IL VENERABILE PADRE GIUSEPPE CESA E IL PURGATORIO Di don Marcello Stanzione |
escrito por Amministratore | |
venerdì, 15 de novembre de 2024 | |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Il Padre francescano conventuale Giuseppe Maria Cesa, nasce il 6 ottobre 1686 ad Avellino. Figlio di Antonio Cesa e Colonna Mallardo, umilissimi braccianti, viene battezzato con il nome di Flaviano Carlo Cesa. Il piccolo Flaviano, quinto di nove figli, cresce in una famiglia molto povera ma in cui non manca il timore di Dio. Intuiti i talenti che il loro figliolo possedeva, i genitori del piccolo Flaviano lo avviano agli studi con la speranza nel loro cuore di poter vedere un giorno il loro figliolo salire all’Altare di Dio. Quando le possibilità economiche per sostenerlo negli studi vengono meno, interviene la Provvidenza. ... Predicatore in erba sin da bambino, Flaviano stupisce adulti e coetanei con le sue prediche. Nell’umiltà di quel corpicino splende, giorno dopo giorno, sempre più la grazia di Dio. Terminati gli studi di grammatica e umanità Flaviano riceve la più grande grazia che un uomo possa avere: la chiamata di Dio. A soli 18 anni Flaviano risponde con grande decisione a tale chiamata. Egli sa già cosa fare della sua vita: mettere tutto nelle mani di Dio. Comincia così il cammino verso la santità. Il 19 luglio del 1704 Flaviano depone davanti all’Altare i suoi abiti secolareschi, per poter indossare il saio bigio dei frati Minori Conventuali. Ascende per la prima volta l’Altare nel 1710 per immolarvi per celebrare la prima messa. Continua a studiare con la speranza di diventare un grande predicatore. Tanti anni di sacrifici e finalmente riceve la laurea e il titolo di Maestro in Sacra Teologia. Diventato Reggente il Venerabile lascia cadere la sua vita nei privilegi del suo nuovo rango. Padre Cesa si compiace di piacere agli occhi degli uomini, diviene prigioniero della sua vanità, trasformando la sua vita in un laboratorio di raffinata ricercatezza. Tuttavia non si lascia mai trasportare dal peccato. Nonostante i privilegi che si concede rimane sempre casto e puro, sia con le parole che con le azioni. Insomma il nostro Venerabile non persegue ancora quella eroica povertà di un sacerdote che ammira alla santità e non alla normalità. Sembra quasi che si voglia accontentare del suo cammino spirituale senza preoccuparsi troppo del suo stato di tiepidezza. Da questa vita viene salvato dalla Vergine. Proprio l’Immacolata, infatti, lo salva da un attentato pianificato contro la sua vita da un gruppo di frati che non gradiscono la sua rigida condotta da Padre Superiore nel convento di Avellino. L’ assassino incaricato di ucciderlo, nella notte stessa in cui sta per attentare la vita del Venerabile, fermatosi a osservare un quadro dell’Immacolata, avvertirà un forte senso di colpa che lo costringerà a chiedergli subito perdono, Davanti ad una sua possibile morte Padre Cesa si sveglia! Inizia cosi la sua conversione, o meglio la sua “conquista violenta del Regno di Dio”. La vita del Venerabile si trasforma ora in una altissima chiamata alla santità. Nasce così il Santo dell’Irpinia. Tale santità arriverà in ogni angolo della verde Irpinia e le sue parole riusciranno a calmare i fedeli anche nel giorno più terribile che questa terra abbia mai conosciuto: il catastrofico terremoto del novembre 1732. Proprio in questa occasione lo Spirito Santo lo illuminerà e gli suggerirà di scrivere su dei quadratini di carta, chiamati poi cartelline dell’Immacolata, la scritta: “In conceptione tua, Virgo, Immacolata fuisti; ora pro nobis Patrem, cuis Filium peperisti” (Nella tua concezione o Vergine, tu fosti Immacolata, prega per noi il Padre di cui partoristi il figlio). Praticherà una altissima povertà, unita ad una alta penitenza che lo porteranno alla più alta perfezione serafica. Per oltre 6 mesi arriverà a nutrirsi della sola Eucaristia. Per evitare di essere visto come un taumaturgo nel guarire i malati al solo tocco, inizierà a toccarli proprio con le cartelline dell’Immacolata, cercando così di poter attribuire a Lei tutti i meriti. Circa 8000 miracoli prodigiosi avvengono durante la sua vita e dopo la sua morte. Ancora oggi l’uso delle cartelline è fonte di tantissime grazie. Dai malati ai posseduti, Padre Cesa affida sempre tutto alla sua Mamma attraverso l’uso delle cartelline. Padre Cesa oltre ai tanti miracoli compiuti viene ricordato anche perché rimane nella storia come uno dei più grandi predicatori francescani. Dopo la sua conversione la vita del Venerabile è vita di continua penitenza. Egli utilizza gli strumenti di tortura più disparati che arriva a togliere solo durante le ferventi prediche. Rigoroso e severo al confessionale la santità di Padre Cesa si fortifica proprio con la lotta contro il demonio. Una lotta che lo vede vittorioso come santo esorcista. Si spegne il 9 giugno 1744 con l’onore di essere accompagnato in cielo dall’Immacolata stessa che come attestano le fonti, lo avviserà del giorno in cui sarebbe morto. Argomento ricorrente nella spiritualità di padre Cesa era il Purgatorio e le anime che vi si purificano in attesa dell’eterna gioia, ma già “spose di Cristo e figlie di Maria”. Ogni domenica, come accennato, perché giorno di maggior affluenza, non mancava il sermoncino a loro dedicato e la recita della coroncina di suffragio. Diceva che “dopo l’osservanza della legge divina, due erano le sole devozioni necessarie: quella di Maria e quella delle Anime sante del Purgatorio, poiché Maria come madre dell’Onnipotente e madre nostra, tutto poteva quanto voleva, e le Anime del Purgatorio, giunte alla presenza di Dio, erano obbligate ad esaudirle”. Ammoniva di conseguenza: “Possiamo essere ricchi e volontariamente vogliamo essere poveri”. Tutte le sofferenze raccolte dopo questo sermone andavano per la celebrazione di Messe pro defunti: “Chiamava le Anime del Purgatorio spose di Cristo e le predicava con tanto fervore che moveva l’animi a compassione e insinuava la carità, di cui se ne dicevano le Messe”. Avvertiva poi di tutte le indulgenze elargite dalla Chiesa perché fossero applicate in suffragio di queste anime, soprattutto le indulgenze plenarie da conseguire dopo confessione e comunione. Alle sue penitenti domenicali dava quasi sempre per carico la recita della “coroncina del suffragio”, soprattutto in novembre. Alle più devote, penitenze più particolari. Racconta Carmine Barbiero: “Per le anime del Purgatorio mi impose di levarmi ogni notte a dire tre Pater – Ave”. Unanime la testimonianza sull’efficacia di questo fervoroso elemosiniere: “Inseriva tutti, aggiunge Fra Antonio. “Faceva di stemprare in lacrime”, conferma il parroco del duomo. E il dottor marcantonio Sannulli confesserà al più giovane dottor Iandolo: “Non si può sentir predicare il Padre Reggente del Purgatorio senza lacrime”. Di “tenerezza e compassione” ha viva memoria lo stesso Modestino Iandolo. Ma ancora più lacrime richiese ai suoi paesani Padre Cesa. Di ritorno da una predicazione, chiese licenza al guardiano di impiegare il denaro per preparare un piccolo cimitero sul lato della chiesa che guardava il chiostro. Vi fece deporre tre bare di ossa e interi cadaveri, a vista di tutti. E il già delicato padre Cesa, che aborriva la sola vista di un qualsiasi cadavere, se ne passò visitando, toccando, baciando con lacrime e sospiri quella ossa, mentre le donne esterrefatte voltavano altrove il viso. Salì poi sul pulpito per la predica sulla morte, nel ricordo di quelle anime. La chiesa era stracolma. Tanto disse, riferisce il sarto Carlo Todesco, “che commosse tutti ad un pianto dirotto”. Chiamava per nome quegli scheletri, fra cui quello dello zio padre Bernardino Mallardo, invitandoli a parlare di quegli estremi momenti. Il dottor Iandolo fissò nei suoi appunti quella scena: “Tutto restarono confusi, dolenti, in lacrime e singulti”. Ogni domenica successiva inviterà i fedeli a concludere il precetto festivo con una visita al suo piccolo cimitero. Egli non mancava di farlo almeno quattro volte al giorno.
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