MONSIGNOR GIUSEPPE DEL TON E GLI ANGELI Di don Marcello Stanzione |
Written by Amministratore | ||
mercoledì, 16 settembre 2020 | ||
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Monsignor Giuseppe Del Ton nacque a Dignano d’Istria il 29 dicembre 1900 e morì a Roma nel 1997. Del Ton fu ordinato sacerdote nel 1924, successivamente si trasferì alla diocesi di Parenzo come segretario del vescovo e docente di latino nel seminario. Nel 1932 fu trasferito in Vaticano dove fu stretto collaboratore di ben 6 papi. Mons. Del Ton che fu molto vicino al padre cappuccino san Pio da Pietrelcina offre questa sua testimonianza: “Padre Pio era solito recitare una preghiera all’Arcangelo scritta da papa Leone XIII, sotto il cui pontificato egli nacque: ecco il testo della preghiera “O San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia. ... Contro la malizia e le insidie del diavolo sii di sostegno. Noi scongiuriamo supplichevoli che Iddio lo tenga sotto il suo dominio. E tu, o principe delle milizie celesti, per la potenza che Iddio ti ha dato, rovescia nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni che a rovina delle anime vanno scorazzando per il mondo”. Purtroppo – diceva monsignor Del Ton – questa bellissima preghiera da tempo era caduta in disuso perché la Chiesa aveva trascurato il culto di San Michele, non raccomandandolo più ai fedeli. Questo fu un motivo di grande dispiacere per Padre Pio che ripeteva spesso: “Oggi più che mai, in questa epoca apocalittica, è necessario combattere sotto lo stendardo di San Michele”. Rinnovare il culto dell’Arcangelo era per lui un dovere morale. Sempre mons. Del Ton racconta: “La notte dell’11 novembre del 1956 mi trovavo a Pompei e feci un sogno che non dimenticherò mai. Mi apparve Padre Pio benedicendomi: “Devi fare qualcosa per il bene della Chiesa e per la letizia del popolo. Fai qualcosa per rinnovare la devozione a San Michele. Datti da fare insieme ad altri uomini di intelligenza e di tempra ascetica”. Quel sogno – afferma mons. Del Ton – aveva un valore profetico. Negli anni successivi una serie di circostanze mi portarono a organizzare insieme con altre persone, un’associazione culturale che si propone di dare nuovo vigore al culto di san Michele Arcangelo. La chiamammo Milizia di San Michele Arcangelo. Quest’associazione si trova nella Cappella del monastero dei canonici Regolari a Tor Lupara, presso Roma. Là ci troviamo spesso per recitare la bellissima preghiera di Leone XIII invocando l’Arcangelo, proprio come faceva sempre Padre Pio che, con il suo aiuto, distribuiva le grazie e leggeva nel cuore degli uomini”.
Riguardo all’ angelo protettore d’Italia, mons. Giuseppe Del Ton con toni lirici così descriveva tale spirito protettore “ italico” nel suo libro “ Verità su angeli e arcangeli”: “ L’angelo della gaiezza, anche della nostalgia di un passato glorioso, dello slancio verso il vero, il bene, il bello, si trova di fronte Asmodeo, il demone della discordia, dell’odio fra i classi, e l’esito della lotta non sempre è favorevole: ora è rattristante. Mi sono talvolta chiesto quale forma visibile vorrei preferibilmente per l’Arcangelo nostro, o Etnarca. Passeggiando una sera nei Giardini Vaticani, contemplavo il tramonto del sole. Il cielo era di un azzurro-cobalto sempre più languido e sfumato. Il sole, velato da un leggero strato di nubi, appariva come una fornace ardente, un blocco d’oro, un ammasso di mille topazi; ora si allargava, ora si restringeva e per lo più prendeva forma ovale, ma sempre maestoso, sovrano. Intorno all’ astro lentamente si spostava qua e là una nubecola di colore violaceo-carminio. Rapportai questo spettacolo di celeste bellezza alla angelofania del profeta Daniele, così da lui descritta: “ Alzati gli occhi, vidi un uomo vestito di lino; portava alle reni una cintura d’oro. Il suo corpo era come di topazio, il suo volto pareva fulgoreo, i suoi occhi come fiaccole accese è il suono delle sue parole come il fragore di una moltitudine” ( Dn. 10,5). Con riferimento a questo spettacolo di tramonto romano, così oso raffigurare l’Arcangelo nostro. Statura elevata, fronte spaziosa, nero l’occhio penetrante, fiero il capo giovanile aureolato di luce fulva; ali robuste, raccolte e quiete, ma pronte al volo immediato dall’uno all’altro mare italico. La sua veste: una tunica succinta rosa- azzurrognola; i calzari, d’oro; nella mano destra, un libro in cui si legga una sentenza a caratteri marcatamente impressi su sfondo di zaffiro: Italorum spes innoccidua Maria x u y . Così ritratto da esperto pennello, egli s’imponga non tanto per il valore estetico, quanto per la sua espressione simbolica, come è propria alle icone sacre. Onorato, invocato dai suoi fedeli sia in privato, sia in assemblea, riesca egli fattore quasi sacramentale di religiosità viva e operosa, diretta sempre al bene pubblico, e col suo beneficio influsso di mediatore prepari all’Italia nuova età, in cui i fortunati posteri, meno infelici, possano con grato animo salutarlo. A noi venìa la creatura bella, bianco vestito e nella faccia quale par tremolando mattutina stella. ( Dante, Purg. XII,88-90)
Ahimè! Tale archetipo ideale della grazia italica che si rivelò nel sorriso di Beatrice, e si rivelava ancora nelle donne di terra italica, nella gaiezza dei bimbi innocenti, nell’espressione del volto virile, amico, accogliente, va scomparendo. Passando per le vie delle città, raro è lo scambio del saluto, più raro il lampo della frase saggia e gentile; sfiducia e sconforto seminano tristezza e l’ avvenire si prospetta peggiore del presente”. |
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