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Convegno di Crescita e di Formazione Cristiana
ALESSANDRO DI HALES E IL DIAVOLO Di don Marcello Stanzione PDF Imprimir E-Mail
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escrito por Amministratore   
giovedì, 17 de ottobre de 2024
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ALESSANDRO DI HALES E IL DIAVOLOIl maestro inglese, Alessandro di Hales, iniziatore della Scuola francescana, può essere considerato il primo grande scolastico, per il suo metodo di fare teologia quale scienza delle verità da credere e insieme sapienza che muove l’affettività; ma anche per la struttura del pensiero, che procede in modo rigorosamente sistematico, soprattutto nella sua opera più matura, la Summa Theologica o Summa Halensis. ...

 

La demonologia è posta all’interno della questione più ampia del male e del peccato in genere, per poi analizzare in particolare il peccato degli angeli, la pena conseguente il peccato e le tentazioni diaboliche. Tutto ciò è sistemato in una struttura ben compaginata e articolata, offrendo un esempio concreto del metodo scolastico.

Alessandro di Hales riprende diverse definizioni del male da Agostino e Anselmo, e le unifica, poiché esse hanno in comune l’idea del male come privazione del bene, nel senso di mancanza e negazione della perfezione. La privazione riguarda l’intelletto; quindi il male è detto “le tenebre dell’intelletto” il male può essere inteso come sottrazione o assenza del bene, che causa una certa mutazione nell’anima, lasciando una situazione cattiva; questa in certo modo è contro natura, anche se proviene della natura stessa dell’anima e la causa è il libero arbitrio; Dio dunque non è il principio del male.[1] 

La creatura che per prima ha male usato il libero arbitrio è il diavolo,  in tal modo può essere inteso come causa prima del male.

Il suo peccato fu di superbia, la cui radice sta nell’avarizia e consiste precisamente nell’amore o desiderio della propria eccellenza; Alessandro rimarca “propria”, in quanto qualcuno potrebbe desiderare di emergere per il Signore, e ciò non costituisce una colpa, ma voler essere il primo per se stesso è un vero peccato, che nasce dall’avidità o dall’amore di sé sopra tutte le cose.[2]

Colui che si pente del peccato, ne prova dolore e gioia del dolore, ma il diavolo continua a godere del peccato e non ha dolore di esso.

Per Alessandro il diavolo è il capo e i malvagi sono le membra, e insieme costituiscono una persona, in antitesi all’unione tra i cristiani e Cristo nell’unico corpo mistico della Chiesa. La concezione è ardita, ma non del tutto nuova, poiché la ritroviamo nel pensiero di alcuni padri, come Gregorio Magno, che ha parlato di una salda unione fra il diavolo e i suoi ministri. Hales afferma che in ogni peccato mortale il peccatore diventa suddito del diavolo, allontanandoci da Dio. Egli distingue, in riferimento al demonio, una pena spirituale e una pena locale; la prima consiste nella delimitazione dei poteri, in quanto i demoni possono tentare solo entro i limiti posti da Dio. Questi limiti sono stati resi più vincolanti dall’intervento redentore di Cristo e sono ridotti ancora dalla bontà di coloro che resistono alla tentazione. Un’altra pena sta nell’ottenebramento dell’intelletto, per cui i demoni non possono conoscere Dio in sé secondo l’illuminazione della sua grazia ma soltanto attraverso gli effetti della sua potenza giudicatrice, cioè conoscono Dio come giudice. Ugualmente essi non hanno la conoscenza certa del mistero dell’incarnazione. Dopo il peccato, hanno diminuito la conoscenza di se stessi, non a livello naturale, poiché sanno di essere enti spirituali senza corpo, ma nell’ordine del bene perduto che permetteva loro di conoscersi più a fondo; così com’è ridotta la conoscenza delle cose create a causa della perdita della luce della grazia, che consentiva loro la visione profonda delle cose. Una pena molto grave è quella del tormento della coscienza, che consiste nella consapevolezza dell’impossibilità di cancellare il peccato. Troviamo anche una pena che riguarda la volontà dei diavoli, la quale non può godere ma soltanto provare dolore per il bene perduto. Nei demoni esiste il timore, non quello però legato all’umiltà, poiché essi sono pieni di superbia, ma il timore della pena, che non li porta a retrocedere dal peccato, ma alla paura di essere afflitti da pene maggiori a causa dei peccati che inducono.

Per quanto riguarda la pena locale, Alessandro sostiene che i diavoli abbiano avuto il castigo di abitare nell’aria offuscata, da dove possono tentare gli uomini, e di precipitare nell’inferno, ove ricevono la pena del fuoco eterno. Sulla pena sensibile o fisica Alessandro di Hales è molto parco, forse per logica conseguenza della sua tesi sulla pura spiritualità degli angeli. Infatti sul fuoco infernale non dice una parola di chiarificazione, anche se lo mette tra le pene materiali o locali. Per Alessandro la tentazione è una funzione del diavolo, rivolta all’uomo. Egli esamina le diverse categorie di persone che sono tentate: i dormienti e i vigilanti, i perfetti e gli imperfetti, i credenti e i non credenti, i fedeli e non fedeli. Secondo Alessandro il diavolo cessa alle volte di tentare i buoni, sia perché non gli è concessa la potestà, sia perché teme di essere vinto, ma smette anche di tentare i cattivi, al fine di non provocare in essi il ritorno al bene; qualora siano troppo stanchi delle tentazioni. Al diavolo manca la fede quale atto della volontà ad aderire alla verità, come manca la speranza quale desiderio della beatitudine, perché in lui è totalmente assente la carità.  In tal modo egli è fuori da ogni possibile luce di redenzione, rimanendo chiuso nel proprio non essere con la volontà perversa di voler peccare e restare nel peccato.



[1] Summa Theologica 1,2,9

[2] Summa Theologica 1,2,84,88

 
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