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SAN GIOVANNI ENRICO NEWMAN E GLI ANGELI Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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martedì 19 ottobre 2021

SAN GIOVANNI ENRICO NEWMAN E GLI ANGELI Jonh Henry Newman nasce a Londra il 22 febbraio 1801. Il padre è un banchiere dalla religiosità incerta, la madre discende dagli ugonotti francesi. E’ un ragazzo alto e magro, dagli occhi grigio-scuri, intelligentissimo. A 10 anni ha la certezza di essere chiamato a “servire la gloria di Dio”; a 15 incontra Dio “non come una nozione, ma come una persona che mi disse “Tu””. I suoi studi sono una carriera rapida e brillante: entrato all’ “Oriel College” dell’Università di Oxford a 21 anni, nel 1822 è promosso “fellow”, membro con borsa di studio. ...

 
Nel 1824 è ordinato prete anglicano e diventa tutor, professore assistente. A 27 anni è parroco di Santa Maria di Oxford, ma conserva la docenza universitaria e pubblica opere di patrologia e di storia della Chiesa. E’ uno dei cervelli della Gran Bretagna, ma è insoddisfatto e cerca la verità attraverso una nuova strada. Predica al popolo ed è ascoltatissimo; affascina i giovani di Oxford con le sue lezioni, ma è insoddisfatto della sua fede. Nel luglio 1833 compie un lungo viaggio in Italia. A Roma avverte il lacerante contrasto nel suo animo: l’avversione al Papa – i cattolici, dagli anglicani sono spregiativamente chiamati papisti- e il fascino della roccia di Pietro su cui poggia la Chiesa. Incontra il sacerdote Nicola Wiseman, rettore del Collegio inglese, desideroso di ridare dignità ai cattolici d’Inghilterra, da secoli reietti in patria: con cui parla a lungo (Wiseman diventerà cardinale arcivescovo di Westminster). Il viaggio prosegue in Sicilia, dove si ammala gravemente, ma è sicuro: “Non morirò perché ho un lavoro da compiere in Inghilterra”. Guarisce e prega: “O Dio, luce gentile, guidami tra le tenebre. Nera è la notte, lontana la casa: guidami tu. Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami tu” Rientrato a Oxford, si unisce a un gruppo di anglicani che trattano problemi spinosi: la vera natura della Chiesa, il rapporto con la Tradizione, l’autorità papale. Sotto il suo pulpito si accalcano numerosi fedeli. Il 24 settembre 1843 vi sale per l’ultima volta e rivolge i rimproveri più dolorosi e severi alla Chiesa anglicana. Trascorre un periodo di silenziosa meditazione e di travagliata riflessione. L’8 ottobre 1845 davanti al passionista Domenico Barberi della Madre di Dio pronuncia l’abiura dell’anglicanesimo e diventa cattolico. Scriverà: “Fu per me come entrare in un porto, dopo una crociera burrascosa. La mia felicità è senza interruzione”. Gladstone, premier britannico, commentò: “Mai la Chiesa romana, dopo la Riforma, ha riportato una vittoria più grande”. La sua conversione è un evento e molti lo imitano: in un anno saranno oltre 300 le conversioni di intellettuali, professori, teologici. Intanto Newman va  a Roma. Nel collegio di Propaganda Fide completa gli studi teologici e il 26 maggio 1847 riceve l’ordinazione sacerdotale. Incoraggiato dal papa Pio IX, torna in patria. Ormai cinquantenne vive la stagione più bella perché è sicuro di aver raggiunto la Verità, di essere in comunione con Cristo, la Chiesa e il Papa. Entra nell’Oratorio di San Filippo Neri e fonda oratori a Maryvale, Birminghan, Londra, Edgbaston. Ma arriva un periodo di grandi prove. Newman si trova solo e incompreso. Ma nulla lo scoraggia. Nell’oratorio di Birmingham si occupa dell’educazione intellettuale e morale dei ragazzi e dei giovani con bontà e amorevolezza. Don Bosco aveva saputo di lui e della sua conversione e lo apprezzava molto. Nel 1879 Leone XIII lo crea cardinale ed egli commenta: “Le nubi sono cadute per sempre”. L’11 agosto 1890 l’indefesso cercatore della verità va incontro al suo Dio “luce gentile”. Sulla tomba vuole scritto “Ex umbri set imaginibus in veritatem”, dalle ombre e dalle figure alla verità. Il papa Benedetto XVI lo beatifica il 16 settembre 2010 durante il suo viaggio apostolico nel Regno Unito e papa Francesco lo canonizza il 13 ottobre 2019 in piazza san Pietro. I sermoni tenuti da Newman, giovane parroco anglicano, nella chiesa di St. Mary di Oxford, durante 15 anni, costituiscono una summa teologica, moderna e per taluni aspetti assai originale. Se vi è un tema del sermonario newmaniano che ritorna con costanza, è certamente quello degli angeli. Egli non si accontenta di affermarne l’esistenza. Si collega a quella convinzione che gli angeli sono gli strumenti dell’economia della salvezza stabilita dal Signore, che essi gioiscono del mistero dei loro doni soprannaturali, cui ogni credente deve esservi attento, in breve che bisogna “realizzare” la presenza di questi esseri predestinati. Non ci sarebbe dunque da meravigliarsi del posto e del rilievo dati agli angeli nella predicazione di Newman. In quel sermone del 1831: Le potenze della natura, Newman comincia con una nota: nel passato, il culto degli angeli ha potuto prendere una svolta eccessiva, è tutto il contrario di oggi. Newman non si risparmia nessun rigo della Bibbia disegnando il loro profilo di realtà ed il loro contorno di vita. Lo abbiamo visto prima, il sogno di Giacobbe in cui il patriarca fu rapito dalla visione degli angeli che salivano e scendevano dal cielo è stato sicuramente una delle scene bibliche più stimolanti. Egli vi ritorna soventissimo: la scala di Giacobbe è come il simbolo di quel mondo invisibile abitato dagli angeli di cui il credente deve avere la convinzione. L’angelo che visita Agar nel deserto, colui che raggiunge i tre giovani nella fornace, l’angelo che vigila alla piscina di Betesda  “senza rinunciare alla sua purezza né alla sua perfetta felicità”, e le scene molteplici della vita di Cristo, delle prime predicazioni degli apostoli, sono troppo pregnanti del ministero tenuto dagli angeli per non aprire gli occhi della fede alla loro realtà ed alla loro missione. Con gli angeli, un mondo reale è dato, costituito da esseri concreti e viventi, soprannaturali, benché inaccessibili ai sensi ed alla ragione. Il realismo della fede: Gli angeli abitano il mondo invisibile, e noi siamo meglio istruiti nei loro riguardi anziché a proposito delle anime dei fedeli defunti perché: “questi ultimi si riposano dei loro duri lavori, nel mentre che gli angeli sono attivi in mezzo a noi nella Chiesa. Non c’è nessun cristiano, per umile che sia, che non sia assistito dagli angeli, purché egli viva nella fede e nell’amore. Benché siano così grandi, così gloriosi, così puri, così belli, che la loro vista, se potessimo vederli, ci atterrerebbe, come l’ha vissuto il profeta Daniele, eppure sono nostri compagni di servizio e di lavoro, essi vigilano sui più umili tra di noi e ci difendono, dal momento che noi siamo di Cristo. La gente d’abitudine fanno come se l’altro mondo non esistesse ora, come se non dovesse esistere che dopo la morte. Niente affatto: esso esiste ora, anche se noi non lo vediamo. E’ in mezzo a noi ed intorno a noi. Noi siamo in un mondo di spiriti quanto nel mondo sensibile e noi conversiamo con esso. Una parola riassume l’essenziale: “La maggioranza degli uomini uniscono il loro destino al mondo visibile; i veri cristiani, ai santi ed agli angeli”. Questo perché gli angeli dimorano “nello stato perfetto al quale tendono i veri cristiani: una intera sottomissione a Dio in pensiero ed in azione che fa la loro felicità; la volontà di fondo e radicalmente prigioniera di quella di Dio, è la pienezza della loro gioia e della loro vita per sempre”. Quali non devono essere la deferenza ed il rispetto quando si entra in una chiesa, poiché essa è il posto in cui Dio è presente, e “gli angeli tutto intorno, che vanno e vengono”. Il realismo della fede inclina soprattutto Newman ad insistere sul servizio di assistenza morale e di sostegno spirituale, reso dagli angeli presso quelli che sono fedeli al Vangelo: “I santi angeli sono là, presenti. Quando noi preghiamo, essi sono come dei custodi vicino a noi, quando simpatizzano coi nostri bisogni, quando si uniscono a noi per la lode”. E’ lo stesso realismo che conduce Newman ad evocare la presenza dell’angelo custode. Ancora timido al tempo di Oxford, questa prenderà la sua dimensione spirituale dopo la conversione a Roma. Che un dialogo segreto si sia snodato tra l’oratore di Birmingham ed il suo angelo custode, noi ne abbiamo un indizio in una lettera indirizzata al suo vescovo alla fine della sua vita in cui egli dice la sua emozione nel rivedere Oxford ed il suo vecchio collegio di Trinità che l’ha eletto fellow onorario: “Rivedere prima di morire il posto in cui ho iniziato la lotta della mia vita, col mio buon angelo a fianco, è una prospettiva quasi troppo dura da sopportare”. Come, infine, su questo tema dell’angelo custode, negligere il celebre poema, Il Sogno di Geronzio che, nell’ultimo passaggio della morte, fa dell’angelo l’iniziatore e la guida verso l’eternità. Con questa evocazione degli angeli, la predicazione scava, oltre che la sua verità, tutta una parte del suo fascino e della sua seduzione. Chi resisterebbe alla bellezza di taluni quadri che schizzano la presenza ed il movimento degli angeli intorno al Trono celeste?
 
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