SAN PIO COME CRISTO LA SOFFERENZA REDENTIVA - Recensione al testo di Circelli e Stanzione |
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domenica, 14 agosto 2022 | |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions di Francesco Guarino L’editrice Mimep di Milano in occasione del ventesimo di canonizzazione di san Pio di Pietrelcina ha stampato il testo di don Marcello Stanzione e del Dottore Claudio Circelli intitolato: “San Pio come Cristo. La sofferenza redentiva”. ...
Nella vita dell’umile frate del Gargano, è, infatti, possibile percepire i tempi della presenza amorevole e misericordiosa del divino. Essi ripropongono con l’intera esistenza l’annuncio già risuonato nel solco dei secoli a partire dal grido di San Paolo, che canta il Crocifisso Risorto, e la parola della croce (logos tou starau), scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani. In questa contemporaneità essi rimandano alla pienezza ed unità del mistero di Cristo, illuminando la singolare partecipazione del cristiano alla Sua sofferenza, in quel percorso di completamento nella propria carne di ciò che manca ai patimenti di Cristo (cfr Col 1,24). I santi, pieni di Cristo, si lasciano da Lui abitare, facendo spazio, misticamente, alla stessa sofferenza di Cristo, ricolma tuttavia, della speranza gioiosa della resurrezione. Non ci sorprende allora l’esclamazione di san Pio, in linea con santa Teresa: «Cristo è in agonia fino alla fine del mondo» (Ep. I,350).[1] In questo spazio intendiamo collocare l’esistenza “teologica” di San Pio da Pietrelcina vissuta e realizzata individualmente ma in un certo modo corporativamente, in persona Ecclesiae, in virtù della quale potrà far suo il giubilo di san Paolo: «Non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20), sarà infatti, Cristo stesso ad amare, soffrire, gioire, in lui. In questo ambito, proprio della figura spirituale di san Pio, ove esperienza del mistero, mistica e mistagogia si fondono probabilmente tra loro, si sono avventurati i due autori Marcello Stanzione e Claudio Circelli. Il risultato è un lavoro prezioso. Attraverso la lettura delle pagine si evince che nella vita religiosa e sacerdotale di padre Pio il legame fra memoria e profezia trova una mirabile sintesi. Nel suo cammino vocazionale, fare memoria, è innanzitutto, il ricordo sempre vivo dell’incontro con Cristo, nell’attesa di seguirlo nella via del sacerdozio. La chiamata alla sequela del Cristo, servo, povero ed umile, che dovette avvenire fin dalla tenera età (Ep. I,471),[2] si esprime al meglio nel ripercorrere le orme del Padre Serafico, con l’ingresso come chierico presso i Frati cappuccini, per il tempo della formazione umana, teologica e religiosa, nel tentativo di risposta alla perenne domanda che interroga “i chiamati”: «Chi sei Signore?»; «Cosa vuoi che io faccia?» (cfr At 9,1-19; 22,5-16; 26,9-18), e nel desiderio di comunione con Lui: «Signore, dove abiti?» (Gv 1,38). La risposta di Gesù: «Venite e vedrete» (Gv 1,39), insieme tremens et fascinans, per Padre Pio significherà lasciarsi abitare e riempire dal Signore fino a conformarsi ed assimilarsi a Lui in quel mistero di amore e comunione, che, accogliendo la croce, fonte di salvezza, gli consentirà di esclamare, parafrasando l’Apostolo: «Non sono più quello che più vivo ma sento esservi qualcuno in me» (I,383; cfr Gal 2,20). Nel tempo del dolore e della malattia misteriosa e in quell’esperienza della lontananza dal chiostro, vissuta con grande sofferenza (Ep. II,126), come esilio, deserto ed umiliazione,[3] la consolazione che gli deriva dall’ascolto della Scrittura,[4] non spegne la fede nella profezia, in Colui che proprio nel deserto parla al cuore del suo popolo (cfr Os 2,16). La gioia e la commozione (I,196) per il dono del sacerdozio il 10-08-1910, elevano quale offerta e culto spirituale a Dio gradito (cfr Rm 12,1) la sua intera esistenza, il suo stesso corpo, assimilato al Corpo di Cristo, nelle sofferenze e nelle afflizioni, in una incessante comunione di vita, desiderio e “follia” di offerta vittimale per la salvezza delle anime. Suonano come poesia, nel suo cuore sacerdotale, colmo di Cristo, le dolci ed amabili parole divine pronunciate per bocca dell’angelo: «Gesù vuole che tu lo rassomigli nelle angosce del deserto, dell’orto e della croce» (Ep. I,331) che si collegano in un certo modo alla direzione spirituale del suo Padre Benedetto, che proprio all’inizio del dialogo epistolare, offre a Padre Pio una chiave di lettura biblico-teologica di ciò che sarà il suo discepolato nel Signore, ovvero il brano di Sir 2,1 «Figlio, se vuoi servire il Signore preparati alla tentazione» (Ep. I, 192) insieme ad una riflessione sul medesimo percorso negli scritti di san Paolo (cfr 1 Cor 10,13; 2 Cor 12,7-9; cfr Ep. I,227). Padre Pio comprende così che le sue «eccezionali condizioni» (Ep. I,594), sono particolare permissione della mano divina che «dolcemente percuote» (Ep. I, 180.182) e la stessa «lunga e varia prova del malessere fisico» (I, 330), diverrà “luogo” del reciproco dilettarsi e sollevarsi nell’Amore (Ep I,335). Cosa c’è di più oscuro del dolore, della solitudine, della morte? Ma quali orizzonti di speranza e di vita si aprono in essi, quando Gesù Cristo ci permette di vedere oltre! Gesù ci dona di sapere che la morte si apre alla vita senza fine, che la solitudine si apre alla comunione totale, che il dolore può divenire testimonianza d’amore, capace di svuotare l’odio, che insidia il cuore umano. Nelle pagine del libro si scorge la vittoria dell’amore e la sconfitta della morte. Non vince la morte, ma sempre la vita. Non svanisce l’uomo, ma si apre alla vita stessa di Dio, che dalla croce fa scendere lo stesso Spirito di Dio sugli “uomini che egli ama” (Lc 2,14). A questo servono i santi: a rilanciare perennemente questo dono dello Spirito di Dio. Tale è stato per san Pio. Lo fu in maniera singolare, sia per l’esperienza “spirituale” che ne segnò la stessa carne, sia perché come sacerdote – vittima redentiva – fu dispensatore infaticabile di quella grazia inesauribile che Dio elargisce nei sacramenti. Se siamo in comunione con il Signore, allora sperimenteremo un accrescimento della speranza nell’affrontare la vita di ogni giorno, ma anche un aumento della partecipazione alle sofferenze dei fratelli. Ci ritroveremo cioè pieni di speranza e solidali con gli altri. Saremo così strumenti del Signore. Come amava cantare San Francesco, diverremo strumenti di pace.
Prof. Francesco Guarino Teologo, scrittore e docente
[1] Riguardo al tema, molto sentito in san Pio, della sofferenza divina e della singolare partecipazione di ognuno a tale apostolato, egli scriveva al Padre spirituale: «Non credere che sia stata solo di tre ore…lo sarò (in agonia) fino alla fine del mondo» (7 apr. 1913, lett. 123 p. 350). Quest’ultima affermazione trova un motivo di ulteriore afflizione divina per l’infedeltà di alcuni ministri sacerdoti, che a san Pio misticamente fu dato di vedere. Dal punto di vista delle tradizioni spirituali, affermazioni simili si rintracciano per esempio nell’atto di offerta di s. Teresina, alla cui attenzione spesso i Padri spirituali rimandavano lo stesso san Pio.
[2] Queste visioni furono messe per iscritto diversi anni dopo attraverso quella sapienza che si effonde in virtù dello sguardo retrospettivo che consente di rileggere la propria vita alla luce dell’esperienza di Dio e del cammino che Egli ha fatto percorrere. Il ricordo della cresima, 27 settembre 1899, è narrato in Ep., I, 471. Per le visioni ante noviziato si veda di G. Di Flumeri, “Le visioni di Padre Pio nel periodo precedente il suo ingresso al Noviziato”, in «Studi su Padre Pio» IV (2003/1) 15-30. [3] La Scrittura ci offre notevoli spunti in tal senso. Mosè dopo l’entusiastica “auto-candidatura” per la salvezza del suo popolo, fondata sulla percezione della consapevolezza di se stesso, ed il successivo fallimento, non trova altra via che la fuga nel deserto. Tuttavia, sarà proprio lì, che incontrerà la chiamata del Signore alla sequela, servizio e missione. Similmente san Paolo, dopo la chiamata e l’incontro/conversione, cui seguono l’annuncio fervente ed entusiastico che gli fanno percepire di poter essere la “punta di diamante” della Chiesa dei primi secoli, per la sua conoscenza della Legge e della Scrittura riletta alla luce di Cristo, deve incontrare un tempo di deserto/nascondimento che si distingue per la difficoltà a comprendere il piano di Dio. Questo periodo confluirà nel ritorno alla nativa Tarso, dove riprese il suo mestiere di fabbricatore di tende. Retrospettivamente egli intese questo tempo apparentemente inspiegabile, come un momento privilegiato di formazione e preghiera, nel quale riflettere sul mistero della volontà divina. Un tempo nel quale poté distinguere un’effusione di grazie, un tempo nel quale far maturare in se stesso la debolezza della croce di Cristo, come emergerà dalle lettere della Cattività, come mostrano i contributi di carattere biografico in 1 Cor 2,1-12; Fil 3,7-14. Non mancano gli esempi fra i testimoni del secolo scorso, contemporanei in parte anche di San Pio, come don Divo Barsotti, che significativamente nel suo diario, dovendo tracciare un bilancio dei primi sei anni di sacerdozio, laconicamente scriveva: “Nulla”. [4] Trova consonanza nel grido dei salmi, nelle figure profetiche, in particolar modo quella di Giobbe, dal momento che, come il saggio,, non si sente compreso, anzi la sua vita è amarezza e fiele, in più, come il popolo d’Israele, sperimenta l’esilio dalla terra dei padri (il Convento) tra le angustie del deserto che gli procurano un atroce tormento (Ep., I, 427). |
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