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SANTUARIO DI SAN MICHELE AL GARGANO IN PUGLIA Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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venerdì 02 agosto 2024

SANTUARIO DI SAN MICHELE AL GARGANO IN PUGLIALa storia della prima apparizione di san Michele confina con la leggenda e risale al 490, sotto il pontificato di papa Felice III, mentre vescovo di Siponto era San Lorenzo Maiorano.

Un giorno ad Elvio Emanuele, ricco padrone del Monte Gargano, scomparve uno dei suoi bei tori. Dopo alcuni giorni di ricerca, finalmente trovò il toro sulla cima del monte, immobile, all’ingresso di una caverna inaccessibile. Elvio Emanuele, poiché non poteva raggiungere il suo toro, fu preso da grande ira e, teso l’arco, gli scoccò una freccia avvelenata, ma il dardo giratosi tornò a colpire, ferendolo, l’irato tiratore. ...

 
Il popolo rimase turbato e poiché non avevano il coraggio di entrare nelle caverne, si recarono dal vescovo Lorenzo per chiedergli che cosa fare. Il santo vescovo ordinò tre giorni di digiuno e, al terzo giorno, gli apparve l’arcangelo Michele e gli disse: “Io sono l’arcangelo Michele e sto sempre alla presenza di Dio. la caverna è a me sacra, è una mia scelta; io stesso ne sono il vigile custode… là dove si spalanca la roccia possono essere perdonati i peccati degli uomini… Quel che sarà qui chiesto nella preghiera sarà esaudito. Vai, perciò, sulla montagna e dedica la grotta al culto cristiano”. Poiché però sul monte Gargano era ancora vivo il culto pagano, il vescovo, indeciso, forse per timore che il suo gesto fosse equivocato, differì l’esecuzione dell’ordine angelico.

La seconda apparizione avvenne due anni dopo. Nel 492, la città cristiana di Siponto fu assediata dall’esercito pagano del re Odoacre. La difesa cristiana della città era ormai agli estremi; il vescovo Lorenzo, ottenuta una tregua di tre giorni dal re nemico, ordinò penitenza e preghiere. Al santo vescovo apparve di nuovo il potente Arcangelo che promise il suo aiuto ai Sipontini se avessero attaccato le truppe pagane. I Sipontini attaccarono l’avversario. Erano quasi le dieci del mattino e, all’improvviso, scoppiò una tempesta di sabbia e grandine che disperse le truppe di Odoacre, che si diedero, pieni di timore, alla fuga. La città era salva e il vescovo Lorenzo indisse una processione di ringraziamento e salì, con tutto il popolo, sulla montagna, ma non osò entrare nella sacra grotta dell’Arcangelo.

La terza apparizione avvenne l’anno seguente, il 493; era il terzo anniversario della prima apparizione ed il vescovo, ancora incerto se eseguire l’ordine dell’Arcangelo, chiese consiglio al pontefice Gelasio I. Il Papa gli ordinò di entrare e prendere possesso della grotta, dicendogli: “Non è necessario che voi dedichiate questa chiesa che io stesso ho consacrato con la mia presenza. Entrate e, sotto la mia assistenza, innalzate preghiere e celebrate il Sacrificio. Vi mostrerò come io stesso ho consacrato quel luogo”. Il vescovo San Lorenzo Maiorano, accompagnato dagli altri sette vescovi della Puglia: San Palladio di Salpi, Dan Giovanni di Ruvo, Sant’Eutichio di Trani, Sant’Austerio di Venosa, San Ruggero di Canne, San Riccardo di Andria e San Salino di Canosa, finalmente entrò nella grotta dove trovò un altare coperto di panno rosso e sopra una croce di cristallo. All’entrata della grotta, San Lorenzo fece costruire una chiesa, che fu dedicata il 29 settembre.

La grotta è l’unico luogo di culto al mondo non consacrato da mano d’uomo; infatti l’altare non ha mai avuto neppure la pietra sacra, e fu insignito, nei secoli, del titolo di “Celeste Basilica”.

Fin dallo spuntare del nuovo culto micaelico, una serie di asceti e di eremiti soggiornarono in piccole grotte del Monte, consacrandosi alla devozione dell’Arcangelo. Fra i primi asceti, il più noto è Sant’Aniello, vescovo di Castellammare, che, dalla Campania, si trasferì nelle vicinanze della grotta.

Dal VI al IX secolo, troviamo San Placido, mandato da San Benedetto sul Gargano, dove poté ancora  procurarsi un frammento del Paliotto rosso. Sicura è la presenza di San Germano, vescovo di Capua, che, prima di partire per Costantinopoli, raggiunse la Santa Caverna.

Agli inizi del Mille, vi fu la visita di San Marino, che fu il primo maestro di San Romualdo. Il grande teologo Sant’Anselmo si recò nel 1098 a Bari, per il Concilio e, in quella occasione, arrivò fino al Gargano.

In quello stesso secolo, il grande innamorato degli Angeli, San Bernardo, riformatore dell’ordine cistercense, in una sua visita in Puglia, per far riappacificare Ruggiero II, re delle due Sicilie, con la Chiesa, volle venerare San Michele nella sua Grotta.

Così pure San Giovanni da Matera, fondatore della Badia di Pulsano e San Guglielmo da Vercelli, fondatore di Montevergine, si recarono a rendere omaggio a San Michele.

Alla fine del XII secolo, da Assisi, venne un gruppo di pellegrini, guidato dalla madre di Santa Chiara, la beata Ortolana, che era già stata in Palestina e alla tomba di San Pietro in Roma. Infatti i pellegrini, specialmente nel Medioevo, distinguevano tre tipi di santuari. Deus, cioè i luoghi sacri della Palestina; Homo, cioè le tombe degli apostoli a Roma e San Giacomo di Compostella, ed infine Angelus, cioè San Michele sul Gargano, Mont Saint Michel sulla costa della Bretagna, in Francia, e la Sagra di San Michele, in Val di Susa, presso Torino. Ma di tutti i santuari angelici, quello del Gargano è il primo in assoluto ed è stato la culla della venerazione a San Michele in Occidente.

A questo riguardo è opportuno sottolineare che, dalla Francia, il vescovo Sant’Uberto mandò una rappresentanza del clero di Mont Saint Michel fino al Gargano, per chiedere i canonici del santuario un pezzo del pallio vermiglio ed un blocco del sasso dell’angelica Grotta. Al ritorno della rappresentanza, il santo vescovo “dopo un prodigio, ripose con grande pietà le celesti reliquie nel tempio sontuosamente costruito”. Era l’anno 708 quando già il santuario del Gargano aveva tre secoli di vita. Il cronista della Sagra di San Michele, presso Torino, racconta in due frammenti la descrizione e consacrazione angelica di una “Piccola basilica” che San Michele Arcangelo aveva ordinato al pio eremita Giovanni. Il Principe celeste, per dimostrare la predilezione per quel luogo, operò il miracolo del malato Porlagra che, riacquistata la salute, si trovò improvvisamente trasportato dal santuario di Val di Susa a quello del Monte Gargano, a ringraziare San Michele. Era l’anno 966, quasi cinque secoli dopo l’erezione della “Celeste Basilica” pugliese.

Tra i pellegrini più famosi venuti sul Gargano vi fu San Francesco; il “Poverello” d’Assisi si recò qui nel 1216, per cercare il Perdono Angelico. Si tramanda che San Francesco, ritenendosi indegno di entrare nella santa Grotta, consacrata dall’intervento del celeste Arcangelo, si fermò in preghiera all’ingresso. Baciò la terra in segno di venerazione e su di una pietra incise un segno di croce a forma di T (Tau). Nella Bibbia, il segno di Tau è il sigillo impresso sulla fronte ai predestinati all’eterna glorificazione e in tal modo San Francesco, con questo gesto, voleva significare che la santa Grotta era il tempio prescelto dagli Angeli per la salvezza di molti che agli Spiriti celesti sarebbero stati devoti.

In questo stesso dodicesimo secolo, tra i visitatori non poté mancare San Tommaso d’Aquino, grande innamorato degli Angeli, chiamato il “Doctor Angelicus”. Questo grande genio della storia del pensiero si recò al Gargano quando era lettore pubblico di filosofia a Foggia.

Altri due illustri visitatori furono le svedesi Santa Brigida e sua figlia Santa Caterina Vergine.

La quarta apparizione dell’Arcangelo avvenne nel 1656; allora una terribile peste aveva provocato numerose vittime anche sul Monte. L’arcivescovo Alfonso Puccinelli indisse preghiere e digiuni ed invocò l’aiuto di San Michele, che gli apparve il 25 settembre di quell’anno. “Sono l’Arcangelo Michele”, disse, “chiunque adopererà i sassi di questa grotta sarà liberato dalla peste. Benedici i sassi, scolpendo su di essi il segno della croce ed il mio nome”. Il vescovo obbedì all’Arcangelo. Il popolo prese con fede i sassi benedetti e la peste terminò. Ancora oggi i sassolini sono richiesti con fede dai pellegrini; io stesso ne conservo uno sul comodino che affianca il mio letto. I contadini pugliesi li portano in processione e li spargono in direzione dei campi come benedizione dell’Arcangelo per un buon raccolto.

Nei tempi più recenti a noi, tra i santi che si recarono al Santuario voglio ricordarne almeno tre: San Camillo de Lellis, Sant’Alfonso de’ Liguori e San Gerardo Maiella.

Camillo, nativo degli Abruzzi, era un giovane litigioso, libertino e con il vizio del gioco e si era ridotto a chiedere l’elemosina tra San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo. Per vivere si adattò a fare il manovale per i cappuccini a Manfredonia, qui si convertì. Si fece cappuccino e venne in pellegrinaggio alla Grotta. In seguito, trasferitosi a Rom, fondò l’Ordine dei Camilliani e divenne patrono degli ospedalieri.

Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dei Redentoristi, si fermò a Foggia e, data la sua grande devozione a San Michele, si recò in visita al Santuario.

San Gerardo Maiella, anche lui devotissimo a San Michele, poiché era ancora fanciullo, avendogli il parroco rifiutato la prima Comunione per la sua tenera età, ricevette di notte dalla mano dell’Arcangelo l’osta santa; si recò, già redentorista, insieme ad un gruppo di studenti del seminario da Delicato a Monte Sant’Angelo per venerare il Principe celeste, patrono del loro ordine religioso.

Voglio, infine, ricordare una grande personalità del XX secolo, ed i cui rapporti col santo Arcangelo tratterò in un capitolo a parte: Padre Pio da Pietrelcina.

Poiché l’arcangelo San Michele è il particolare custode e difensore della Chiesa Cattolica Romana, numerosi papi si sono recati alla Santa Caverna per rendere il loro omaggio spirituale. sembra che il primo papa pellegrino sia stato proprio Gelasio I, sotto il cui pontificato si sarebbero verificati il leggendario prodigio del toro smarrito e ritrovato inginocchiato dinnanzi alla caverna garganica, e le apparizioni celesti al vescovo di Siponto. Tale pellegrinaggio sarebbe avvenuto nell’ultima decade del V secolo.

Nel 536, il pontefice Agapito I si recò alla Grotta per invocare aiuto e protezione dall’Arcangelo per il suo difficile viaggio a Costantinopoli, con lo scopo di convincere l’imperatore d’Oriente Giustiniano ad evitare la guerra contro i Goti.

Tra il decimo e l’undicesimo secolo vennero i papi Leone IX, Urbano II, Pasquale II, Callisto II. Nel 1177, papa Alessandro e, nel 1273, papa Leone X.

Inoltre numerosi papi vennero a Monte Sant’Angelo quando erano ancora cardinali: ad esempio il cardinale Pignatelli, futuro Innocenzo XII; il cardinale Rezzonico, futuro Clemente XIII; il cardinale Pezzi, futuro Leone XIII; il cardinale Roncalli, futuro Giovanni XXIII.

L’Inno Akatista a San Michele, della liturgia slavo-bizantina, nella 22ª strofa, così canta: “Salve, tu che nel tempo opportuno meravigliosamente poni i tuoi servi fedeli ai posti elevati. Salve, tu che invisibilmente deponi dall’altezza del potere e della gloria quanti sono indegni e dannosi”.

C’è una tradizione orale che dice che i cardinali che vengono a Monte Sant’Angelo sono destinati a diventare papi. L’arcivescovo di Cracovia, il cardinale Karol Woityla, il 2 settembre 1974, si recò in pellegrinaggio alla Celeste Basilica. Dopo la Santa Messa egli sostò in preghiera e, ai frettolosi suoi accompagnatori, che lo sollecitavano ad alzarsi dall’inginocchiatoio, disse: “Lasciatemi stare ancora un po’, qui si prega bene”. Questo racconto è stato riferito da un padre benedettino presente alla scena. Sul registro dei visitatori illustri, il cardinale scrisse in polacco:”San Michele Arcangelo ci difenda nella lotta, contro la malizia e le insidie ci dia tutela”. Il 24 maggio 1987, Karol Woityla, diventato papa Giovanni Paolo II, si recò di nuovo in pellegrinaggio al Santuario per incentivare il culto degli Angeli e, in quella occasione, pronunciò uno splendido discorso. Disse fra l’altro: “A questo luogo, come già fecero in passato tanti miei predecessori nella Cattedra di Pietro, sono venuto anch’io per godere un istante dell’atmosfera propria di questo santuario, fatta di silenzio, di preghiera e di penitenza; sono venuto per venerare ed invocare l’Arcangelo Michele perché protegga e difenda la Santa Chiesa, in un momento in cui è difficile rendere una autentica testimonianza cristiana senza compromessi e senza accomodamenti”.

La vita cristiana non è facile e, per i forti, andare in Paradiso significa passare per una porta stretta. Un pellegrinaggio fatto a Monte Sant’Angelo, con le opportune disposizioni di penitenza, digiuno e preghiera, certamente ci varrà la potente protezione di San Michele e di tutti gli Angeli, affinché possiamo rendere al mondo un’autentica testimonianza di fede cristiana. 

 
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