiliazioni perché tu avessi da lui la gloria. Così, egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Se in lui noi siamo tentati, in lui noi vinciamo il diavolo. Ti preoccupi del perché Cristo sia stato tentato, e non consideri che egli ha vinto? In lui fosti tu ad essere tentato, in lui tu riporti vittoria. Riconoscilo!» (Esposizione sul Salmo 60). Anche su di noi, con il battesimo, viene effuso lo Spirito; anche noi veniamo condotti da questo stesso Spirito; anche noi andiamo nel nostro deserto, affrontiamo le nostre tentazioni, facciamo il nostro digiuno, soffriamo la nostra fame... Sì, anche noi! Ma, come discepoli, dobbiamo guardare a Cristo e rimanere in comunione di vita e di vittoria con lui. Se sei Figlio di Dio... Il racconto delle tentazioni segue quello del battesimo di Gesù. Non si tratta semplicemente di una successione cronologica, prima il battesimo e poi le tentazioni; bensì di un'intima connessione, chiaramente attestata dai tre «sinottici» (Matteo, Marco e Luca). Tra i due racconti c’è un interessante rapporto, dal momento che il tentatore si rivolge a Gesù con le parole «Se sei Figlio di Dio», rifacendosi in questo modo alla «voce» che dall'alto è risuonata sul fiume Giordano: «Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Matteo 3, 17). Ma qual è il preciso contenuto del rapporto tra i due racconti? È il fatto che l'uno e l'altro rimandano al mistero di morte e di vita proprio di Gesù. Nel battesimo di Gesù viene prefigurato il mistero della morte e della risurrezione, del peccato e del perdono. Gesù, scendendo nelle profondità del fiume Giordano, rappresenta simbolicamente un evento di morte: una vecchia vita viene sepolta perché la nuova possa risorgere. Ma Gesù è senza peccato, non ha nessuna vecchia vita da seppellire. Se accetta da Giovanni il battesimo, è perché Gesù vuole anticipare la croce, ossia vuole liberamente accettare i peccati nostri e del mondo intero, e accettare così la nostra morte. Quando poi Gesù risale dalle acque, il cielo si squarcia e da esso risuona la voce del Padre che lo dichiara suo Figlio. Com'è eloquente questo cielo aperto, dopo il discendere di Gesù nel fiume! Dice che nel buio profondo della morte e dei nostri peccati, Dio nel suo amore misericordioso viene a cercarci e a riportarci nuovamente alla luce della vita. Il battesimo di Gesù, dunque, anticipa il dramma della sua vita e della sua morte e insieme ce lo fa cogliere nel suo meraviglioso e sorprendente significato per noi. E così è anche del racconto delle tentazioni. Esso è un’anticipazione del mistero di Gesù Cristo, del mistero di Dio e dell'uomo. Infatti, qui nel deserto, tentato dal diavolo, Gesù continua la sua «discesa»: quella discesa che ha iniziato con l'incarnazione -con il suo farsi carne nel grembo di Maria -, ha reso visibile pubblicamente con il battesimo nel Giordano e che porterà a compimento sulla croce, nella tomba e nel mondo dei morti (la discesa agli inferi). Ora la sta vivendo, questa «discesa», condividendo con la nostra fragile umanità la prova e l'assalto del tentatore. Nello stesso tempo nelle tentazioni, vinte da Gesù, si compie anche sempre nuovamente una «risalita», che apre e rende possibile la risalita dell'uomo dal suo abisso e oltre se stesso. «Se sei Figlio di Dio...». Gesù è stato dichiarato al Giordano «Figlio di Dio», e ora nel deserto gli viene data l'occasione di provare la sua adesione filiale al Padre, accettando la difficile missione affidatagli. Il battesimo costituisce la vocazione storica che il Padre celeste rivolge a Gesù, come Messia, Figlio, Servo, e rappresenta la sua consacrazione messianica. Ebbene, l'atteggiamento di Gesù durante le tentazioni e la sua risposta al tentatore descrivono in forma narrativa la libera, non facile risposta di lui alla chiamata del Padre, la sua scelta messianica in totale conformità al progetto di Dio. Potremmo dire che le tentazioni costituiscono, in un certo senso, una verifica vocazionale, in ordine non tanto a discernere la volontà di Dio, quanto a viverla nella fedeltà piena. E questo, per la verità, un significato universale della tentazione: è prova vocazionale, di ricerca costante -al di là delle suggestioni o delle pressioni del diavolo, del mondo, dell'egoismo personale -del volere di Dio, di quel volere cui siamo definitivamente consacrati con il battesimo. Così, proprio mediante la «prova» subita dopo il battesimo, viene rivelato cosa significa per Gesù essere Figlio di Dio e vivere da Figlio di Dio. Collocata poi all'inizio del Vangelo -al suo «prologo» -l'esperienza del deserto appare non soltanto come il primo atto pubblico di Gesù, ma come la scena sulla quale si svolgerà ogni giorno, come un vero e proprio dramma di confronto con Satana, tutto il suo ministero. Infine, le tentazioni ci dicono che lo Spirito, donato nel battesimo, non separa affatto Gesù dalla storia né lo strappa alle ambiguità del mondo: lo inserisce, invece, pienamente dentro la storia e all'interno della lotta che in continuità la scuote. Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto Con queste parole l'evangelista introduce il racconto delle tentazioni: ed è un inizio veramente singolare, sul quale troppe volte si sorvola. Basti rilevare il fatto che è lo stesso Spirito di Dio, quello Spirito che discese su Gesù e che lo riempì totalmente nel battesimo, a «condurlo nel deserto per essere tentato dal diavolo» (Matteo 4, 1). E ciò racchiude almeno un duplice e grande insegnamento per noi. Il primo: la tentazione rientra nel disegno di Dio sull'uomo, su ogni uomo, e quindi anche su Cristo come vero uomo libero. Vi rientra come elemento necessario che rende possibile l'azione della libertà e il suo concreto esprimersi. L'avvio del racconto di Matteo riecheggia l'esortazione di Mosè a Israele: «Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi» (Deuteronomio 8,2). Gesù è messo alla prova: come Israele, anzi come il primo Adamo. L'essere tentato è parte essenziale del suo essere uomo, del suo discen-dere nella comunione piena con noi e nell'abisso della nostra miseria. Se egli sa «compatire le nostre infermità», è perché -ci ricorda l'autore della lettera agli Ebrei -è «stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Ebrei 4,15; cfr. anche 2, 18). Lo Spirito, dunque, non ci fa evitare, bensì affrontare la prova: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione» (Siracide 2, 1). Anche perché con la tentazione, chiamata pure paideia (educazione), lo Spirito -quale insuperabile «pedagogo» -ci addestra alla vita dei veri figli di Dio (cfr Ebrei 12,8) e ci purifica nella nostra fede (cfr Giacomo 1,2 Ss.; i Pietro 1,6). Il secondo insegnamento è questo: se è Dio che affida Adamo, Israele e Gesù alla prova con lo strumento del diavolo, allora anche il diavolo, Satana, è -suo malgrado -uno strumento di Dio, che concorre al progetto divino. Dio, nel suo amore per noi, è sempre più potente del tentatore! Lo diceva chiaramente san Cipriano ai suoi fedeli: «Nulla può l'avversario contro di noi, se non quanto gli è permesso da Dio». Nel deserto per essere tentato dal diavolo. Il deserto delle tentazioni di Gesù -possiamo immaginarlo -è quello nel sud della Giudea, che si stende verso i monti circostanti il Giordano: un paesaggio privo di vegetazione, orrido, senza vita. Anche Adamo, dopo il peccato, si è trovato in un deserto. E così pure Israele dopo l'uscita dall'Egitto. Il deserto è dunque il luogo che evoca la crisi di fede del popolo di Dio pellegrino nella steppa del Sinai, luogo della solitudine, della prova e della caduta. Ma è anche il luogo nel quale Dio educa all'ascolto, al dialogo d'amore, all'incontro, all'intimità divina: in un silenzio che non impaurisce, ma affascina e conquista, al risuonare della voce di Dio e all'avvicinarsi della sua presenza. Gesù è portato dallo Spirito nel deserto «per incontrare i fratelli disobbedienti e ingiusti che in esso si sono perduti» (S. Fausti). Per questo egli sta in ascolto del Padre e della sua Parola, per questo prega e digiuna. Non mangia nulla, dunque. Pieno di Spirito, il Figlio di Dio vive di questa straordinaria pienezza: è il suo incomparabile nutrimento. E nel deserto Gesù si ferma quaranta giorni. Questi ricordano, innanzitutto, i quaranta giorni che Mosè passò digiunando sul monte Sinai, prima che egli potesse ricevere la Parola di Dio, le sacre tavole dell'alleanza. Ricordano, inoltre, i quaranta giorni e le quaranta notti di Elia nel suo cammino verso il monte Oreb: giorni e notti senza né cibo né bevanda, ma con l'unico nutrimento dello sguardo e della parola dell'angelo che lo accompagnava. E ancora ricordano i quarant'anni di deserto di Israele in cammino verso la terra promessa. Infine i Padri della Chiesa, vedendo nel numero quaranta il numero simbolico del tempo della storia umana, hanno considerato i quaranta giorni di Gesù nel deserto come l'immagine di ogni vita umana. E in questo senso le tentazioni di Gesù possono anche essere com-prese come la ripresa e il superamento della tentazione originaria di Adamo, il primo uomo. Dopo aver digiunato, Gesù è tentato dal diavolo. «Tentato» significa, nel linguaggio della Bibbia, essere sottoposto a una prova, a un esame, a un test per verificare la fedeltà e il valore di qualcuno; ma significa anche essere sollecitato al male. Ed è quanto accade a Gesù: in quanto proclamato «Figlio di Dio» nel battesimo, egli veramente viene «provato» nella sua obbedienza amorosa e fedele al Padre e alla sua volontà; e in quanto «uomo» come noi, viene lui pure «sollecitato al male» dal tentatore: non certo però perché può essere portato a commettere un male, ma per manifestare ciò che di profondo e autentico c’è in lui. Per la verità, nella Bibbia la tentazione («prova») è dapprima attribuita soltanto a Dio, che vuole in tal modo saggiare l'autenticità della fedeltà dell'uomo libero. Così nel libro di Giobbe, «satana» è presentato come un ministro del consiglio della corona di Dio, che ha lo scopo di verificare se «Giobbe crede in Dio per nulla» o per interesse (Giobbe 1,9). Dopo l'esilio di Babilonia, quando cresce la conoscenza degli «angeli», è Satana (ossia «avversario») che viene considerato come il nemico e la causa di ogni afflizione per l'umanità. Il libro della Sapienza lo identifica con il serpente tentatore della Genesi: «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sapienza 2,24). Nei vangeli Satana è il calunniatore, l'accusatore davanti a Dio: una volta che siamo caduti, ci accusa implacabilmente, inchiodandoci alla nostra colpa. È pure chiamato «diavolo»,cioè «divisore», colui che ci divide da Dio e ci lascia soli. È detto anche «tentatore» (peirazon), perché tenta di farci cadere. Nei libri cosiddetti «apocalittici» il demoniaco si incarna nelle potenze politiche oppressive, come nel libro di Daniele la Bestia mostruosa -simbolo classico per indicare il diavolo -che rappresenta i regni dell'antico Oriente che avevano schiacciato Israele, e nel libro dell'Apocalisse la Roma imperiale che perseguita la Chiesa. Ma se il tentatore, il diavolo esiste, viene da chiederci: chi è veramente? Una semplice raffigurazione simbolica del potere del male sugli uomini? una forza maligna? oppure una vera e propria realtà personale? I vangeli ci presentano Gesù che ha la consapevolezza di lottare contro «il principe di questo mondo», come in Giovanni è chiamato Satana: «Se io scaccio i demoni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio» (Luca 11,20). «Il tentatore allora gli si accostò e gli disse...» (Matteo 4,3). Cessa così la solitudine del deserto. Gesù ha ormai vicino a sé, alle costole, il tentatore. E il tentatore prende la parola. Eccoci al dramma delle tentazioni. |
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