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LA GROTTA DI SAN MICHELE A OLEVANO SUL TUSCIANO (SA) Di don Marcello Stanzione PDF Imprimir E-Mail
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lunedì, 01 de luglio de 2024
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LA GROTTA DI  SAN MICHELE A OLEVANO SUL TUSCIANO (SA)Ai piedi del Monte Sant’Elmo, lungo il corso del  Tusciano, una antica via univa l’Adriatico al Tirreno: ai due ideali capilinea, due grotte dedicate al culto dell’Arcangelo Michele; quella di Monte Sant’Angelo del Gargano e questa di San Michele in  Montedoro di Olevano. La grotta ospitava “septem altaria” in sette cappelle – “i martiria” – edificate nel ventre della montagna ove formano un percorso penitenziale che, partendo dalla chiesa di San Michele, arrivava alla cappella alta, vero gioiello architettonico dallo straordinario sapore d’Oriente. ...

 
La chiesa di san Michele, completamente affrescata, è immersa nel silenzio della grotta, rotto soltanto dallo stillicidio delle gocce che cadono dalla volta innescando inquietanti echi. Gli affreschi, bizantini, propongono scene del Nuovo Testamento che vanno dal Vangelo dell’infanzia alla Crocifissione e ci sono pervenuti in discrete condizioni di conservazione e leggibilità: recentemente sono stati sottoposti ad un primo intervento di restauro conservativo. La grotta, a circa 600 metri s.l.m., è raggiungibile da Olevano, frazione Salitto; da qui a Cannabosto, e percorrendo la via sterrata, giù fino al ponte dell’Angelo ove è un magnifico parco attrezzato per il ristoro. L’auto si ferma qui: il fuoristrada prosegue invece per circa due chilometri lungo i tornantini scavati nel fianco del monte. Anche se si percorre tutta la via tracciata in fuoristrada,  l’ultimo tratto, circa venti muniti, è da percorrere a piedi: è l’occasione per immergersi in una natura sorprendentemente intatta. A maggio e a settembre i fedeli, in solenne processione, raggiungono la grotta portando a spalla la statua dell’Arcangelo. Chi visita questa enorme caverna prova sensazioni profonde non facili a dimenticarsi, perché essa è un capolavoro della natura davvero grandioso, reso più affascinante dall’arte, dalla storia, dall’architettura, dalla speleologia ,dalla fauna. Mentre il visitatore stupefatto cerca di spiegarsi il perché di quelle costruzioni in luoghi umidissimi e nell’oscurità più profonda, l’attenzione è attratta dalla ricchezza delle stalattiti e stalagmiti. La loro abbondanza è tale che non ha niente da invidiare alle grotte ormai famose di Pertosa  e di Castellana; anzi direi che forse quella di Olevano ha qualcosa in più; oltre alla ricchezza di storia e di arte, ha il fascino di una spelonca che si addentra nelle viscere della montagna per un’estensione ancora sconosciuta. La tradizione vuole che essa attraversi tutta la montagna e sbuchi alla cittadina del versante opposto; Campagna. Uno spettacolo stupendo si presenta a chi dopo aver ammirato l’arte umana si ferma a contemplare il lento incessante lavoro della natura, che crea forme originali ed ammirevoli. Esse  colpiscono per la loro varietà eccezionale. Vanno da gladioli formi a bastioni, a torri, dove la fantasia può spaziare a piacere, vedendo in quelle creazioni personaggi, animali, luoghi che popolano l’immaginazione. Nell’interno non mancano tracce umane che hanno piegato ed adattato la natura alle proprie necessità. Infatti lungo la stradetta che si percorre, si incontra un canaletto, recentemente coperto ma sempre in funzione, entro cui scorre l’acqua gocciolante della volta, la quale è raccolta da stalagmiti vuotate per un diametro di circa 50 cm. Con fori attraverso i quali l’acqua passa nel canaletto e giunge fino all’entrata della grotta dove alimenta una fontana quanto mai preziosa, perché con la sua fresca acqua disseta gli stanchi ma soddisfatti pellegrini che ascendono al santo monte per alimentare la loro fede. Per cui possiamo dire con lo storico Alvisi che la visitò alla fine del secolo scorso: “Mirae Magnitudinis Naturae Miraculum” (Grandezza  meravigliosa, miracolo stupendo della natura). La documentata rivalità tra il Principato Longobardo di Benevento e quello di Salerno favorì lo sviluppo in onore di San Michele nell’area Salernitana e precisamente in Olevano sul Tusciano. La specifica menzione con la sua visita e relativa descrizione che fa della grotta di Olevano il monaco Bernardo nel suo itinerario religioso svoltosi tra l’867 – 870, attraverso i santuari più famosi allora conosciuti, come a Roma e a Gerusalemme, dimostra come il santuario di Olevano nel secolo IX era inserito come meta obbligatoria per i pellegrini del tempo. Ma i Longobardi salernitani nel favorire lo sviluppo del culto di S.Michele nella nostra terra, certamente partirono non dal nulla. Sul “Mons Aureus” dove già viveva una comunità religiosa, probabilmente basiliana – orientale, che traeva le sue origini dalla famosa lotta iconoclasta (contro le immagini) che iniziò nell’Oriente nel 717. Allora schiere di monaci orientali emigrarono in Occidente e nell’Italia meridionale in particolare. I monaci orientali, sostenitori del culto delle immagini vissero in abitazioni provvisorie e nelle grotte, dove oggi si possono ammirare affreschi e piccole chiese annesse, per pregare ed invitare il popolo a praticare il culto verso Dio, verso la Vergine ed i Santi. Quindi vi fu almeno inizialmente un gruppo di monaci orientali (solitari) che secondo il loro modo di vivere in “Prearupta rupe” cioè in luoghi inaccessibili, abitò nei dintorni della grotta, dove essi si raccoglievano per la liturgia comunitaria e per l’afflusso del popolo. I Longobardi, conoscendo questo luogo per la nota situazione varia dell’epoca, ne incrementarono e favorirono lo sviluppo. Questo atteggiamento di protezione e di incoraggiamento permise che all’originario gruppo orientale si unisse l’elemento monacale latino occidentale, proprio dei monaci Benedettini; così il monachesimo basiliano orientale si fonde e si integra con quello Benedettino. La Grotta, in migliori condizioni di viabilità è degna di essere visitata, o per lo meno non è inferiore alla fama che gode sai più famosa di oggi. Già l’11 gennaio dell’819 l’imperatore Ludovico in un diploma emanato da Aquisgrana dona e conferma, al convento di S. Vincenzo al Volturno “Cellam S. Vincenti in flublio Tusciano”. Si parla di conferma, è segno quindi che già da tempo vi erano state delle donazioni. L’anno 861 nella Grotta, “cum esigui cleris”, si rifugia Pietro vescovo di Salerno figlio di Ademario, che i genitori ambiziosi di potere laico  ed ecclesiastico , fecero eleggere vescovo , ma considerandolo un usurpatore, Guaiferio, mandò ad arrestarlo. Pietro, “metu perculsus”, si ritira nella Grotta dove sostenne “bis terque” gli attacchi del nemico che “minime comprehendere eum valuisset propter municionem loci”., ma alla fine Pietro dovette capitolare per la fame e non si sa come finì. Qualche anno dopo tra il 867- 870 la Grotta è visitata dal monaco Bernardo con due suoi confratelli, che ritornando da Gerusalemme e diretti a Roma, inseriscono nel loro pellegrinaggio la visita alla Cripta di Olevano dove giungono dopo una lunga e pericolosa navigazi8one, visitano la Grotta dove “sunt septem altaria” e che “supra se habet magnam silvamo”. La Grotta è molto profonda, oscura, vi si accede con candele accese; dopo la visita rendono omaggio all’abate “Valentinus”. Testimonianza questa importantissima perché inserisce Olevano tra due centri famosissimi di pellegrinaggi, Roma e Gerusalemme, segno che era molto nota la comunità che ivi viveva. Ecclesia S. Michaelis Archangeli super flubio Tusciano è donata da Gisulfo II al vescovo Pietro nel 968. Grande prestigio doveva godere il cenobio se Guaimario IV nel 1010 dona alla comunità Cerritiello oltre il Sele. Ma nel luglio del 1035 incominciata la decadenza del monastero, perché il figlio di Guaimario IV, Guaimario V concede il monastero alla badia di cava. “Concedimus ecclesiam S. Michaelis; cum, codici bus et omni ornamento et bonis , Sanctae Trinitati”. La Cripta di Olevano spogliata dei suoi averi lentamente si avvia all’abbandono assoluto; nel 1051 “Urso pontifex sanctaer sedis beatis Michaelis in Monte Aureo”, dona al vescovo di Salerno alcune case che il monastero possedeva nella città. Nel 1058 il Papa Stefano IX dando facoltà al Alfano vescovo di Salerno di consacrare i vescovi suffraganei esclude “Criptam S. Michaelis” damus facultatem et licenzia…Excepta ecclesia S. Michaelis… Gli studiosi interpretano diversamente questa esclusione. Acocella afferma che essa ormai già patrimonio della chiesa salernitana e quindi non era necessario un nuovo vescovo. Kalby dice invece che viene esclusa perché già da tempo apparteneva alla Badia della SS. Trinità di Cava, come risulta dal diploma del 1035. Nei diplomi redatti negli anni 1083, 1100, 1149, 1124 è confermata l’appartenenza della Grotta alla Badia di Cava. Il Guillaume nella storia della “Badia di cava” nel commentare la donazione del 1035 afferma che la Cripta di S. Michele “Un peu delà de Salerne près Paestum” appartenne ad essa fino al 1807. Questa affermazione non è confortata dai documenti posteriori, che sembrano dare ragione all’Acocella. Nella visita pastorale fatta ad Olevano il 21 – 4- 1654 si nota: “S. Michaelis ecclesia est in montana” nel distretto della parrocchia di S. Leone Magno e quindi dipende dalla Chiesa Salernitana, il cui vescovo la visita. Ma già in una copia settecentesca di una visita pastorale avvenuta il 1614 si afferma che la Chiesa di S. Michele dipende dal Vescovo di Salerno. In questa relazione si descrive la grotta, il sito, l’interno, e si parla con certezza della visita di Gregorio VII alla Grotta, durante la sua permanenza a Salerno, e si accennano alcuni precisi particolari. La presenza del santo Papa sulla Grotta è ribadita anche da Matteo Pastore nella sua Platea (1715). Nell’Onciario del Catasto di Olevano, quando si descrivono i beni della Mensa arcivescovile si parla della difesa dell’Angelo sulla montagna,m dove vi è una grotta sulla quale si recò Gregorio VII. Antonio Trama nella sua ponderosa storia di S. Gregorio VII (1887) parla con certezza di una visita di Gregorio VII alla cripta di S. Michele in Olevano. Il Necxrologium et Liber Confratrum, un manoscritto che inizia nella seconda metà del XI secolo, annota che Gregorio morì presso Salerno (obii APUD Salernum dominus Gregorius papa septimus). Davanti alla Grotta vi sono i ruderi di un antico monastero del secolo IX. L’arco gotico che si ammira al centro è la testimonianza più antica di questa architettura in Italia ed in Europa. Un’ampia scalinata conduce ad un piazzale dove si alzano due chiesette decorate di affreschi. La prima ha una pianta rettangolare ad unica navata delimitata da mura laterali, tutte coperte di affreschi; hanno una lunghezza di m. 15, un’altezza di m. 3, la distanza tra le due pareti è di m. 5,90. L’aula è priva di copertura, aperta nelle pareti anteriori, termina con tre absidi affrescate da pitture. Le tre absidi sono precedute da una volta a botte in cemento armato di recente costruzione, che ha inglobato, come manifestano recenti saggi eseguiti, le precedenti costruzioni. (si stanno eseguendo i lavori per l’abbattimento di questa volta e quindi riportare la cappella nella sua planimetria originale). A sinistra, una seconda cappella che si articola in due spazi: un quadrilatero scoperto, racchiuso da mura laterali. La facciata è fiancheggiata da arcosoli e da nicchie ed è ornata da un affresco che rappresenta la Vergine tra angeli. Il recinto immette in un ambiente coperto da una pseudo cupola conica. Procedendo lungo la cavità della grotta, sulla destra in un avvallamento si erge una terza cappella, costituita da due ambienti comunicanti a forma di quadrilatero irregolare; è scoperta, ma originariamente aveva un tetto ligneo, come suggerisce l’andamento delle pareti di fondo a spioventi. Due finestre sono sui muri laterali. Sulla sinistra, appena gli occhi si adattano alla penombra, si osserva un ‘altra chiesetta rettangolare, scoperta ma originariamente doveva essere coperta come testimonia l’andamento a spioventi delle pareti; le mura perimetrali sono alleggerite da finestre ad arco. Un’altra chiesetta è sull’altura, quasi al centro della grotta. Una cupola alta m. 6,50 a cerchi concentrici, che restringendosi verso l’alto, copre il vano; sui fianchi due aperture, a nord bifora divisa da una colonna; ad occidente un arco leggermente strombato. Queste costruzioni disseminate nella Grotta sono chiamate “Martyria” cioè sepolcri dei martiri, come appare dalla planimetria, formata da due vani. Il primo è la Tricla, dove si celebrava il banchetto funebre, il secondo è il Cubiculum la tomba dei martiri; sono queste le caratteristiche delle più antiche tombe cristiane, ispirate alle tombe pagane; sono databili intorno al sec. IV. Nel sec.. VII furono trasformati in piccoli oratori (Luoghi di preghiera) come appare chiaramente dal duplice ordine di sovrapposizione. I loro elementi architettonici annunziano un’arte orientale e praticamente siriaca; monaci siriaci erano presenti nel salernitano dopo la persecuzione islamica. La prima Cappella , detta dell’Angelo, perché in essa si conserva una statua lignea, che risale all’inizio del 1600, è conservata la più importante testimonianza di pitture a fresco su intonaco. Controversa è la data della realizzazione delle pitture; gli studiosi la collocano tra il secolo X e il 1100. Le pitture riproducono scene evangeliche ed un ciclo santoriale. Le scene evangeliche si susseguono come disposte su di libro (Bibbia “Pauperum”). Incontriamo sui due registri del lato sinistro: l’Annunciazione, la Visitazione, la Natività, la lavanda del Bambino, Annunzio ai magi, Sogno di Giuseppe, la fuga in Egitto. Seguono poi 10 Santi: tra essi S. Benedetto, santa Scolastica, San mauro; queste immagini sono importanti, perché documentano che ai monaci orientali, successero i Benedettini. Viene poi la storia di S. Pietro: il santo ha il pallio vescovile; tra l’altro vi è la liberazione dal carcere dell’apostolo e la sua crocifissione. Sul lato destro da nord a sud, ammiriamo il battesimo, la Crocifissione di Cristo; seguono scene indecifrabili (probabilmente si tratta della Resurrezione e Ascensione al cielo). La Trìcora ospita Cristo tra Pietro e Paolo , “traditio Clavium et Legis”. Al centro Maria con il Bambino in seno frontale, tra santi. A destra forse Giovanni battista tra i 4 Evangelisti. In una nicchia di piccole dimensioni S. Vito: intorno alla nicchia il martirio del Santo. Nella volta si notano: un Agnello tra santi, con altre scene. All’esterno sull’apertura della parete sinistra, una scena che rappresenta la presentazione della chiesa a Cristo da parte di S. Michele.
 
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