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I PROFETI BIBLICI DI FRONTE ALLE CATASTROFI SOCIALI Di don Marcello Stanzione PDF Imprimir E-Mail
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mercoledì, 15 de luglio de 2020
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I PROFETI BIBLICIAmos (VIII sec. a.C.) avverte che Dio, padrone dell’universo e guardiano dell’ordine  morale, punisce le nazioni che si sono rese colpevoli di averlo violato: così il giorno di JHWH, che dirige la storia di Israele come delle altre nazioni, non sarà luce ma tenebre per il popolo corrotto (Am 5,18-20) e la vendetta del Signore sarà terribile (Am 6,8-14). Osea (VIII sec. a. C. ) introduce una nuova dinamica in questa filosofia religiosa che vuole il mondo impegnato in un cammino continuativo verso una delle due possibilità: l’autodistruzione ovvero l’apoteosi. ...

 
La storia ha, per Osea, un movimento che potremmo definire a spirale, dovuto a un avvicendamento, non certo meccanico ma dialettico, tra i momenti delle catastrofi relative e quelli del superamento delle stesse, poiché solo la catastrofe ha in sé il germe della salvezza e della resurrezione. Ciò è espresso nell’idea del “ritorno”: “Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza” (Os 6, 1-2).

E’ stato giustamente osservato come in questa concezione venga ipotizzata una fine della storia e, al tempo stesso, un rientro nella storia:

Improvvisamente la storia viene a gettarsi in un abisso per sparirvi, e una porzione di non-storia permette il sorgere di una storia nuova:…il primo capitolo di Osea esprime, in modo nettissimo, la nazione di una non-storia. Osea ha successivamente tre figli. Il primogenito, Izreel, simboleggia (…) la fine del quadro storico in cui viveva Osea (…). La figlia che nasce poi si chiama Non-amata, Lo’ Ruhamah: simboleggia la fine dell’amore divino per Israele. Il terzo nato, un figlio, si chiama Lo’-Ammi, Non-mio-Popolo: simboleggia la fine dell’alleanza. Invece di evocare le catastrofi che l’avvenire riserva suggerendo, ad esempio, la morte o la deportazione dei figli, Osea descrive i figli stessi come distruttori dell’avvenire”.

Izreel è però il seme di un nuovo avvenire, tanto che il Signore stesso chiede:

“Dite ai vostri fratelli: ‘Popolo Mio’ e alle vostre sorelle : ‘Amata’. (Os 2,3).

Isaia (VIII sec. a.C.) è il profeta del mondo ad opera del Messia, l’Emanuele, l’uomo dell’alleanza e dell’ingresso di Dio nella storia, in virtù del quale l’opera della salvezza è interna e contestuale alle traversie della debolezza e della perdizione del genere umano.

Il concetto di una successione cronologica degli eventi capitali della storia viene così’ superato dal concetto di un’eternità immanente nelle cose dovuta alla Grazia divina e alla salvezza di quanti ne sono beneficiati. La salvezza non viene dopo la catastrofe, ma è ad essa connessa: si deve dunque parlare di “storia santa” o di “tempo di Dio”:

“Ne rimarrà una decima parte, / ma di nuovo sarà preda della distruzione / come una quercia e come un terebinto,/ di cui alla caduta resta il ceppo./ Progenie santa sarà il suo ceppo”. (Is 6,13).

E’ nella cerchia dei suoi intimi che il profeta cerca, con una disciplina segreta, di formare la decima parte sacra, votata alla salvezza. La comunità di eletti che circonda Israele riceve delle vere e proprie lezioni segrete:

Si chiuda questa testimonianza, si sigilli questa rivelazione nel cuore dei miei discepoli. Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il volto alla casa di Giacobbe, e spero in Lui. Ecco, io e i figli che il Signore mi ha dato siamo segni e presagi per Israele da parte del Signore degli eserciti, che abita sul monte Sion…” (Is 8,16.18).

Geremia (VII sec. a. c.) ed Ezechiele (VI sec. a. c.) vedono ugualmente la catastrofe e non esitano ad annunciare con parole che rendono appieno le loro visioni allucinate:

Geremia sente il rumore degli zoccoli e il nitrito dei cavalli nemici che penetrano in Gerusalemme (4,29); Ezechiele vede l’arca santa ed i cherubini abbandonare il Tempio profanato (10, 18); (…) Geremia esce per le vie di Gerusalemme con un giogo sul collo (c. 28). Ezechiele resta inchiodato a letto e si nutre di escrementi (c. 4). La spada, il fuoco, la schiavitù, la deportazione, la morte ritornano senza tregua”.

Il Tempio, residenza di Dio, crolla insieme alla Terra. Ma se tutto è spazzato via, se ogni scoria materiale è consumata, resta la vicinanza e l’intimità con Dio, non una traccia esteriore ma un segno interiore, un segno di salvezza:

Da lontano, gli è apparso il Signore…” (Gr 31,2). “Da lontano, ricordatevi del Signore…” (Gr 51,50) “Sono io forse Dio solo da vicino, dice il Signore, e non anche da lontano?...” (Gr 23,23).

Tutto ciò che è esteriore, esteso, spaziale è contingente. L’assoluto è il tempo:

Dio può essere lontano, nello spazio. Resta vicinissimo nel tempo. Lo Stato ed il Tempio possono crollare. L’alleanza sussiste nell’esistenza di ogni ebreo.

Ezechiele, undici anni prima della caduta di Gerusalemme, fu deportato al seguito del re Joachin a Babilonia, dove predicò un messianismo che preludeva alla redenzione e alla resurrezione. Profeta e agente di Dio, al suo appello “lo Spirito sorge dai quattro angoli della Terra, per far rivivere le ossa disseccate” (Ez 37,10).

Daniele (II sec. a.C.) vede Dio all’opera nella storia e suggerisce di scoprirne e contemplarne la potenza. Daniele stesso fu salvato dalla fossa dei leoni “perché egli ebbe fede nel suo Dio” (Dn 6,24).

Verrà “il tempo della fine” (Dn 8,17; 11,40), nel quale il persecutore sarà spezzato e ci sarà l’avvento di un regno eterno e universale, di origine celeste (Dn 7). Il Libro di Daniele svela il segreto del Messia, che stabilirà il regno di Dio e dei Santi in terra (Dn 3,33). Il Messia discenderà dal cielo, riceverà l’investitura nelle nubi alla presenza del “Vegliardo dei giorni” di natura e origine ultraterrena. Daniele riceva l’ordine di “suggellare il libro fino ai tempi della Fine” (Dn 12,4).

 
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