GLI ANGELI E GLI UOMINI NEL GIARDINO DI DIO Di don Marcello Stanzione |
Scritto da Amministratore | |
domenica 18 settembre 2022 | |
"In principio Dio creò i cieli e la terra". In questo modo, con semplicità e incomparabile magnificenza, inizia la Scrittura. Con le sue enunciazioni astratte e accento teologico, nel primo capitolo della Genesi s'intende mettere in rilievo l'onnipotenza e la sapienza di Dio, unico e eterno. Un’impressione di insolita grandezza che emana da queste righe, dalle quali nascono dal niente tutti gli esseri, classificati con logica esauriente nell'ambito dei sei giorni. Terminata l'opera di ognuno dei giorni Dio vide che era buono e l’insieme dell'universo gli sembrò "molto buono". ... Tutto era riuscito secondo i suoi desideri, tutte le creature erano belle, equilibrate, perfette nel loro genere, adatte al fine che si era prefisso. "Così furono finiti i cieli e la terra e tutto il suo creato. E completata tutta la sua opera, il settimo giorno si riposò (Genesi 2, 1-2). Non è disinteresse, né abbandono. I disegni divini erano realizzati; tutto era terminato alla perfezione; e nulla sembrò degno al creatore di aggiungere o correggere. "I cieli lodano la gloria di Dio e il firmamento annuncia l'opera delle sue mani" (Salmo 19, 1). Dio più avanti si accontenterà di osservare dal suo riposo l'armoniosa evoluzione dell'universo. A questa grandiosa narrazione segue un altro racconto, più antico e pieno di poesia, come la grandiosità del primo. Le origini del mondo sono presentate qui da un punto di vista molto diverso. Quello che interessa prima di tutto all’autore è la creazione dell'uomo; e in tal modo gli interessa che la creazione dell'universo rimanga semplicemente dichiarata in una subordinata proposta. Tutto il racconto è permeato di antropomorfismi. Dio pianta il giardino nell'Eden, a oriente; modella il corpo dell'uomo; allo stesso modo che il vasaio modella la sua terracotta, servendosi di un pugno di terra; parla con Adamo come farebbe un padrone con il suo giardiniere. In una teologia più primitiva, più rude, adattata più alle anime semplici. Però le immagini, patrimonio comune degli ebrei e dei popoli vicini, sono qui purificate e servono unicamente come abito a una dottrina religiosa trascendente, ricevuta per rivelazione. Il tema è trattato con tale serietà, delicatezza e sobrietà, che fanno di queste righe le perle della Genesi. Immagini e antropomorfismi sono riusciti a far capire mirabilmente la dignità dell'uomo, la sua intimità con Dio e la grandiosità del dramma delle origini. Ma per capire tutta la ricchezza del suo contenuto non c'è che da soffermarsi sulle immagini, prima però è necessario sforzarsi di scoprire le realtà di ordine sovrannaturale che si occultano dietro di esse. A quanto sembra tutto è stato già detto circa i capitoli secondo e terzo della Genesi". Non è possibile, tuttavia, che la ricerca dal punto di partenza della storia umana e del dramma dell'universo si dia per soddisfatta. Si continueranno a pubblicare lavori su questo punto di esegesi. Con tutto ciò si deve riconoscere che costantemente sin dai tempi più remoti la mente cristiana ha sempre riflettuto sul Paradiso, la teologia l'ha esplorato palmo a palmo, le anime mistiche hanno fatto centro intorno alle sue contemplazioni. A poco a poco si sono decifrati i misteri delle origini umane e della storia sacra. L'altissima dignità dell'uomo, l'immensa felicità dei nostri primi padri, da tempo sono indubitabili. L'uomo era innocente, amico intimo di Dio e abitante del Paradiso. Prima di crearlo, in questa maniera doveva essere introdotto come un re attorniato da tutta la sua corte. Adamo ed Eva erano pienamente felici, possedevano quanto era necessario, realizzavano l'ideale della perfezione umana. Creati già in età adulta, capaci di lavorare, idonei al matrimonio, perfetti in corpo e anima, dotati di scienza prominente e di una volontà perfettamente retta, l'uomo, scrive san Gregorio di Nissa:"aveva la facoltà di contemplare il bene con un’intelligenza pura e semplice e libera da tutti i veli". "Dio creò l'uomo innocente, retto, esente da pena e tristezza, ornato di tutte le virtù" ribadisce san Giovanni Damasceno. San Basilio da Cesarea in una sua omelia interpreta così i sentimenti del primo uomo in quanto aprì gli occhi alla luce di questo mondo: "Appena finito di infondere l'anima, (Adamo) guardò in cielo. Traboccando felicità davanti a tale spettacolo e alla vista dell'universo, si rese conto che il benefattore gli concedeva la grazia di godere della vita eterna e lo aveva collocato in mezzo alle delizie del Paradiso, verso il Dio che gli aveva conferito potere simile agli angeli, fatto compagno e commensale degli arcangeli e gli aveva concesso i privilegi di ascoltare una voce divina". La Bibbia non tratta espressamente di un’altra creazione, realizzata anteriormente, o talvolta simultaneamente, anche se ad un livello superiore a quella dei sei giorni: la creazione degli angeli; però tutto il testo sacro la suppone. Questi spiriti puri e santi che costituiscono la corte di Dio e gli esecutori zelanti dei loro mandati, non compaiono nei primi capitoli della Genesi, bensì in secondo piano, quasi in ombra. È probabile che sono da interpretare come dirette agli angeli le frasi che l’autore ispirato della Bibbia pone sulle labbra del Creatore (Genesi 1, 26; 3, 22). I cherubini che vedremo apparire più avanti nel Paradiso (Genesi 3, 24) sono nella tradizione biblica esseri angelici al servizio immediato di Dio, che stanno nella stessa dimora e sono considerati come sentinelle; per questo è evidente che l'autore della narrazione suppone che questi angeli, guardie d'onore e amici di Dio, gli stavano intorno durante l'opera dei sei giorni. Di questo avvenimento leggiamo nel libro di Giobbe (38, 7) che il Creatore collocò la pietra angolare del mondo "fra le acclamazioni degli astri mattutini e gli applausi di tutti i figli di Dio", stando alla rivelazione degli angeli. Certi padri e dottori, come ad esempio Sant'Agostino e San Tommaso d'Aquino, ci dicono che gli spiriti celesti assistevano il supremo creatore quando formava i corpi di Adamo ed Eva. E tutta la rivelazione, tanto dell'Antico come del Nuovo Testamento, afferma l'unità indivisibile del mondo angelico con il resto del cosmo: l'uomo e le creature intraumane. Dio non tratta questi tre ordini come mondi separati e indipendenti, bensì come un unico cosmo in vista di un unico, generale fine comune, per il conseguimento del quale certamente ogni ordine ha una parte specifica, innegabile però con interdipendenza gerarchica. Strette relazioni di amicizia si annodarono in seguito fra gli uomini e gli spiriti celesti. Molti erano i punti di contatto che li univano. Il Salmista segnala il posto che occupa l'uomo della scala delle creature: "poco inferiore a un essere divino" (Salmi 8, 6). L'angelo e l'uomo si collocano nel grado più alto degli esseri creati, poiché sono le uniche creature che possono dare gloria a Dio, che è la ragione d’essere dell'universo. L'uomo, come l'angelo è stato elevato a un fine sovrannaturale. L'uomo e lo stesso angelo - l'uno per grazia e l'altro per natura - era esente dalla legge della morte che precede l'evoluzione della mondo materiale. Adamo fu fatto "come un angelo" dice Niceta un autore bizantino riassumendo la tradizione biblica e patristica. "Il Signore creò la natura angelica e la natura umana affinché si conoscessero" dichiara san Gregorio Magno. Il puro fatto di essere le due uniche creature dotate di intelligenza stabilisce certi legami di fraternità fra gli uomini e gli spiriti celesti. Ma ancora, Adamo non solo conosceva Dio in modo naturale, ma possedeva anche il dono della gnosi. Questo dono che elevava l'intelligenza del primo uomo al disopra del proprio piano, gli permetteva di "conoscere Dio da un'ispirazione interiore proveniente dall'irradiazione della divina sapienza; in questo modo conosceva Dio, non attraverso le creature visibili, bensì mediante un'immagine spirituale impressa nel suo spirito". Tale sorta di conoscenza è propriamente il modo naturale di conoscere degli spiriti celesti. Per questo San Tommaso d’Aquino dice che Adamo "conosceva Dio allo stesso modo degli angeli, da un'ispirazione interiore"; "possedeva per grazia la stessa conoscenza che l'angelo possedeva per natura", conoscenza chiamata anche da S. Tommaso contemplazione: "Adamo era somigliante all'angelo per la conoscenza gratuita della contemplazione". L'altro vincolo che univa l'uomo all'angelo era il tono dell'immunità dalla concupiscenza, di assoluto dominio su tutto il suo essere. A detta dei padri, Adamo possedeva il perfetto dominio; aveva una vita superiore alla natura, una vita retta da leggi ultraterrene, "simile a quella degli angeli" definisce sant’Ambrogio e veramente angelica dichiara san Gregorio di Nissa. San Giovanni Crisostomo afferma categoricamente che sin dal principio Dio concesse all'uomo la grazia della vita angelica, perché voleva che vivesse nel mondo "come un angelo terrestre". Questo "stato angelico" implicava altri preziosi favori. Adamo era libero dalla tristezza, dalla fatica, dalle infermità della morte. Nudo splendeva più del sole, poiché era rivestito di gloria; tale opera che non necessitava di vesti materiali è dimostrazione della sua immensa gioia. I nostri primi padri vivevano in uno stato d'innocenza quasi come se non avessero corpo; non provavano il fuoco della concupiscenza né la ribellione delle passioni. La loro verginità faceva sì che Adamo ed Eva vivessero vita di angeli. Godendo per grazia di una conoscenza di Dio simile a quella che gli angeli possiedono per natura, imitando gli spiriti celesti con la purezza e santità delle loro abitudini, i nostri primi padri possedevano il tratto più importante ed essenziale dello stato angelico: l'amicizia e la benevolenza divina. La Bibbia è molto chiara a questo proposito, i santi padri hanno sottolineato una così invidiabile condizione di Adamo ed Eva. "Liberi da tutti gli impegni, non avevano altra occupazione che quella degli angeli: lodavano incessantemente il creatore e godevano della sua contemplazione." Per la purezza di cuore e contemplazione e si alternavano con gli spiriti celesti e avevano il privilegio della conversazione con Dio. L'amicizia divina originava fra il creatore e l'uomo un'intimità familiare e una fiducia, in un grado così elevato che secondo San Giovanni Crisostomo, superavano gli spiriti angelici: nel frattempo che questi erano davanti alla maestà divina, i cherubini e i serafini non avevano il coraggio di guardare Dio, l'uomo parlava con lui come dialoga un amico con il suo amico. Secondo Sant'Agostino i padri greci e orientali propendevano eccessivamente a guardare al passato, al Paradiso terrestre; Agostino il gran vescovo di Ippona non comprendeva che essi segnarono l’ascetismo e diedero a tutta la vita cristiana un termine retrospettivo, essendo l’apocatastasi del cristianesimo non tanto una restaurazione, ma una nuova creazione. "Saremo rinnovati dalla senilità del peccato, ma non saremo rinnovati nel primo corpo animale che ebbe Adamo, bensì in un altro migliore, diciamo di un corpo spirituale quando siamo uguali agli angeli di Dio, adatti per la dimora celeste." In effetti a prima vista sembrano esagerate affermazioni come questa di San Gregorio di Nisida, diametralmente opposte nel senso letterale al pensiero di Sant'Agostino: "La grazia della risurrezione non si presenta in altro modo che come il ristabilimento di quelli che caddero nel loro stato primitivo, poiché la grazia che aspettiamo è di ritornare alle origini della vita, quando sarà condotto di nuovo in Paradiso." Però alle volte Sant'Agostino non aveva presente che i dottori greci e orientali solevano prendere il Paradiso terrestre come immagine prefigurativa del Paradiso escatologico del cielo. E’ chiaro che i padri della Chiesa greca e i suoi imitatori dell'Occidente non ignoravano che l'uomo nel suo stato originale non possedeva nessuna perfezione ultima, che lo Stato paradisiaco non era altro che il preludio magnifico, il vestibolo risplendente di un'altra vita tuttavia migliore nell'immortalità continuata in cielo; che anche Adamo ed Eva nel Paradiso speravano nel regno dei cieli; che già allora Dio aveva destinato l'umanità al "secondo cielo". Tutto questo lo sapevano perfettamente i padri orientali, però si compiacevano di accumulare su Adamo, rappresentante e compendio dell'intera umanità, tanto erano i doni che possedeva realmente del Paradiso terrestre, come quelli che doveva ricevere nella gloria eterna ai quali era stato destinato nella mente divina. In questa prospettiva Adamo era già dotato di un corpo spirituale e assume una parte maggiore di quello che la Bibbia ci permette di supporre sulla vita degli spiriti celesti. Questo è un punto che conviene tener presente se si vuole capire i padri quando dicono di tornare in Paradiso. In questi casi il Paradiso terrestre è un'immagine del cielo. Tale è precisamente l'essenza della tipologia: mostrare ai successori cose reali, successe nel passato. In questo senso si deve capire, ad esempio, San Gregorio di Nissa quando enumera "l'elevata dimora e la vita con gli angeli" fra i beni del Paradiso terrestre e prendendo dal vocabolario platonico l'immagine di un coro riunito attorno al corifeo, fa questa bella descrizione della vita angelica nel giardino dell'Eden: "Ci fu un tempo in cui tutta la natura spirituale formava un coro che mirava a creare lo stesso corifeo e spiegava le sue danze secondo il ritmo che questo corifeo evidenziava con i suoi gesti". L'immagine del coro ha il vantaggio di ricalcare l'identità e l'unità del mondo intelligente. Tutte le creature spirituali formavano un solo coro sotto la direzione del verbo divino: gli angeli e l'umanità pienamente ammessi alla festa celestiale. Però non si creda che dopo le orme dei platonici San Gregorio conservi il mito della preesistenza delle anime: la preesistenza angelica dell'umanità non è una preesistenza storica, ma semplicemente intenzionale nel pensiero di Dio, e non avrà una vera realizzazione sino alla fine dei tempi. Il mondo degli angeli è, prima di tutto, per San Gregorio da Nisida il mondo della Gloria, il mondo dove si vede Dio, si loda Dio e si gode di Dio, al quale era destinato Adamo con tutti i suoi discendenti. Nelle intenzioni divine, Adamo e l’intera umanità prendeva parte alle armoniose e ineffabili danze degli spiriti celesti o, secondo altra interpretazione, alla sublime melodia dei suoi canti.
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