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SANTA CATERINA LABOURE’: BIOGRAFIA DI UNA VEGGENTE. Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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giovedì 18 luglio 2024

SANTA CATERINA LABOURE’: BIOGRAFIA DI UNA  VEGGENTECaterina Labourné nacque il 2 maggio 1806 a Faint – les – Mattiers, ottava di dieci fratelli fu soprannominata Zoe che significa vita. Caterina aveva appena nove anni quando mamma Labourné morì e a soli undici anni, con Tonina, la sorella più piccola, dovette sobbarcarsi il governo della grande casa paterna, Marie – Loiuse, la maggiore era infatti entrata tra le Figlie della Carità. Da quel momento Zoe si dedicò al suo novo e impegnativo compito di aiutare i suoi fratelli. In mezzo ai suoi numerosi doveri, trovava spesso il tempo da dedicare alla preghiera. ...

 
Infatti si recava spesso a pregare nella Chiesa parrocchiale davanti ad un quadro dell’Immacolata Concezione. Un giorno confidò a Tonina il suo desiderio di farsi religiosa in quanto si recava sovente a pregare nella cappella del piccolo ospedale delle Figlie della Carità a Mattierers Saint – Jean. Le furono offerte diverse proposte di matrimonio, ma Caterina rispondeva sempre che il suo fidanzato era Dio. Quando ella manifestò la sua vocazione al padre, questi pensò di farla guarire da una simile idea inviandola a lavorare a Parigi, presso il fratello Carlo, proprietario di una trattoria. Fu allora che ebbe un sogno. Sognò che mentre pregava nella cappella di Fain, vide un prete celebrare la messa, che la fissava continuamente con occhi di fuoco, ma pieni di bontà. Terminata la messa, le fece segno di avvicinarsi, ma ella intimorita uscì immediatamente dalla cappella e andò a visitare un malato. Là rivide il vecchio prete, il quale la incoraggiò nella cura dei malati e le disse che un giorno, lungi dal fuggirlo, l’avrebbe seguito. Caterina non si trovava a suo agio nella bettola del fratello, scrisse quindi alla sorella suor Louise, aprendole il suo animo. Ella la incoraggiò nella sua vocazione e le consigliò di recarsi nel convitto di sua cognata a Chatillon – sur –Sein col pretesto di imparare a scrivere. A Chatillon vi era una casa delle Figlie della Carità e Caterina ebbe l’occasione di andarci; nel parlatorio vide appeso al muro un ritratto di S. Vincenzo de Paoli, nel quale riconobbe, con stupore, il prete visto in sogno. Il fratello Hubert, la appoggiò per avere la dote necessaria e il padre cessò le sue resistenze permettendo alla figlia di entrare in postulato a Chatillon, poi in Seminario, il 21 aprile 1830, alla casa madre di Parigi. Trascorse la vita religiosa all’ospizio di Enghien a Parigi (1831 – 1876). Fu cuoca e guardarobiera, inoltre accudiva alla stalla, al pollaio, ai piccioni. Passò infine alla cura degli anziani e fu la responsabile dell’ospizio dal 1860 al 1875, senza alcuna carica ufficiale. Quando le forze le mancarono, fu addetta alla portineria. Visse nel più completo nascondimento mentre la Medaglia Miracolosa, nata dalle apparizioni di cui fu favorita, si diffondeva, senza sapere chi era la veggente. La sua esistenza all’inizio del 1876, cominciò a declinare; le forze diminuivano sempre più, l’asma e il cuore malato, la minavano giorno per giorno. Ella prendeva la sua morte e ne parlava serenamente. Si spense il 31 dicembre 1876. Venne inumata nella cripta della cappella della Provvidenza di Reully, vicino a Enghien. Il suo funerale sembrò un corteo di festa. Solo nel 27 luglio del 1947, Suor Caterina venne elevata agli onori degli altari.

 

 

LE NOTE INTERIORI

 

Sono i documenti redatti dopo la sua morte (1867 – 1900), la scoperta dei suoi autografi e le varie deposizioni al processo di canonizzazione che ci rivelano la vera identità di Caterina. Se la guardiamo da vicino, ella ci stupisce, nella sua straordinaria semplicità ci presenta una personalità ricca, complessa e interamente ordinata a Dio. Pur avendo un carattere vivace seppe vivere in assoluta obbedienza. Ella seppe nella più grande semplicità, assumere le più difficili responsabilità. Il suo temperamento sobrio, robusto, realista, da vera contadina; materna ed umana presso i più bisognosi, a tutti donava sicurezza nelle situazioni più difficili. I documenti che autorevolmente ci rivelano il mistero di Caterina sono di Seur Dufés, la superiora di Caterina. Parla di lei nelle sue “Notes”, rimasti ora solo i frammenti che consulteremo nella più completa notizia necrologica di Soeur de Geoffre, prima biografa di Caterina. Importanti le deposizioni di Soeur Dufés al processo (il processo di canonizzazione è costituito da varie tappe, quello di Caterina incominciò nel 1892 e si chiuse nel 1947). Nella terza deposizione ella dice che Caterina aveva un grande spirito di fede, ella lo manifestava nella sua vita pratica, nella devozione al santissimo Sacramento e nella preghiera. Questo spirito animava pure i suoi rapporti con i superiori. La sua intera esistenza fu animata da un profondo amor di Dio. La sua carità verso il prossimo era perfetta, le sue stesse compagne lo testimoniarono dopo la sua morte. Essa traspirava soprattutto nella attenzione che aveva per i più poveri, che quotidianamente assisteva nell’ospizio di Enghien. Ella aveva un grande amore per Maria Immacolata e un grande zelo nel diffondere la Medaglia Miracolosa. Nelle ultime sue confidenze a Soeur Dufés, ella manifestò la sua pena nel vedere che la devozione all’Immacolata Concezione non era viva come all’inizio. Ancor più significativa è la biografia redatta da Soeur Geoffré; ella mette in rilievo la personalità di Caterina, senza minimizzare le difficoltà. Ciò che sconcertava, scrive, era la sua grande semplicità. Ma i favori che le furono dati, afferma Soeur Geoffré, hanno avuto dei risultati così’ meravigliosi da rendere la loro provenienza soprannaturale. Come S. Vincenzo, Soeur Caterina, aveva l’arte di lasciar fare a Dio, che dal nulla fa sorgere le opere più ammirabili, servendosi degli strumenti più umili. Conoscendola da vicino, Soeur Geoffré, immaginava il tormento interiore di Caterina, spesso respinta dal suo direttore spirituale  nell’opera di realizzazione della missione affidatale dalla Madonna. A tutti, poi, era nota, la sua devozione a Maria, che onorava con la fervente recita del rosario. Si vide piangere Soeur Caterina quando si raccontavano in sua presenza le conversioni che avvenivano attraverso la Medaglia Miracolosa, oppure alla vista dei grandi mali che allora si abbattevano sulla Chiesa e sulla Francia. Il segreto della santità di Caterina sta tutto nel suo semplice orientamento di amore profondo verso Dio e i fratelli. Ella però suscitava delle perplessità, in quanto non rispondeva al tipo convenzionale di santità allora conosciuta nella Chiesa. Laurentin (Laurentin R. – CLM 2, p. 9) fa notare che, la sua semplicità “ingannevole” e sconcertante, non poteva essere paragonata a quella di Bernardette; ella infatti era ingenua e morì presto, Caterina al contrario ebbe lunga vita. Bernardette dovette lottare per difendere il suo messaggio dell’Immacolata Concezione, Caterina invece fece il possibile per rimanere nell’incognito. Ella, inoltre non presentava alcuna qualità straordinaria, era una suora ordinaria con qualità e difetti comuni. In effetti, Caterina si inseriva nella Chiesa con quel tipo di santità senza splendere di opere e sublimità di prodigi che lo Spirito Santo suscita nella Chiesa e che sarebbe continua nella linea della povertà evangelica. Caterina ci presenta, inoltre, due facce apparentemente contrastanti della sua personalità ed è la meravigliosa sintesi tra vita quotidiana e relazioni soprannaturali, fatto questo assai straordinario. Infatti i suoi contatti con la realtà non furono affatto perturbati dalla sua vita interiore; ne danno testimonianza gli stessi documenti scritti, che ella ci ha lasciato. Esaminando sia quelli riguardanti la sua vita interiore che quelli relativi alla sua attività quotidiana, notiamo che Caterina è sempre la medesima. I suoi scritti, infatti, si mantengono sempre uguali anche per quanto riguarda la grafologia, diversamente da Bernardette. Circa le sue apparizioni, Caterina, ne aveva parlato solo al suo direttore, M. Aladel, e seppe straordinariamente mantenere l’incognito. Ciò fu possibile, in quanto è d’uso canonico rispettare la, libertà delle coscienze e M. Aladel riuscì ad ottenere ciò dall’Arcivescovo M. Quélen a discapito di esigenze giuridiche. Se dal punto di vista giuridico questo può costituire una colpa, come sostenne il Lazzarista Coste, esso andò a vantaggio interiore del movimento che si sviluppò meglio che non al riparo dai documenti ecclesiastici che da allora non mancheranno ugualmente. Caterina che dal canto suo, seppe sfuggire alla notorietà, riuscì ad evitare i rischi del “personaggio” potendo in tal modo conservare il suo equilibrio umano, continuare la sua vita ordinaria al servizio dei poveri nella sua comunità delle F.d.C. In ciò le fu di aiuto la capacità di difesa dovuta alla padronanza di sé e del suo istinto di prudenza contadina. Vi si aggiunge poi un fenomeno provvidenziale ai veggenti, ed è ciò che gli storici chiamano “l’amnesie” de Catherine. Il veggente può infatti dimenticare in un secondo tempo, ciò che gli è accaduto durante l’apparizione, tanto da esserne turbato. Il dubbio, allora, di essersi sbagliato, lo induce a ritrattare la sua deposizione circa il fatto, al fine di sgravare la coscienza. Quando Aladel, nel 1836 all’apertura della inchiesta, le chiese di comparire davanti ad una commissione ecclesiastica, ella rifiutò allegando una scusa. Così la espresse: “Questa suora non si ricorda pressoché nessuna circostanza della visione e di conseguenza tutti i tentativi per ottenere risultati saranno completamente inutili” (Rapport Quéntin après l’enquette). Tale fenomeno studiato da Laurentin fu riscontrato anche in Jeanne – Marie Leboussé, in Bernardette, in Teresa di Lisieux. Ciò che stupisce in Caterina è il fatto che, mentre accusò questo oblio al momento dell’inchiesta, nei suoi autografi il ricordo degli eventi è preciso fino all’ultimo anno della sua morte. Il fatto rimane tuttora inspiegabile; non si sa quanto sia dovuto alla dimenticanza o alla sua politica contadina e quale ruolo hanno avuto la grazia o gli ordini ricevuto nelle apparizioni. Caterina realizzò la sua missione nell’unico modo allora possibile ad una donna. In un tempo in cui si parlava poco di carismi, ella seppe, attraverso la mediazione di persone maschili e grazie all’istituzione della Chiesa, mantenere l’incognito e diffondere il messaggio ricevuto. Gli stessi superiori rispettarono il suo carisma e nulla fecero per forzarla diversamente.

 

 

 
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