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Convegno di Crescita e di Formazione Cristiana
LA VOCAZIONE DI ANIMA VITTIMA DELLA VENERABILE FILOMENA FERRER Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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venerdì 05 gennaio 2024

LA VOCAZIONE DI ANIMA VITTIMA DELLA VENERABILE FILOMENA FERRERNell'economia della Redenzione, la sofferenza è necessaria. Con la passione e la croce Gesù ci redime. Ora offre a tutti il calice della sua passione. Ogni seguace di Cristo ha il proprio posto nel Calvario. Ma ci sono quelli scelti singolarmente. La sua peculiare vocazione potrebbe essere definita come: vittima a favore della Chiesa. Sono anime molto innocenti e generose. Essi partecipano ampiamente alla passione di Cristo e si associano più efficacemente all’opera redentrice. Tra queste anime, vittime prescelte, immolate nell'amore e nel dolore, Suor Filomena Ferrer occupa un posto eminente. ...

 
La venerabile suora minima Filomena di Santa Coloma (1841-1868), nasce a Mora de Ebro in Spagna. Riceve già a 13 anni grazie mistiche. Entra a 19 anni nel Monastero delle Minime di Valls. E vola in cielo aa appena 27 anni.

Nel dar un resoconto della sua situazione di anima vittima alla Guida spirituale, scrive: “Distinguo le due epoche in cui Dio mi ha tormentato con malattie, permettendo alla medicina di operare nella prima età, e tormentarmi con essa nella seconda. (10 novembre 1866).

Nella prima si riferisce alle rare e dolorose malattie della sua infanzia. La seconda a quelle della sua adolescenza: “Cominciarono ad introdursi dolori su dolori, o meglio, martiri su martiri, e queste conseguenze si ripercuotevano sulla mia salute, ma andava sempre di mal in peggio.” Li descrive come "dolori fastidiosi e molto acuti, raggiungendo a volte le porte della morte". Nel convento continuavano le malattie, estranee ai medici, che la tormentavano senza riposo e senza rimedio. Distrutta e abbattuta dalle malattie, scrive: “Mio Reverendo Padre: Ti chiedo per carità di pregare per me chiedendo l’assistenza dell’Altissimo, mi ritrovo senza di essa a lottare con l’aumentare delle mie malattie, il mio corpo non può esser più considerato se non in mezzo ai cadaveri”. (20 aprile 1868)

Ma la mano provvidente di Dio mantiene le anime in un martirio così duro. L'Amato non abbandona mai le sue amate vittime.

Suor Filomena dopo aver esposto al direttore spirituale i dolori e le malattie che affliggono il suo corpo “dalla pianta dei piedi alla testa”, continua: “Ecco Padre mio, le mie sofferenze. E così felice di averle che non scambierei la mia sorte con quella dei beati. Beata sofferenza! Dolci croci riempiono la mia anima di tanto bene! Io, Padre mio, voglio benedire il mio Dio che mi ama così tanto. Amare o morire.” (8 settembre 1867). Chi ama davvero il Cristo Crocifisso ama anche la croce.

Suor Filomena ha ricevuto dal Signore un carisma unico di penitenza straordinaria. Le sue mortificazioni, inaccettabili per noi, è una sfida e uno stimolo, un rimorso per la nostra pigrizia e svogliatezza.

Propone: "Alle due del mattino mi alzerò cercando di risvegliare all’istante il mio spirito a Dio. Prima di iniziar con la preghiera prenderò in forte disciplina una catena di ferro; poi metterò sul capo una corona di spine, una corda al collo e un grosso peso sulle mie spalle, e ad imitazione del mio Redentore, seguirò le sue orme lungo la via del Calvario, visitando la Via Crucis…

Le penitenze quotidiane saranno cilici continui, quotidiana disciplina, tre digiuni a pane e acqua ogni settimana. Mi asterrò da dolci, frutta e cose simili.” (Pentecoste 1866) Non dimentichiamo che l’Ordine Minimo obbliga tutti i giorni dell’anno alla Quaresima perpetua dalla carne. E Suor Filomena, a imitazione del suo Fondatore, San Francesco di Paola, aggiunse la perpetua Quaresima del pesce. La generosa penitente propose: “Tratterò il mio corpo con tanta durezza, senza mai dargli tregua.”

Suor Filomena presso il suo altare da vittima va a consumare la sua offerta. Attraverso l'amore e il dolore riesce a prepararsi a volare in cielo. Scrive, poco prima di morire, allo zio sacerdote: Quanto al mio stato di salute, ti dico, mio ​​caro zio, è il più felice e beato, per sette mesi sono stata nutrita dai frutti dell'albero santo della croce; sacrificata dalla violenza delle malattie e dei dolori con cui il Signore si degna di visitarmi; ma la stessa mano gentile che mi ferisce, così addolcisce i dolori, e mi ritrovo piena di gioia pura...” (dicembre 1867).

I dolori sono a nido d’ape; la morte in vista è: una "visita" amorevole di Dio; tutto ciò che viene da lui è gioia pura e abbondante.

E due settimane prima di morire scrive al suo Parroco di Mora: “Compiuto è, già l'anno in cui, come vittima, sono stata posta sull'altare del sacrificio, il Signore non permettendo che fossi sacrificata al primo colpo, ma attraverso lente bruciature e dolorose malattie, questa vittima si è consumata tra i colpi dell'amore e del dolore. La mia povera anima gioisce perché vede così vicina la fine del suo pellegrinaggio, ciò che sospira notte e giorno, poter godere il Dio del mio cuore, parte della mia eredità eterna. Oh, che felice sarà per me il momento in cui vedendomi libera dal corpo imprigionato, la mia anima sarà intimamente unita al suo Creatore, unione che tanto desidero e spero di raggiungere, sostenendo la mia speranza solo nell'infinita misericordia di Dio” (1 Agosto 1868).

 
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