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SAN TOMMASO MORO E IL CONSOLATORE DELLA TRISTEZZA DI CRISTO Di don Marcello Stanzione PDF Imprimir E-Mail
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venerdì, 02 de agosto de 2024
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SAN TOMMASO MORO E IL CONSOLATORE DELLA TRISTEZZA DI CRISTONel suo testo “De tristizia Christi” san Tommaso Moro (1478-1535) tratta dell’angelo consolatore del Getsemani e scrive: “Ma in verità, quando sopraggiunge la pigrizia, nessuna virtù ci abbandona più velocemente del desiderio di pregare, e non abbiamo voglia di chiedere ciò che, per quanto simile, non accogliamo volentieri. Così, quando siamo ancora sani e non siamo ancora caduti nei sentimenti malati di un animo afflitto, dobbiamo molto per tempo fare in modo di riempire le orecchie di Dio con le invocazioni sopra ricordate. ...

 
Se poi in seguito, o perché allettati dalle lusinghe della carne, o perché sedotti dal desiderio delle cose terrene, o perché resi vacillanti dalle astute insidie dei demoni, chiediamo cose contrarie al nostro bene, supplichiamo Dio affinché diventi sordo a simili richieste, tenga lontano da noi quello che gli chiediamo, e scongiuriamolo invece con forze di accumulare su di noi ciò che prevede ci sarà utile. In effetti è così che facciamo quando sentiamo sopraggiungere la febbre: se siamo saggi, siamo soliti avvisare coloro che si prenderanno cura di noi durante la malattia di non concederci cose dannose per la salute, anche se gliele chiedessimo, poiché stranamente la malattia le fa desiderare per accrescere la sua forza. Perciò, quando dormiamo sui nostri vizi così profondamente che, seppure chiamati a gran voce e scossi dalla clemenza divina, rifiutiamo di svegliarci e di vigilare nelle virtù, finiamo talora per indurre Dio ad allontanarsi da noi abbandonandoci ai nostri vizi; alcuni di noi non tornerà più a visitarli una seconda volta; altri, invece, li lascia dormire, ma solo fino a quando la sua sorprendente benevolenza e l’imperscrutabile abisso della sua sapienza lo riterranno opportuno. Di questo Cristo ci chiede un esempio paradigmatico quando, dopo essere andato a trovare gli Apostoli per la seconda volta, poiché quelli non si vollero svegliare ma continuavano a dormire, li lasciò e si allontanò da loro. Infatti: “Lasciatili, di nuovo si allontanò e ripeté la medesima preghiera. Inginocchiatosi, pregava dicendo: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calce. Tuttavia sia fatta non la mia, ma la tua volontà” ecco dunque, di nuovo chiede la medesima cosa. Di nuovo pone la medesima condizione. Di nuovo ci offre un esempio affinché, quando ci veniamo a trovare in grave pericolo, fosse anche a causa di Dio, non pensiamo che sia proibito invocare Dio con insistenza perché ci faccia scampare a quel pericolo. A volte può capitare che ci lasci in simili difficoltà perché quelli che la buona sorte aveva fatto diventare freddi nel pregare siano resi ardenti dal timore del pericolo, soprattutto se questo riguarda il corpo; perché se riguarda l’anima, per la gran parte è già tanto se ci scaldiamo appena un po’. Ma se uno ha cura della sua anima, per la gran parte è già tanto se ci scaldiamo appena un po’. Ma se uno ha cura della sua anima, come è giusto – tranne il caso di chi si sente spinto con forza da Dio ad affrontare il martirio, cosa che, o si deve percepire in modo indicibile, o si deve valutare con considerazioni appropriate – è bene che costui tema, come è normale, di stramazzare al suolo sotto il peso, e onde evitare di confidare troppo nelle proprie forze come fece Pietro, conviene che preghi Dio con ardore affinché, per la sua divina bontà, lo liberi da un pericolo così grande per la sua anima. Inoltre, bisogna ricordarsi costantemente di non scongiurare il pericolo in modo talmente preciso da non lasciare la propria causa interamente nelle mani di Dio, ma che ciascuno sia pronto a sopportare con obbedienza qualsiasi cosa egli abbia preparato per lui. Per tali motivi, quindi, Cristo ci ha offerto l’esempio salutare di questo modo di pregare. Tuttavia, la necessità di pregare in questo modo era ancor più lontana da lui di quanto il cielo dista dalla terra” e infatti, essendo Dio, non era inferiore al padre. In quanto Dio, come condivideva la medesima volontà. In quanto uomo, però, la potenza era infinitamente minore, ma alla fine dal padre gli fu dato ogni potere in cielo e in terra. Se però, in quanto uomo, la sua volontà non era la stessa del Padre, tuttavia si fece talmente conforme in tutto alla volontà del Padre, che nessuna cosa si trovò in contrasto con quella. Perciò la parte razionale della sua anima, obbedendo alla volontà paterna accetta di subire una morte tanto amara, di fronte alla quale i sensi del corpo fremono invece con orrore mostrando così la sua umanità. La sua preghiera espresse in modo eloquente ambedue le cose: “Padre, disse, se vuoi, allontana da me questo calice. Però, non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Tuttavia, non fu tanto con le parole, quanto con le azioni che egli espresse in modo eccellente queste verità. Infatti, che la sua parte razionale non sia fuggita davanti a un così orrendo supplizio, ma che fu obbediente al Padre fino alla morte, e alla morte di croce, ce lo racconta il seguito della passione; con quale veemenza poi la sua sensibilità patì l’orrore per l’imminente passione, ce lo dicono le parole del Vangelo che seguono: “E gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo”. Quanto pensi sia stata intensa l’angoscia del suo spirito, visto che per confortarlo dovette scendere un angelo dal cielo? Riflettendo su questo passo del Vangelo, mi lasciano sbigottito le follie da cui sono posseduti coloro che sostengono con forza come chiunque brami ricorrere all’intercessione di un angelo o di un santo defunto, prega invano, dato che possiamo con fiducia invocare Dio stesso, che è più presente a noi di tutti gli angeli e anche più di tutti i santi messi insieme, ci può concedere molto di più, e anche desidera darci molto di più di qualsiasi santo ci sia in cielo. Con simili argomentazioni futili e chiaramente di nessun valore, costoro, invidiosi della gloria dei santi tanto quanto sono ad essi invisi, si sforzano sia di toglierci il devoto affetto verso i beati, sia di privarci del soccorso salutare che essi ci offrono. Perché allora, nello stesso modo, non dimostrano con delle prove che l’opera consolatoria dell’angelo nei confronti di Cristo Salvatore fu del tutto inutile e vana? Chi infatti, tra tutti gli angeli, ebbe tanto potere quanto ne aveva Cristo? Oppure, chi gli fu più vicino di Dio, dal momento che egli stesso era Dio? E tuttavia, come per noi volle provare tristezza e angoscia, così per noi volle anche accettare la consolazione dell’angelo, sia per smontare le insulse argomentazioni di costoro, sia per dimostrare che era vero uomo; e come dopo che ebbe trionfato sul diavolo tentatore, gli angeli lo servirono perché era Dio, così nel momento in cui andava umilmente incontro alla morte, gli si avvicinò un angelo a consolarlo in quanto uomo. Tutto ciò anche per darci la speranza che, se quando siamo nel pericolo preghiamo Dio, non ci verrà meno la consolazione, purché non ci rivolgiamo a lui con indolenza e superficialità, ma, lasciando uscire gemiti dall’intimo del nostro cuore, imitiamo la preghiera di Cristo in questo passo del Vangelo”.

 

 

 
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