LA MISSIONE DEGLI ANGELI E L’INCARNAZIONE DI CRISTO A NATALE Di don Marcello Stanzione |
Scritto da Amministratore | |
sabato 19 dicembre 2020 | |
La funzione di messaggeri da parte degli angeli sembrava definitivamente terminare con la venuta di Gesù sulla terra considerato come l’inviato per eccellenza di Dio, infatti Gesù Cristo è colui che non solamente reca la parola di salvezza definitiva da parte di Dio, ma è in assoluto la parola Incarnata di Dio stesso. ...
San Paolo lo sottolinea con forza a diverse riprese affermando che gli angeli ora non sono più che i semplici testimoni dell’incarnazione di Cristo (1Tm 3, 16; 5, 21). Questi è ormai l’unico mediatore tra cielo e terra, il solo e vero ministro della nuova alleanza, e gli angeli non sono altro che gli umili servitori di Cristo. L’evento dell’incarnazione, affermato nella nuova fede cristiana, sta per sconvolgere l’angelologia ebraica tradizionale, riportandola in secondo piano e proponendo al credente cristiano un nuovo rapporto nei confronti della trascendenza di Dio. La distanza vissuta dolorosamente tra Dio e gli uomini, distanza che era in parte “addolcita” dal ministero degli angeli, è oramai abolita in Cristo. Dio è uomo, viene nella carne in Gesù di Nazareth. La fede cristiana propone dunque un altro tipo di trascendenza di Dio ed un’altra relazione a questa trascendenza. Questa è una trascendenza d’umiltà e di abbandono, nella gloria della croce di Gesù. Ed il credente è rinviato incessantemente al lavoro del mondo, nel servizio della giustizia e della fraternità, nella prospettiva escatologica d’un regno futuro. L’angelologia tradizionale dell’Antico Testamento è allora completamente sconvolta, a tal punto che un pensatore profondo e poliedrico come l’islamista Henry Corbin ha potuto dire che la fede nell’incarnazione del Cristo annunciava la fine dell’angelologia biblica. In effetti le cose per quanto riguarda l’incarnazione di Cristo sono ancora più complesse. Il pensiero cristiano affermerà con forza, contro tutte le gnosi, l’unica mediazione di Cristo e contesterà il potere degli angeli (Rm 8, 39) che da ora in poi sono totalmente sottomessi a Cristo (Col 1, 16; 2, 15) come loro Re e Signore. Ma allo stesso tempo, la pietà cristiana e la teologia patristica assumeranno l’eredità dell’angelologia tradizionale ebraica ed inventeranno una nuova presenza di mediazione degli angeli presso gli uomini. Se nell’Antico Testamento gli angeli erano gli inviati del Padre, ora nel Nuovo Testamento gli Angeli sono la corte celeste del Figlio. Riguardo poi all’angelo che reca l’annunzio ai pastori, egli è un messaggero di gioia. Egli trasforma il mondo e la notte dei pastori si rischiara per la luce che emana da lui. I pastori che vegliano sul loro gregge ci ricordano le notti insonni, durante le quali ci rigiriamo continuamente nel nostro letto a causa delle angosce della vita. La notte insonne si rischiara all’annuncio angelico della venuta del salvatore che guarendoci dalle nostre ferite esistenziali ci libera dalla disperazione che ci opprime. Accanto all’angelo dell’annunciazione ai pastori, appaiono anche una moltitudine di angeli della milizia celeste che acclamano Dio e poetano la pace agli umani. Gli artisti li hanno di frequente raffigurati come angeli bambini che cantano in coro per il gaudio di Dio e degli uomini. Grazie agli spiriti celesti tutto diventa più leggero e soave. Gli angeli del Natale congiungono insieme cielo e terra, il divino e l’umano. Essi ci aprono il cielo e ci fanno percepire la corrente d’amore che fluisce tra Dio e il mondo degli uomini. Se facciamo entrare in noi tale amore divino, allora anche da adulti veniamo affascinati dal Natale e, nonostante tante delusioni della vita, ci abbandoniamo all’amore che gli angeli del Natale diffondono sulla nostra umanità. A Natale la mangiatoia non fu soltanto il baricentro dell’adorazione umana, ma divenne anche il punto focale della devozione angelica. Per gli angeli , la Natività rappresentò una meraviglia e un mistero nello stesso modo in cui lo fu per gli uomini. Possedevano la conoscenza di molti segreti che la flebile mente umana non era in grado di cogliere, ma nemmeno gli angeli conoscevano, nella loro interezza, i progetti divini. Anche per loro, l’incarnazione rappresentò non solo una rivelazione ma anche un mistero , tale da richiedere nuove vette di umiltà, di amore e di condiscendenza nell’adorazione di Dio. A loro era stato affidato il compito di annunciare la Natività e loro stessi si trovarono in preghiera al cospetto di Gesù bambino, insieme ai pastori. Nello stesso modo in cui dimostrarono altruistica gioia in questo nuovo atto divino e s’inchinarono in profonda adorazione di fronte alla Divina maestà – che ai loro occhi si era manifestata nella bassezza umana che il loro Creatore aveva scelto d’indossare – gli angeli dedicarono se stessi al nuovo ruolo di ministri al servizio delle esigenze umane e si prepararono a seguire Gesù ovunque il suo cammino lo avesse condotto. Nel Salvatore, gli angeli ebbero una nuova visione dell’umanità e compresero che nel servire gli uomini avrebbero servito Gesù stesso, e di conseguenza, il loro ministero acquisì una nuova gratificazione e una rinnovata comprensione. La nascita di Gesù unisce cielo e terra. La gloria di Dio appare nell’alto dei cieli e giù, sulla terra, appare la pace di Dio in Gesù. E’ un paradosso: mentre un bambino nasce in una stalla, in cielo rifulge la gloria divina. Il riflesso della gloria di Dio sulla terra è la pace. La parola greca per pace – “eirene” – non sta a significare soltanto l’eliminazione della guerra e della discordia, bensì la salvezza operata da Dio. La parola ebraica per pace, “shalom”, si riferisce allo stato originario dell’uomo. Nella nascita di Gesù Dio ricrea l’uomo così come l’aveva pensato. La parola greca “eirene” indica la quiete dell’anima. Quando Dio si fa uomo, l’uomo trova la pace nel suo cuore inquieto, il suo anelito è soddisfatto. “Eirene” si riferisce all’armonia in cui tutto si accorda. Nella nascita di Gesù si accordano Dio e uomo, cielo e terra. C’è armonia tra Dio e uomo, tra spirito e materia, tra angeli ed esseri umani. Questa pace, la quiete, l’armonia spetta agli uomini di cui Dio si compiace. “Eudokia” significa il compiacimento divino e il movimento amorevole di Dio verso l’uomo. Esprime la benevolenza di Dio nei confronti degli uomini. Nella nascita di Gesù Dio ha dimostrato agli uomini il suo amore per suscitarlo anche in loro. Il mistero del Natale, cioè di un nascere per morire ed il mistero della croce pasquale, ossia di un morire per nascere. Disegnano in chiaroscuro l’arco della vita di Gesù, attraversata da parte a parte del glorioso mistero della risurrezione che la sigilla. Nascita e morte sono due misteri di assoluta nudità: quella del parto e quella della morte sulla croce. L’uomo muore nudo, senza armi né bagagli, come pure nasce nudo. La nascita è un mistero di travaglio, vulnerabilità, donazione, amore che si dischiude, luce interiore che dal seno verginale di Maria risplende sul volto e trasfigura l’umanità di Gesù: povera, semplice, luminosa chiarezza del presepe. La morte in croce è un mistero di sofferenza, abbandono, sacrificio, amore che si nasconde, tenebre di peccato che avvolgono l’umanità umiliata di Gesù: cupa e fitta oscurità del Golgota. Questo modo divino di operare la salvezza corrisponde alla logica divina dell’Incarnazione, manifestata nell’unione ipostatica. Dio non salva con la sola potenza divina, anche se avrebbe potuto farlo e tuttavia non l’ha scelto, ma Dio salva attraverso la debolezza umana che egli ha fatto propria. Le tentazioni, la sofferenza voluta per amore e la comunicazione della vita attraverso la morte sarebbero state tutte impossibili a Dio se a Natale non si fosse incarnato in un Bambino. |
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