IL VATICANO VIETA I TATUAGGI. FINALMENTE!!! Di don Marcello Stanzione |
escrito por Amministratore | |
venerdì, 02 de agosto de 2024 | |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Il 29 giugno 2024 sono uscite nuove regole riguardanti il comportamento dei dipendenti del Vaticano. Riguardo ai Sampietrini, tutto fare dello Stato (muratori, pontaroli, idraulici, elettricisti, pittori, marmisti…) addetti alla manutenzione della struttura, verrà richiesto di curare particolarmente il loro aspetto esteriore. “Nel rispetto del decoro e degli ambienti di lavoro sono banditi tatuaggi visibili ed elementi di body piercing”, devono indossare abiti decorosi o appropriato alla loro attività, e l’uniforme deve essere utilizzata solo durante il servizio. ... Chi indossa un’uniforme lacerata o macchiata, o la utilizza fuori servizio, sarà soggetto a sanzioni disciplinari. E soprattutto, niente convivenze, solo matrimoni benedetti dal parroco. Questo divieto dei tatuaggi è molto importante perché i tatuaggi sono un segno di involuzione sociale e di ritorno al tribalismo. E’ interessante osservare quanta gente fa tutto il possibile per rendere brutto il proprio aspetto ed il proprio corpo con tatuaggi e piercing vari, oltre che con abbigliamento improprio come pantaloni bucati o stracciati apposta. Il filosofo e apologeta cattolico Corrado Gnerre, in un articolo di qualche anno fa, parlava di “corpofobia”: il tentativo misterioso, perché incomprensibile, di ingegnarsi per rendere quanto più brutto e sgradevole il proprio aspetto esterno, magari attraverso la tatuomania, gli anelli al naso e alle labbra, tutte usanze tribali degne dei masai. C’è un libro al riguardo molto interessante, intitolato “Moderns Primitives” (Moderni primitivi) e stampato in Italia con il titolo ”Tatuaggi, corpo e spirito”, dove nell’introduzione italiana il curatore Ivo Quartiroli scrive: “I valori tradizionali di progresso, scienza, famiglia e religione, stanno esaurendo la loro funzione di sostegno”. Poi, da buon ideologo anticristiano, continua affermando che si sta avvicinando una nuova era in cui torneranno i tipici elementi simbolici della pre-civiltà pagana e tribale: “ La cultura tribale, pagana e il mondo antico greco hanno sempre riconosciuto diversi dei invece di un dio unico. Per accettare una società multietnica bisogna partire dall’accettazione della diversità tra le persone e all’interno di noi stessi. Auspichiamo la riappropriazione della spiritualità non mediata da moralismi e dogmi ecclesiali. La spiritualità che parte dalla sensazione di essere connessi. Connessi con se stessi, con gli esseri viventi, con la terra e i suoi cicli. Una spiritualità che non necessita di luoghi di culto, non necessita di intermediari, non ha peccati né sensi di colpa”. Il grande filosofo cattolico brasiliano Plinio Corriera de Oliveira, nella sua magistrale opera “Rivoluzione e controrivoluzione” - che tutti i cattolici militanti dovrebbero studiare - afferma che le forze negative rivoluzionarie dell’estrema sinistra e dei radicali vogliono sempre più condurre la società attuale al tribalismo e scrive: “Lo strutturalismo vede nella vita tribale una sintesi illusoria fra l’apice della libertà individuale e del collettivismo accettato, in cui quest’ultimo finisce per divorare la libertà. In tale collettivismo. i diversi ‘io’ o le persone singole, con il loro pensiero, la loro volontà e i loro modi d’essere caratteristici e contrastanti, si fondono e si dissolvono – secondo loro - nella personalità collettiva della tribù, che genera un modo di pensare, un modo di volere e un modo d’essere massimamente comuni. Ben inteso, la strada verso questo stato di cose deve passare attraverso l’estinzione dei vecchi modelli di riflessione, di volizione e di sensibilità individuali, gradatamente sostituiti da forme di sensibilità, di pensiero e di deliberazione sempre più collettivi. Quindi la trasformazione deve avvenire soprattutto in questo campo.[..] Così il crollo delle tradizioni dell’Occidente nel campo dell’abbigliamento, corrose sempre più dal nudismo, tende ovviamente alla comparsa o al consolidamento d’abitudini nelle quali si tollererà, a esagerare, la cintura di penne d’uccello di certe tribù…La rapida scomparsa delle forme di cortesia può avere come punto finale soltanto la ‘ naturalezza’ assoluta del tratto tribale”. I tatuaggi e il “piercing” non sono altro che riti di iniziazione per invitare i ragazzi ed i giovani a far parte di un culto tribale e primitivo. Attraverso la modifica del corpo, i giovani aderiscono consapevolmente o inconsapevolmente alla nuova era pagana. Sempre nel libro “Modern Primitives”, c’è un’intervista ad Anton La-Vey, fondatore della Chiesa di Satana americana, che espone la sua opinione sui tatuaggi e sul piercing. Egli afferma: “I tatuaggi e il piercing sono vietati dalla Bibbia nel libro del Levitico e buona parte del mondo è governata dalle credenze religiose bibliche. Io voglio incoraggiare qualsiasi cosa sia un pronunciamento contro il Cristianesimo, perché negli ultimi cinquecento anni i missionari cristiani hanno distrutto quasi tutte le culture diversificate del mondo, facendone un posto molto meno interessante. Neanche gli alieni venuti dallo spazio potrebbero inventare un’arma più sconvolgente della religione cristiana da usare contro i popoli del pianeta Terra”. I tatuaggi, a volte, riproducono immagini sataniche, esoteriche e blasfeme. Ci sono delle riviste che i giovani possono sfogliare per scegliere l’immagine che desiderano tatuarsi. In una rivista Tatoo Gallery si trova una sezione, denominata Sacro e Profano, che porta tale spiegazione: “Presso quasi tutti i popoli primitivi il tatuaggio era associato al culto degli dei malefici o demoni e veniva praticato durante riti a loro dedicati da santoni o maghi. In questo tipo di tatuaggio aveva molta importanza il flusso del sangue che usciva dalle ferite, il quale porta con sé fuori dal corpo gli spiriti maligni che vi sono entrati”. Ci sono immagini di Gesù e della Madonna, di Cristo, che viene raffigurato sotto forma di un mostruoso lucertolone crocifisso. Una della immagini peggiori è quella di un teschio con le corna da caprone, sovrapposto alla croce di Gesù. La relazione tra corporeità e adolescenza sembra essere stata una caratteristica storica dell’ultimo decennio. Il corpo, per il bambino e l’adolescente, è fondamentale, primitiva, primaria esperienza di sé. La Body Art (movimento artistico nato sul finire degli anni Sessanta) ha sempre suscitato un forte interesse. Per questi artisti, il corpo diveniva “carne”, un “oggetto d’arte” da mostrare, da manipolare, una superficie da significare, da ferire, da trafiggere, da oltraggiare. I tagli e le bruciature episodiche sono i comportamenti di automutilazione più diffusi in assoluto e sono spesso sintomo ausiliario di un gran numero di disturbi mentali, come i disturbi della personalità borderline, i disturbi da stress post-traumatici, i disturbi dissociativi, i disordini alimentari. Quando tali comportamenti diventano un pensiero opprimente e si ripetono di continuo, cominciano ad assumere vita propria e divengono quello che Pattison ha definito “sindrome ripetitiva di automutilazione”. Quello che colpisce è che, quando iniziano a praticarsi i tagli sul loro corpo, le cutters non sentono alcun dolore. Le prime lesioni “sperimentali” sono, per lo più, piccole e impercettibili e sono nel tempo diverranno coattive e ritualizzate e verranno ripetute in modo sempre più impavido e grave. Come annota Louise Kaplan: “per una ragazza, lo sgocciolamento del sangue tiepido, vederlo colare dall’apertura nella pelle, era come una voce tranquillizzante che le dicesse: ‘Adesso è tutto finito, piccola mia. Non preoccuparti, cara, andrà tutto bene’. Una ragazza riferiva: ‘Mi davo i morsi da sola, mi pungevo con l’ago e con le forbicine, mi tagliavo i pezzettini di carne sulle cosce, mi facevo i lividi da sola. Quando vedevo il mio sangue uscire fuori, solo allora vedevo tutta la cattiveria che era dentro di me, andare via’. E un’altra adolescente: ‘Segnare indelebilmente il corpo era per me l’unico modo per affermare la mia individualità. Solo quando mi taglio rendo il mio corpo visibile, solo quando incido la mia pelle, il mio corpo inizia a pulsare. Il dolore che provo è il solo tramite che ho per allargare la mia conoscenza’. Solo dopo aver lacerato i tessuti e visto il loro corpo finalmente sconfitto e domato, queste pazienti si sentono appagate. Solo allora si sentono calme, rilassate, rinate e spesso, dopo aver compiuto il loro rituale, ci dicono che cadono in una specie di sonno ristoratore. La fantasia più frequente che allegano è che, dopo l’atto autolesivo, sentono di essere passate da una posizione d’incapacità passiva al controllo di un corpo che sentono come persecutore e come nemico. Un’altra adolescente, con agghiacciante lucidità, ci riferì: ‘Ricordate il mito di Tieste? Ebbe da sua cognata Melope tre figli? Ricordate cosa fece suo fratello Atreo? Lo scacciò prima dal regno ma poi, facendo finta di volersi riconciliare con lui, lo invitò a un banchetto e a tavola gli imbandì le carni dei figli che Tieste aveva avuto con Melope? Ricordate la storia del conte Ugolino? Io non divoro la carne dei miei figli, quella degli altri, ma la mia’. Anche se la mutilazione spesso viene vissuta da questi soggetti come un gesto colpevole, segreto e solitario, molte di loro ci hanno raccontato che sono molto prudenti e attente e che nascondono con cura le loro cicatrici. Alcune, invece, sono fiere e orgogliose di mostrarle affinché tutti le notino, altre, ancora, le lasciano, con noncuranza, in vista”. Un noto creatore americano di tatuaggi ha scritto: “Nei tatuaggi è molto forte il concetto di fare amicizia con la morte, di confrontare e trascendere la morte, morte come trasformazione più che morte vera e propria; nel senso di morte dell’ego. L’arrendersi dell’io. Si arriva ad un punto, nell’esperienza mistica, in cui l’ego viene via come una buccia e ciò che rimane è essenza pura”. Commentando queste parole, a ragione il filosofo Gnerre osserva: “ E’ la morte dell’’io’, il cupio dissolvi di una pretesa gnostica in cui limite e differenza sono costretti a sparire, in cui l’uomo, non potendo darsi quell’onnipotenza che non ha, si rivolge alla dissoluzione come unica possibilità di non riconoscere la sconfitta. Come la regina cattiva della favola di Biancaneve, che per non sentirsi dire che qualcun’altra era diventata la più bella del reame, distrugge lo specchio invece di accettare la realtà”. |
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