Gli angeli portano a Dio le preghiere dell'umanità Di don Marcello Stanzione |
escrito por Amministratore | |
venerdì, 17 de giugno de 2022 | |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions L’Angelo è per eccellenza colui che può presentare a Dio le preghiere dei giusti arricchendole con la sua propria santità. Questa certezza dell’Antico Testamento si ritrova nell’ultimo Libro del Nuovo Testamento. “Un altro Angelo venne allora a porsi vicino all’altare, munito di un incensiere d’oro. Gli si diedero molti profumi perché li offrisse, con le preghiere di tutti i Santi, sull’altare d’oro posto davanti al Trono” (Apoc.8,3 e 4). ...
Abbattuti da disgrazie incomprensibili, Tobia e la sua famiglia, lungi dal ribellarsi, continuano pazientemente a lodare Dio ed a seguire i Suoi Comandamenti. Da parte sua, la giovane e bella Sara, perseguitata da una volontà demoniaca accanita nell’impedirle di fondare un focolare, si affida al cielo. Dio, avendoli abbastanza provati, interviene e mette termine alle loro prove inviando loro Raffaele. Intervento miracoloso, decisivo. Ora, perché si è prodotta, qual è stato l’evento che ha motivato l’aiuto potente dell’Arcangelo? Raffaele, nell’istante di risalire presso il trono di Dio, ne dona la chiave: “Voi saprete dunque che, quando eravate in preghiera, tu e Sara, ero io che presentavo le vostre suppliche davanti alla gloria del Signore e che le leggevo; e come quando seppellivi i morti. Quando tu non hai esitato ad alzarti, ed a lasciare la tavola, per andare a seppellire un morto, io sono stato inviato per provare la tua fede, e Dio mi inviò nello stesso tempo per guarirti, come anche Sara, tua nuora”. (Tobia 11, 12,13,14). Clemente di Alessandria afferma che l’uomo, anche se prega da solo, è mescolato alla preghiera dei Cori angelici, ed Origene mostra gli Angeli che si riuniscono intorno a quelli che pregano al fine di unire le loro preghiere alla sua. “Perché, se salgono al Cielo, è per portarvi le nostre preghiere se ne discendono, è per riportarci i doni di Dio” (Origene, Contra Celsius). Facendo questo, essi compiono un’opera sacerdotale, giustificando la tradizione iconografica che li riveste degli ornamenti sacri. Ma la preghiera degli Angeli, secondo una tradizione ben ancorata, è dapprima un canto di lode perpetuo. “Gli Angeli circondano il Trono di Dio e lodano perfettamente la divina maestà; essi sono migliaia di migliaia; sono degli eserciti, dei cori di fiamme, senza smettere fin dal primo istante della loro esistenza, il popolo dei primogeniti di Dio, coro scintillante di astri accesi dall’Altissimo intorno al Suo Trono nel firmamento” (San Gregorio di Nazianzio). Tutta la Creazione deve celebrare gli splendori del Creatore. Si pensi ai canti di allegrezza nel libro di Giobbe: “Chi posò la pietra angolare, in mezzo al concerto gioioso degli astri del mattino e le acclamazioni unanimi dei Figli di Dio?” (Giobbe 38,6 e 7). Questi canti non hanno nulla a che vedere, evidentemente, con le armonie terrestri, anche le più sublimi, perché essi sono puramente spirituali; essi non ricorrono né agli strumenti di musica, né alla voce. Raffigurarseli è impossibile per la comprensione umana. Comunque, la Bibbia evoca il contenuto di questi canti angelici. Isaia, in una visione, contempla i Serafini inginocchiati intorno al trono di Dio e li sente proclamare: “Santo, Santo, Santo è Yahvé Sabaoth! La Sua gloria riempie tutta la terra!” (Is.6,3). San Luca, la notte della Natività, mostra il cielo di Betlemme pieno di “una truppa numerosa dell’esercito celeste, che lodava Dio dicendo:“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà!”. E l’Apocalisse apre le sue visioni sul concerto degli Eletti e degli Angeli: “Ho inteso la voce di una moltitudine di Angeli riuniti intorno al Trono, dei Viventi e dei Vegliardi - essi si contavano per miriadi di miriadi e per migliaia di migliaia! - e gridavano a piena voce: “Degno è l’Agnello immolato di ricevere la potenza, la ricchezza, la saggezza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. Nei passi di Isaia e di San Luca, la Liturgia, sia quella latina che quella greca, ha fatto gli inni del Gloria e del Sanctus che gli Ortodossi chiamano il Trisagon. Quest’ultimo è talvolta chiamato inno serafico e gli esegeti lo comprendono come espressione del timore sacro che agita fin nelle più santi delle creature davanti alla maestà divina. San Giovanni Crisostomo, per rispetto verso i Serafini, considerava che il loro canto non doveva essere riproclamato se non dai battezzati, mentre il Gloria in excelsis, inno dei Cori inferiori, era accessibile ai catecumeni. A questi Angeli cantori l’Apocalisse aggiunge la rimessa ai Sette che stanno davanti a Dio delle sette trombe annunciatrici dei flagelli. Tuttavia, non è questo aspetto terribile che riterrà la cristianità, se non nel canto del “Dies irae”. Nella pietà popolare come nell’iconografia, i concerti angelici sono infinitamente più pacifici e sereni. Così pacifici e così sereni che essi saranno presto associati alla morte dei martiri, dei giusti e dei santi. Per diverse ragioni, gli Angeli sono guardati come le guide ed i difensori delle anime sulla via del Cielo. Molto presto, la Chiesa perseguitata, sconvolta dall’inalterabile serenità di cui fanno prova i martiri fin nei supplizi così atroci che la loro sola descrizione solleva il cuore, vi vede l’effetto di un fenomeno mistico, di una grazia che strappa l’anima a se stessa, rendendo i testimoni insensibili ai tormenti della carne. Questa estasi è legata alla visione degli Angeli. “Bisogna sapere che accade spesso che i beati Spiriti cantino dolcemente le lodi di Dio, quando le anime degli eletti escono da questo mondo, affinché, occupate ad intendere quest’armonia celeste, esse non sentano la separazione dai loro corpi” (San Gregorio Magno, Dialoghi). In una passione spesso guardata come apocrifa, o parzialmente apocrifa, quella di Santa Cecilia, la giovane patrizia è così riconfortata nella sua agonia dal canto degli Angeli. Una cattiva lettura medievale comprenderà che fosse Cecilia stessa che cantava in tal modo. Questo errore poetico farò della martire romana la patrona dei musicisti.... |
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