GLI ANGELI DEL CONCILIO DI TRENTO E DEI GESUITI Di don Marcello Stanzione |
Scritto da Amministratore | |
mercoledì 15 luglio 2020 | |
Tra le tante tematiche affrontate dal Concilio di Trento (1545-1563), la questione degli angeli non venga neppure accennata. Ma, a tre anni dalla fine del Concilio, nel 1566, viene redatto il “Catechismo del Concilio di Trento ad uso dei parroci”, dove qualche accenno agli angeli viene fatto. Questi accenni, sebbene poggino totalmente su di una tradizione ormai avallata dal sentire popolare, quella della devozione all’angelo custode, confermandola, la incoraggiano e le permettono un respiro ancor più ampio. ... Agli angeli espressamente il Catechismo tridentino riserva un solo paragrafo di poche righe, intitolato “De creatione angelorum”, che così recita: “Dio trasse dal nulla il mondo spirituale e gli angeli innumerevoli, perché gli fossero ministri assidui, arricchendoli poi con i doni ineffabili della sua grazia e del suo alto potere”. E’ soprattutto nella quarta parte del Catechismo tridentino, quella dedicata all’orazione domenicale, che si parla più diffusamente degli angeli e nei modi in cui sarà poi sviluppato la devozione agli angeli: “Sembra opportuno dire qualcosa sulla custodia degli angeli, sotto la cui tutela si trovano gli uomini. Per volere divino è affidato agli angeli il compito di custodire il genere umano, e di vegliare al fianco di ogni individuo, affinché non lo colpisca troppo grave danno. Come i genitori scelgono delle guide e dei sorveglianti per i figlioli che affrontano un viaggio per un sentiero pericoloso ed insidioso, così il Padre celeste, nella via che mena alla patria dei cieli, assegnò a ciascuno di noi degli angeli, perché noi fiancheggiati dal loro solerte appoggio, evitassimo i tranelli tesi dal nemico, respingessimo i suoi temibili attacchi sotto la loro guida, non smarrissimo la retta strada e nessun inganno tramato dall’avversario insidioso, ci spingesse lungi dal cammino che mena al paradiso. Quanto sia preziosa questa singolare cura e provvidenza di Dio per gli uomini, affidata al ministero degli Angeli, la cui natura appare intermedia fra quella di Dio e quella degli uomini, emerge dai copiosi esempi delle divine Scritture. Esse attestano come, spesso, per benigno volere di Dio, gli angeli compirono gesta mirabili al cospetto degli uomini. Tali esempi ci fanno persuasi che innumerevoli atti del medesimo genere sono compiuti dagli angeli, tutori della nostra salvezza, utilmente e beneficamente, per quanto fuori dalla percezione dei nostri occhi. L’angelo Raffaele, ad esempio, per volere divino unitosi quale compagno e guida nel viaggio a Tobia, lo condusse e ricondusse incolume (Tb. 5, 5). Lo salvò dalla voracità del pesce smisurato, mostrando poi tutte le virtù contenute nel fegato, nel fiele e nel cuore di esso (Tb. 6, 2). Cacciò il demonio, e, vincolatane la forza, fece sì che non nocesse a Tobia (Tb. 8, 3). Fu l’angelo Raffaele che ammaestrò Tobia sui doveri del matrimonio (Tb. 8, 4-16). Infine ridonò la vista al padre di Tobia (Tb. 11, 8-15). Similmente l’angelo che liberò il Principe degli Apostoli, offre bene il destro per istruire il pio gregge circa i mirabili frutti della vigilanza e della custodia angelica. Potranno i parroci evocare la figura dell’angelo che scende a illuminare le tenebre del carcere, che desta Pietro dal sonno toccandolo al fianco, scioglie le catene, spezza i vincoli, impone di seguirlo, dopo avergli fatto prendere i calzari e gli indumenti; e ricordare come, dopo aver fatto uscire libero Pietro dal carcere in mezzo alle sentinelle, aprendo la porta, lo condusse in luogo sicuro (Atti 12). Numerosi sono gli esempi di questo genere, come abbiamo detto, che la Storia sacra registra”. La devozione cattolica agli angeli ha comunque il suo apogeo nei secoli XVI e XVII. Lo storico dell’arte Emile Male, nel suo testo su “L’Arte religiosa del 600”, scrive: “E’ l’ultima gerarchia celeste, quella degli angeli, che detiene il primo posto nel pensiero e nell’arte cristiana. A Roma gli angeli sono ovunque: agli angoli delle strade le loro figure piene di grazia circondano l’immagine della Madonna davanti alla quale brucia una lampada; sul ponte Adriano reggono gli strumenti della Passione e le loro tuniche sembrano schioccare nel vento come bandiere, nella brezza del Tevere; nelle chiese scendono dalle volte per posarsi sui cornicioni; nei quadri invadono il cielo e non esiste scena evangelica nella quale non siano presenti. Nel XVII secolo le opere nelle quali non figurano sembrano quasi arcaiche”. In quei secoli, uno dei gruppi promotori maggiori, per la diffusione della devozione agli angeli, furono i gesuiti. E’ nota la venerazione che aveva per gli angeli san Luigi Gonzaga (1568-1591), san Francesco Saverio, san Pietro Canisio, san Stanislao Kostka, così come san Pierre Favre; il gesuita Pierre Coton pure fu un grande devoto come lo testimoniano le preghiere della sua “Occupazione interiore”, e tra i tanti gesuiti dell’epoca, apostoli della devozione angelica, ricordardiamo: Francesco Albertini, con il suo “Trattato dell’Angelo Custode” (Napoli 1612) e Jacques Hantin. Dalla pubblicazione del “Trattato e pratica di devozione agli Angeli”, nel 1575, fino al 1650, ben 25 opere di devozione agli angeli sono opere di autori gesuiti, senza contare l’importantissima opera del teologo gesuita Francisco Suarez (1548-1617), il “De Angelis”, che rappresenta la sintesi più completa di angelologia dell’età moderna e che, anche oggi, per il suo alto valore dottrinale andrebbe tradotta dal latino in un linguaggio corrente. Il De angelis del gesuita Francisco Suarez edito nel 1620 rappresenta la sintesi più completa della angelologia moderna, a metà strada tra la concezione tomista e quella scotista, privilegiando tuttavia quest’ultima sui diversi punti. Sulla questione della pura spiritualità degli angeli e della loro immortalità naturale, egli segue la dottrina di Tommaso, ma ammette che ci possano essere molti diversi angeli all’interno di una medesima specie, come aveva sostenuto Scoto. Per quanto riguarda la conoscenza e la volontà angelica, egli resta fondamentalmente fedele alla posizione tomista, ma se ne distacca quando afferma il primato della libertà secondo il pensiero scotista, per cui l’angelo avrebbe potuto peccare contro l’ordine naturale anche in modo veniale e avrebbe potuto pentirsi del suo peccato, poiché non è determinato irrevocabilmente nel bene o nel male per il fatto stesso che almeno una volta ha scelto liberamente. Da questi presupposti ricava la sua visione circa la “prova” e la “colpa” degli angeli, allontanandosi notevolmente dalla posizione di Tommaso. Egli descrive tre periodi durante i quali gli angeli hanno potuto fare le loro scelte nel bene o nel male. In un primo tempo tutti gli angeli, anche i futuri demoni, hanno compiuto azioni buone e meritorie, in forza delle quali sono avanzati nello stato di grazia e nella loro perfezione. E’ impossibile precisare la durata di questo periodo, poiché corrisponde a un istante rispetto al nostro tempo. Rafforzati dalla grazia, sono passati a un secondo periodo, caratterizzato non solo da nuove grazie attuali concesse da Dio, ma anche da una nuova rivelazione fatta a tutti gli angeli: l’incarnazione del Verbo. E’ stato loro ordinato di riconoscere il cristo fatto uomo come loro capo e loro salvatore, adorandolo come Dio. Lucifero si è opposto, presumendo che tale onore fosse riservato a lui, trascinando altri angeli nella ribellione. Il peccato quindi consiste nella disobbedienza e nell’orgogli. Dopo la prova, gli angeli cattivi sono stati precipitati nell’inferno, mentre gli angeli buoni sono entrati nella beatitudine eterna, che costituisce il terzo periodo della loro esistenza. Egli ha il merito di aver ribadito la centralità di Cristo, la sua signoria sugli angeli e il ministero di questi ultimi nei confronti dell’umanità. Egli si dilunga nella descrizione del ministero svolto dagli angeli a favore degli uomini. La loro funzione principale consiste nel custodire ogni uomo, attraverso sei tipo di azione: allontanare i pericoli esterni e interiori che minacciano il corpo e l’anima dell’uomo; stimolare a fare il bene e a evitare il male; aiutare a cacciare i demoni, attenuando le loro tentazioni; presentare a Dio le preghiere umane; pregare per gli uomini; correggere e punire gli errori, in vista della conversione umana. L’assistenza dell’angelo termina con la nostra morte, quando l’anima viene accompagnata fino al cielo oppure è consolata, se deve passare per il purgatorio. La missione degli angeli custodi è una verità comunemente accettata e proposta dalla Chiesa secondo Suarez e che non si può negare senza cadere in errore. Contestando la negazione degli angeli custodi da parte di Calvino, Suarez scrive: “Tuttavia l’asserzione cattolica, sebbene non si trovi espressa nella Scrittura e non sia definita dalla Chiesa, è talmente ricevuta dal consenso della Chiesa universale che non può essere negata senza una grande temerarietà e quasi con errore”. A maggior ragione, l’esistenza delle gerarchie celesti è una dottrina ammessa dall’umanità dei teologi e dalla Scrittura, e deve essere ritenuta verità di fede. Dopo la grandiosa visione suareziana, non si registra nei secoli successivi uno sviluppo della dottrina cattolica degli angeli, limitandosi la teologia a commentare gli scritti dei grandi teologi della scolastica e in particolare di Tommaso d’Aquino.
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