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L’IDENTITA’ MICAELICA DELLA PUGLIA Di mons. Cosimo Damiano Fonseca PDF Stampa E-mail
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sabato 19 giugno 2021

L’IDENTITA’ MICAELICA DELLA PUGLIAEsiste un simbolo che nella sua icasticità esprima compiutamente l’anima culturale, ma non solo questa, della Regione Puglia? Intorno a questo interrogativo all’inizio degli anni settanta vennero chiamati a consulto alcuni rappresentanti delle istituzioni universitarie pugliesi per dare indicazioni congrue ed efficaci al nascente Ente Regione nella ricerca di qualcosa che emblematicamente ne rappresentasse e ne segnasse sugli atti legislativi e amministrativi la sua storia. ...

 
Mi pare che non ci volessero particolari doti divinatorie per prevedere che un accordo non sarebbe stato trovato. La partizione politico- amministrativa delle tre subregioni ( Daunia, Japigia, Messapia), la pluralità delle culture e delle civiltà stratificatesi nel corso di millenni, il particolarismo delle tradizioni indigene, non consentivano alcuna reductio ad unum sul piano semiologico o iconografico. C’era, infatti, chi propendeva per un simbolo dell’età arcaica, ma il suo carattere espressivo di una delle tante culture indigene lo faceva scartare; chi per un fregio del periodo romano, ma anche questo avrebbe rivelato la sua mancata pregnanza per la genericità della proposta; chi per “ San Nicola”, espressione certamente della vocazione marinara della Puglia, anche se ne era impedimento la marcata valenza di “ baresità” che lo connotava; chi per il rosone della Cattedrale di Otranto ciò collegare un altro dei tratti distintivi della storia pugliese, quello dei rapporti tra Oriente e Occidente, ma anche questo venne ritenuto del tutto parziale e per di più periferico geograficamente e sostanzialmente alla coscienza del “ cittadino pugliese”; chi per Castel del Monte dove Federico II impresse il sigillo della sua enigmatica personalità, ma non valse il fascino dello Svevo a farlo recepire nella unitarietà espressiva delle diverse componenti di cultura e di civiltà della regione. La proposta avanzata  da chi scrive , sembrò  fermare l’attenzione almeno per il suo carattere inconsueto e per la percorribilità  del suo stigma che apparentemente rinviava ad un segno religioso e, al limite, confessionale, ma he in realtà, tra i vari simboli identitari, esprimeva in senso proprio l’ethos di un popolo nella pluralità dei suoi percorsi di differenti e polisemantica matrice politica, spirituale, territoriale, ecc. si tratta dell’universo dei simboli micaelici che dalla grotta garganica sino all’estremo confine del Salento aveva accompagnato i momenti di ansia e di insicurezza delle popolazioni locali; aveva efficacemente e specificamente espresso la genesi mediterranea del suo culto: aveva assistito a una conversione del popolo guerriero, quello longobardo, di matrice est-europea che in San Michele aveva visto la reincarnazione della loro divinità eponima; aveva assistito con i Normanni all’elevazione della grotta dell’apparizione garganica a santuario nazionale; aveva conosciuto popoli e stirpi diverse che da tutta l’Europa avevano sperimentato il senso liberatorio dell’ascensio ad montem; specialmente in concomitanza con il fenomeno dei pellegrinaggi in Terrasanta. La centralità del culto micaelico nella grotta garganica emerge, quindi, con significativo vigore all’interno della mappa della visibilità del sacro che accompagnò la nascita e lo sviluppo dell’Europa. E cominciamo dal Liber de appoaritione Sancti Michaelis il cui esordio9, al di là del tono  e delle forme letterarie indulgenti all’amplificazione dell’evento, coglie il carattere della universalità assunta dalla grotta delle apparizioni divenuta spazio sacrale: Memoria beati Michhaelis archangeli toto orbe venerandum ipsius et opere condita et consecrata demonstrat ecclesia e, nel contempo, il coinvolgimento dei cittadini di Siponto a considerare l’invaso grottale come un luogo dedicato a Dio e a S. Michele ( Hac revelatione compreta, consuetudinem fecerunt cives hic Dominum sanctumque deposcerew Michaelem).  Ma è dopo la vittoria dei Sipontini e Beneventani da una parte e i Napoletani, cioè i Bizantini, dall’altra, che si concretizza il primo pellegrinaggio collettivo al santuario micaelico Cumque domum reversi victores vota Domino gratiarum ad templum referebant arcangeli. E ancora un pellegrinaggio registra il liber dopo la terza apparizione e l’invito dell’Arcangelo al vescovo di Siponto ad entrare nella grotta e a farne un luogo di preghiera: At veniunt mane ( i cittadini di Siponto) cum oblationibus et magna instatia precum. E’ ben noto come il Liber de apparitione è stato dotato  al IX secolo, anche se si ritiene che si tratti di una riutilizzazione di un testo più antico del VI secolo: in ogni caso, si tratti del nucleo primitivo o della redazione più ampia effettuata in piena età longobarda, rimane confermata la priorità dei flussi de pellegrinaggio verso la montagna sacra garganica anteriormente al pellegrinaggio compostellano. Ma che di più ed è la continuità delle testimonianze che dalla seconda metà dell’VIII secolo in poi testimonia la convergenza verso la grotta dell’arcangelo sia di pellegrini  noti per dignità ecclesiastica, rango imperiale e sovrano, ceto cavalleresco sia di pellegrini senza nome indicati nella documentazione come “ vir quidam”. E tale è il caso di quel vir quidam de gente Anglorum mutus etr surdus di cui parla la Chronica  Monasterii Casinensis all’anno 787 che si era recato a Roma con alcuni compagni e con gli stessi si era successivamente diretto ad memoriam beati Michahelkis que in monte Gargano sita est prima di raggiungere il protocenobio di Montecassino. E ancor prima di questo inglese senza nome, dalle lontane terre di Normandia erano giunti nel primo decennio dell’VIII secolo sul Gargano il vescovo di AVranches, Oberto, anch’esso destinatario di un’apparizione dell’Arcangelo sul Monte Tomba, dove farà sorgere  il famoso santuario di Saint-Michel, au pèril de la mer; nel 722 il conte Wolfando, fondatore del monastero di san Michele di Verdun; nel 765 il monaco Magdalvè di Verdun salito sul monte per essere confortato durante la notte “ dalle consolazioni angeliche e dalle rivelazioni divine”. Ma non può essere sottaciuto il già richiamato rapporto tra la monarchia longobarda, la stirpe ducale beneventana e il santuario micaelico come è attestato dalla metà del secolo VII sino alla metà del secolo VIII dalle iscrizioni dedicatorie o commemorativo- acclamatorie presenti sulla parete della galleria del Santuario: vi ricorrono i nomi di Grimoaldo I ( 646/671), il figlio minore di Gisulfo II del Friuli, di Grimoaldo I ( 671-687), di Romualdo III ( 706-731-32), di sua moglie Gunperga e del loro figlio, Gisulfo II ( 742-751) che non mancarono di venerare l’Arcangelo così vicino alle loro tradizioni religiose e alla fierezza del loro popolo sino a fare del luogo  di culto garganico il santuario della propria stirpe. E non è un caso che lo stesso Romualdo I donasse Monte Sant’Angelo, oltre la sede episcopale di Siponto, alla Chiesa vescovile della capitale del ducato, cioè di Benevento. Il secolo IX la grotta dell’Arcangelo registra il pellegrinaggio del monaco Bernardo, il monaco di Francia che nell’860 si recò al Gargano insieme con un monaco di Benevento  e con un altro proveniente dalla Spagna, rispettivamente Vitale e Bernardo, e, di ritorno dalla visita di Gerusalemme e a Roma, circa sei anni dopo, a Mont-Saint-Michel. Il 999 è l’Imperatore Ottone III a salire sul monte per soddisfare la penitenza impostagli dal grande abate Romualdo fondatore di Camaldoli: et causa penitentie annota la Chronica Monasterii casinensis quam illi beatus Romualdus iniunxerat abiit ad Montem Garganum. E prima  dell’imperatore di Sassonia, si reggistra la visita al santuario micaelico di due grandi abati di altrettanto celebri abbazie: nel 940 Oddone di Cluny e nel 956 Giovanni di Gorze. Durante questo secolo va collocata la presenza di pellegrini del Nord Europa come ci attestano le iscrizioni runiche incise sulla facciata della galleria sottostante il santuario. A su volta , Flodoardo di Reims, lascerà un ricordo del suo pellegrinaggio negli Opuscola metrica dove descriverà come sciolsero il voto all’Arcangelo i Sipontini dopo la vittoria sui Bizantini ( cioè i Napoletani del Liber de Apparitione) erigendo nuovi edifici all’imboccatura della grotta ornando con marmi policromi l’altare e offrendo arredi preziosi. Nell’XI secolo si intrecciano alla storia del Santuario le vicende di un altro popolo dalle grandi tradizioni militari: non si dimentichi che proprio allo spirare del secolo, un gruppo di cavalieri normanni di ritorno da Gerusalemme, da Salerno , dove si erano messi al servizio del principe Guaimaro IV, compiono un pellegrinaggio alla grotta dell’Arcangelo. Ma per soffermarci sui pellegrini saliti al monte varrà ricordare il pellegrinaggio  del papa Leone IX, salito al Gargano oratonis gratia nell’aprile del 1050 e di un quendam episcopi, qui orationis gratia montem Garganum adierat nel marzo 1058. Qualche decennio prima si registra la presenza di due francesi: nel 1020 Nantero, abate si san Michele di Verdun, nel 1023, quidam reverendae vitae episcopus de Galliarum partibus. Un’ultima menzione di pellegrini senza nome viene riportata in una notazione della Chronica cassinese sotto l’anno 1122: Eodem anno quidam claudus de territorio Turonensi orationis gratia montem statuerat adire Garganum: era zoppo e veniva da Tours cioè da una città che annoverava un celeberrimo santuario in cui riposava il corpo di San Martino di Topurs. In cinque secoli si erano avvicendati sulla sacra montagna pellegrini provenienti dalla Spagna, dalla Francia, dall’Inghilterra, dai paesi Bassi, dalla Germania, dall’0Italia cioè da tutto l’Occidente: erano imperatori, papi, re, vescovi, duchi, abati, cavalieri, ma anche gente comune, come il sordo e muto che era partito dall’Inghilterra e come lo zoppo che veniva da Tours; era il popolo d’Europa che si recava a venerare o “causa penitentie” o “ orationis gratia” il principe delel ilizie celesti, l’Archistratega che aveva prescelto una grotta vili facta scemati, sed caelesti predita virtute per rendere viva la sua memoria. L’itinerario verso le balze della montagna e verso i tornanti che portavano alla caverna esaugurata dalla presenza angelica assurse a un ruolo di grande importanza religiosa, culturale e politica. Lo ricorda Paolo Diacono nell’epigrafe mortuaria a lui attribuita e dedicata ad Ansa, moglie del re Desiderio madre di Ermengarda. Dopo aver reso omaggio alla bellissima moglie del re d’Italia, “ imperitura su tutta la terra per i meriti e per fama”, al suo coraggio per aver risollevata “ la patria lacerata dalla guerra”, al suo intuito politico nell’unire , attraverso, le nozze delle figlie. “ le remote genti che l’Ofanto lambisce legandosi col vincolo della pace a quelle che cingono il Reno e il Danubio”, lo storico longobardo esorta il viandante a continuare il suo viaggio da Brescia verso Roma e il Gargano. “ prosegui ormai sicuro il tuo viaggio, o pellegrino, che dal lontano Occidente miri alle guglie del venerando Pietro e alla rupe della venerabile caverna del Gargano”. Certo la grotta garganica, prototipo delle numerose chiese rupestri dedicate all’Arcangelo Michele e per di più sparse per tutta la regione, avrebbe potuto degnamente rappresentare il “ comune sentire” delle nostre popolazioni, ma quasi quarant’anni or sono non venne assolutamente percepita la novità di una proposta che avrebbe ante tempus espresso attraverso il culto micaelico i caratteri identitari della Puglia
 
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