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LA LOTTA DEL DIAVOLO CONTRO I SANTI MONACI Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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giovedì 01 settembre 2022

LA LOTTA DEL DIAVOLO CONTRO I SANTI MONACIE’ nel deserto e nei monasteri che possiamo meglio contemplare il combattimento spirituale del cristiano contro il diavolo. Si comprende facilmente. Come tutti i cristiani, i monaci sono concittadini degli spiriti celesti e possiedono i diritti che persero i demoni, essendo come erano anche di molto superiori all'uomo per loro natura. I monaci puntano sul fatto che la maggior parte dei cristiani usa tutti i mezzi possibili per occupare effettivamente i posti che gli angeli caduti lasciarono vuoti. Ma tuttora, pretendono già in questo mondo di vivere vita angelica. ...

 
E perciò è molto comprensibile che i monaci si attirino in modo particolare le ostilità dell'antico nemico e non c'è nulla di male che la lotta con i demoni occupi un posto così importante nella vita dei padri dell'eremo. Ma non succede solo questo nella vita dei padri dell'eremo: si tratta di un elemento che si troverà sempre nel monachesimo, non come superstizione medievale o come il prodotto di un'immaginazione esacerbata, bensì come una realtà in alcun modo romantica. Finché ci saranno i monaci, tenteranno di lottare contro i demoni, per quanto siano diverse le forme che, secondo le epoche, possono questi adottare.

Come tutti gli uomini che peregrinano in questo mondo, tuttavia i monaci sono vulnerabili agli attacchi dei demoni. I seguaci infernali non lo ignorano, e i monaci lo sanno perfettamente bene. Per questo gli uni attaccano senza tregua, mentre gli altri sono sempre pronti per la difesa. Il tema della Militia christiana è uno dei più frequenti, alle volte il più frequente nella letteratura monastica, come si può comprovare facilmente aprendo per caso qualunque di questi scritti. Nella Regola Benedettina, ad esempio, la vita del monaco è concepita come il servizio militare prestato a Cristo Re: il monaco è il guerriero di Dio; la Regola, il codice militare; il monastero l'accampamento; l'obbedienza le armi; l’abate il capo generale. Fra le brillanti e poetiche descrizioni della vita dei monaci che ha fatto San Giovanni Crisostomo, non manca la nota guerriera, a volte come in questo passaggio, di tono molto alto: "Non sanno niente della tristezza. Così come hanno inchiodato nei cieli le loro capanne, così lontano dalle penalità della vita presente, si sono accampati contro il diavolo al quale fanno la guerra. È qui giustamente la ragione per cui, inchiodate lì le loro tende, sono fuggiti dalle città, dalle piazze e dalle casse. In effetti chi deve fare la guerra non può abitare in casa. No, la sua abitazione deve essere completamente improvvisata, come chi sta per abbandonarla senza indugio [...]. A chi in effetti, stando in campagna, non è mai successo di gettare le fondamenta e costruire una casa che dopo poco deve abbandonare? [...]. Quando torniamo in patria, si che potrai fare questo; quando ci ritireremo nella nostra città, lassù, godrai di questo vagare [...]. Qui basta aprire una fossa attorno all'accampamento, basta che fissiamo una palizzata. Non abbiamo bisogno di casa. Ascoltate come vivono la vita i nomadi. Così dovranno vivere i cristiani: percorrendo tutto il mondo lottando contro il diavolo, liberando quelli che sono stati fatti prigionieri da lui, distaccandosi da tutto il terreno. Il monaco è secondo questo modello degli altri cristiani come un guerriero di Cristo. Tale concezione militare della vita monastica attraversa i secoli. San Pier Damiani, ad esempio, contemplava Cluny quale accampamento spirituale nel quale combattevano cielo e terra, e come uno stadio dove la carne fragile lottava contro le potestà aeree. Lo stesso si potrebbe dire di quanti monasteri esistono o sono esistiti in tutta la faccia della terra; e infatti i testi paralleli che si potrebbero aggiungere sono innumerevoli.

Nel lungo brano di San Giovanni Crisostomo non si parla di resistere al demonio, bensì di fargli la guerra, di attaccarlo. In effetti il monaco non si limita alla battaglia spirituale, a mantenersi sulla difensiva, ma parte con l'offensiva; e se questa lotta corpo a corpo con Satana, che S. Benedetto considera propria degli eremiti, si prolunga fino alla fine della vita del monaco, essa è necessaria perché il demonio non lascia in pace l'uomo di Dio, però anche perché l'uomo di Dio non lascia in pace il demonio. Il martirio - dice uno scrittore moderno riassumendo la tradizione dei Padri - è una partecipazione alla morte di Cristo; “l’ascetismo, nel mistero della sua lotta contro le potestà maligne”. i monaci si sentono professionisti del combattimento spirituale. Sono atleti di Cristo. L'idea che più potentemente spingeva gli anacoreti era delle volte andare a combattere il diavolo nei suoi propri domini, di liberare l'isolamento dell'impero di Satana, estendendo in questo modo il regno di Cristo.

Effettivamente, questo avvenne nei deserti dell'Egitto, della Siria, della Palestina, dove avvennero le grandi battaglie fra gli spiriti infernali e i monaci. I monaci leggevano il Vangelo e dal Vangelo sapevano molto bene che: "Gesù fu portato dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo" (Matteo 4,1). Per questo e per altri passaggi della Bibbia, così come anche per le tradizioni popolari, erano a conoscenza che i demoni abitavano luoghi solitari, rovine e vanno errando fra i ruderi. E gli anacoreti, seguaci di Gesù, si internavano nei luoghi spopolati e fissavano la loro dimora fra le rovine, preferibilmente nei templi e nelle sepolture pagane, per darsi con i demoni. Non restavano delusi. Quando Sant'Antonio va per la prima volta nel deserto, i diavoli s’indignano: "Fuori dal nostro territorio! Che fai in questo eremo?". E nel vedere che altri seguivano l'esempio del grande atleta, Satana si lamenta amaramente: "Non mi resta nessun luogo. [...] Dovunque esistono cristiani, e perfino il deserto si è riempito di monaci". Però i demoni fanno di più che indignarsi e lamentarsi: fanno perdere le speranze agli atleti di Cristo, facendoli oggetto di molteplici e feroci attacchi.

 

 
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