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EMANUELE BRUNATTO UN VERO AMICO DI PADRE PIO Di don Marcello Stanzione PDF Imprimir E-Mail
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lunedì, 18 de dicembre de 2023
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EMANUELE BRUNATTO UN VERO AMICO DI PADRE PIONegli anni 30 del ventesimo secolo Padre Pio ingiustamente in seguito a varie calunnie il Santo Uffizio gli proibì di celebrare la Messa in pubblico e gli comminò altre restrizioni che limitavano enormemente il suo apostolato. Furono questi gli anni in cui vediamo prendere le difese del santo da parte di alcuni figli spirituali, i quali se da un lato erano presi da un santo desiderio di far “liberare” p. Pio, da un altro lato dobbiamo riscontrare che questi tentativi non sempre favorivano il padre a causa delle modalità suggeritogli. Tra questi dobbiamo ricordare in particolare Emanuele Brunatto, l’avvocato Francesco Morcaldi e da Roma don Orione, che avrà il compito di consigliare prima e mitigare l’animo del Brunatto poi. ...

 

Brunatto aveva raccolto non poche testimonianze a favore del padre, insieme, a tanti altri documenti imbarazzanti per la Chiesa. Era convinto che se avesse pubblicato o minacciato di pubblicare, le autorità ecclesiastiche per paura di uno scandalo avrebbero avallato la sua richiesta.

La prima stesura del testo, dal titolo “Lettera alla Chiesa”, non fu mai divulgata grazie all’intervento dell’amico Francesco Morcaldi, il quale fece in modo che le copie non fossero vendute. Come mai questa scelta ostruttiva da parte dell’amico? L’avvocato Morcaldi, in realtà, era stato severamente ammonito da p. Pio sulla pubblicazione del libro, e fu così che decise di mostrarne una copia e di spiegarne le motivazioni al Cardinale Rossi. Il cardinale si mostrò molto preoccupato del lavoro e promise che si sarebbe fatta piena giustizia sul frate, ma che intanto sia lui che il Brunatto, dovevano mostrare il loro amore alla chiesa consegnando tutte le copie del libro. Quando il Brunatto si accorse che il suo amico aveva acconsentito alla richiesta del cardinale, andò in escandescenza, e di lì a poco pervenne all’idea di dar vita ad un’altra opera ancora più forte della precedente, visto che i documenti che aveva utilizzato per Lettera alla Chiesa erano ancora in suo possesso. Fu così che dopo poco diede vita ad un’opera che già dal titolo faceva intravedere la sua portata dirompente nei palazzi della curia romana: “Gli Anticristi nella Chiesa di Cristo”, pubblicata sotto lo pseudonimo di John Willougby, dalla casa editrice Aldana, portava anche una nota dell’editore che diceva che il libro era nato dalla necessità di ottenere quella giustizia che le autorità della Chiesa avevano negata. Pertanto esso sarebbe servito alla causa di Dio.

Le autorità romane erano molto preoccupate della pubblicazione di questo libro e dei danni spirituali che avrebbe procurato nei fedeli; per questo motivo si decise di chiedere a p. Pio di intervenire e far desistere Emanuele Brunatto dall’intento di pubblicarlo. Ai superiori, mons. Luca Pasetto e mons. Bevilaqua, arrivati a S. Giovanni Rotondo il padre, che conosceva bene Emanuele, spiegò che sarebbe stato difficile fermarlo, anche con un suo diretto intervento, ma che ci avrebbe provato ugualmente per mantenere fede al suo voto di obbedienza.

Così scrive il nostro santo al suo amico Emanuele:

“San Giovanni Rotondo, 14-15 marzo 1933

Caro Emmanuele, la grazia del Signore sia sempre teco.Ti scrivo la presente per esternarti la mia sorpresa ed il mio dolore nel sentire che vuoi dare alle stampe ciò che assolutamente non deve essere stampato non solo, ma che nessun essere umano deve conoscere. Ed il mio dolore aumenta quando penso che tu minacci di fare ciò se il sottoscritto non viene subito riabilitato. Ma io assolutamente non voglio ottenere la mia liberazione o riabilitazione con atti che ripugnano, che fanno arrossire il più volgare delinquente. Emmanuele, mi vuoi davvero bene? Ed allora tu devi almeno per amor mio desistere da tale proposito e non pensarvi mai più. Anzi sono a pregarti e a scongiurarti di disfarti di tutta codesta robaccia, consegnando subito i documenti che tieni.[]E poi devo dirti in coscienza che non posso assolutamente permettere che tu mi difenda o cerchi di liberare col gettare fango, e quale fango, in faccia a persone che io, tu e tutti abbiamo un sacrosanto dovere di rispettare. [] Tu con la tua malaugurata stampa di detto libro, oltre a tutto il male di cui sarai cagione, verrai a peggiorare certamente le condizioni di tutti coloro che tu vuoi difendere. [] Si bruci e si consegni quanto prima a chi di dovere il tutto che vuoi stampare.Nella speranza che vorrai ascoltarmi, ti benedico con tutta l’effusione del cuore. Aff.mo in Gesù e nel padre san Francesco. P. Pio da Pietrelcina, minore cappuccino”.

Questa volta Emanuele gli disobbedisce, e la sua risposta è un vero e proprio capolavoro di diplomazia e di malizia, ma al tempo stesso di ferma determinazione nell’andare sino in fondo, perché la causa è quella di difendere un giusto, e non abdicherà.

Scriveva il 4 aprile 1933 al padre dicendo:

«Veneratissimo e Amatissimo Padre, ho ricevuto la sua lettera datata 28 marzo da San Giovanni Rotondo e spedita il 31 da Foggia, in una busta che porta il mio indirizzo battuto dalla macchina della Casa Provincializia. Grande è la mia meraviglia! Iddio sa quanto ho sospirato inutilmente, per anni, un suo scritto! Ma ora ne debbo dedurre che, se Ella mi ha scritto direttamente, malgrado il noto e crudele divieto, lo ha fatto perché gliel’hanno ordinato. E’ questo che è cagione di ancor più grande meraviglia. Se tali ordini provengono dalla Casa Generalizia, vi è davvero da restare edificati che il Generale dei Cappuccini, anziché far valere i suoi diritti di Padre contro i persecutori del proprio figlio innocente, si associ alle spie per consegnare la sua testa nelle mani del carnefice, mentre il suo primo dovere è di difenderlo a costo della vita. Io non esito a qualificare sacrilega una tale azione, e per di più inutile, poiché se si vuole il nostro silenzio non vale tentare di ricattarci, nel nostro amore e nella nostra venerazione per Lei, non altrimenti che invano si sono fatte risuonare alle nostre orecchie ogni sorta di ridicole minacce. Il prezzo del nostro silenzio, il prezzo del libro è noto: la liberazione del Giusto e l’allontanamento dei colpevoli. A questo atto di giustizia vi è un solo impedimento: il diabolico orgoglio dei giudici…Io non mi permetterò mai di darle un consiglio, Padre Venerato, ma, se davvero le sta a cuore di impedire questa pubblicazione, informi coloro i quali hanno voluto servirsi del suo intervento, che solo un provvedimento immediato può arrestare l’uragano che si scatenerà come una scossa di terremoto e percuoterà il mondo, risvegliando tutte le sette, con le inesorabili conseguenze, che non è difficile immaginare. Ella sa, Padre mio, che mi sarebbe impossibile di mentire a lei: ebbene, io le assicuro che se la prova dei fatti non è venuta prima della Santa Pasqua, sarà in seguito troppo tardi».

Padre Pio rimase molto deluso ed amareggiato nel leggere la lettera e subito scrisse al padre provinciale, p. Bernardo, per informarlo di tutto. Successivamente riscrive un’altra lettera, ancora più accorata, all’amico Emanuele e poi un’altra ancora, ma sembra sempre intento nel suo agire, anche se c’è da dire che, l’ultimatum dato per il giorno di Pasqua, era stato superato e l’opera non era stata ancora pubblicata. Quindi se le lettere di padre Pio non lo avevano distolto del tutto, lo avevano almeno placato un poco. Solo una lettera di don Orione, scritta in risposta ad una richiesta del Brunatto, placherà del tutto il suo intento ed abbandonerà il suo folle proposito.

Riportiamo solo alcuno stralci della lettera.

 

«[]Altre volte ho alzato la mano ad assolvervi e benedirvi, ora che volete dare la vostra anima al diavolo, alzo le mani per trattenere su di voi la maledizione di Dio… Come ti troverai in punto di morte?... Comprometteresti irreparabilmente quella stessa causa che dici di aver tanto a cuore, mentre ora essa va avviandosi bene».

Furono queste, con molta probabilità, le parole che dovettero scuotere l’animo di Brunatto, al punto da farlo rinunciare nell’intento di pubblicare la sua opera. Le parole del santo sacerdote don Orione, oltre ad aver placato il nostro difensore, erano state anche profetiche nel dire che la vicenda si stava avviando al bene; è così fu.

Infatti il 14 luglio 1933, dalla Curia Generalizia dei Cappuccini in Roma, arriva a padre Bernardo d’Alpicella la seguente comunicazione:

«In virtù del documento concesso in data di oggi dalla suprema Congregazione del S. Uffizio, permettiamo al Padre Pio da Pietrelcina di celebrare la S. Messa nella nostra Chiesa conventuale di San Giovanni Rotondo».

La notizia sarà data al santo la sera del 15 luglio, con commozione da parte di tutta la comunità, riunita in refettorio per la cena. Furono copiose le lacrime di gioia di p. Pio, il quale una volta asciugate le lacrime baciò la mano del p. provinciale, lo ringraziò e gli chiese di ringraziare il Papa da parte sua. Quando l’indomani, 16 luglio, festa della Madonna del Carmine, la notizia fu data in chiesa, è facile immaginarsi come la notizia correva per le strade del paese e la gioia che portava ai suoi abitanti, ma la commozione più grande si ebbe quando il padre entrò in chiesa per celebrare la S. Messa dopo ben due anni di assenza.

 
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