IL LIBRO DELL’APOCALISSE E LA FINE DEL MONDO Di don Marcello Stanzione |
Written by Amministratore | |
lunedì, 29 giugno 2020 | |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions Il testo dell’Apocalisse attribuito all’apostolo Giovanni è in assoluto, per la cultura occidentale, il modello del genere profetico. Esso infatti non solo riassume concezioni, strutture e forma espressive della letteratura profetica veterotestamentaria, ma rifonda anche il genere stesso, rinnovandolo alla luce della visione cristiana relativa ai destini ultimi dell’umanità. L’ispirazione profetica nell’Apocalisse di Giovanni sfocia in questo modo in un’abbagliante rivelazione di portata cosmica. ... Poiché la profezia ormai riguarda sempre più intimamente il piano divino per la salvezza umana. L’Apocalisse di Giovanni a tal proposito riprende l’idea di tempo ciclico: tutto ritorna, nella storia ma, se così si può dire, a cerchi allargati, per ricomprendere una più complessa realtà. La massima complessità contiene anche il germe della massima espansione. E’ questa ultima la matrice della “battaglia finale” preludio, con la fine dei tempi, alla fine del tempo e all’ingresso nello stato di atemporalità. La profezia si delinea già qui come ologramma, come una rappresentazione multidimensionale del tempo e del più grande mistero della condizione esistenziale umana. Giovanni inizia a raccontare la sua visione così: “Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza di Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba che diceva: ‘Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea’. Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d’oro e in mezzo ai candelabri c’era uno simile a figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. I capelli della testa erano candidi, simili a lana candida, come neve. Aveva gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi avevano l’aspetto del bronzo purificato nel crogiuolo. La voce era simile al fragore di grandi acque. Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza. Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: ‘Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi. Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo’ (I 9,19). Le visioni giovannee si sviluppano quindi a ritmo incalzante e con abbondanza di immagini, ridondanti di simboli. Le visioni rivelano le prove che attendono l’umanità; sigilli, trombe, coppe annunciano le sue sofferenze, conseguenze del peccato. Infatti il regno di Luce, inaugurato e prefigurato come meta finale dal sacrificio di Cristo, prima del suo compimento alla fine dei tempi è avversato e ostacolato dal regno delle tenebre, il “dragone”, il “serpente antico”, lo stesso che ha indotto al peccato l’umanità rappresentata dai suoi capostipiti, Adamo ed Eva, nel paradiso terrestre, e che prosegue l’azione tentatrice e corruttrice nel tempo storico”. “E vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli” (V1). Questi ultimi, sciolti dall’Agnello, fanno apparire quattro cavalieri che preannunziano guerre, stermini e carestie nella “quarta parte” della terra, colpita anche dai flagelli della spada, della peste e delle belve. Il quinto sigillo in particolare presenta l’altare degli olocausti, sotto il quale ci sono le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio. “Quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna divenne tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi” (VI 12-13). Un angelo segna sulla fronte centoquarantaquattromila giusti che saranno salvi nel dies irae. I servi di Dio, preservati dal sigillo, sono il resto dei “figli d’Israele” sui quali Dio “stenderà la sua tenda”. Quando l’Agnello apre il settimo sigillo, sette angeli con sette trombe annunciano castighi terribili: “Appena il primo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla Terra. Un terzo della Terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde seccò. Il secondo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. La stella si chiama Assenzio: un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare. Il quarto angelo suonò la tromba e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente. Vidi poi e udii un’aquila che volava nell’alto del cielo e gridava a gran voce: ‘Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!’ (VIII 7,13). L’invasione delle cavallette è seguita dall’intervento degli angeli sterminatori, preludio dello sterminio dei malvagi, del giudizio finale e dell’Arca dell’Alleanza. Pare che la profezia proceda a cerchi concentrici di raggio via via maggiore. In effetti, da questo punto in poi la visione prende nuovo respiro, si espande e ricomprende un maggior numero di elementi: “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle: era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi”. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato, ma ella fuggì nel deserto. Scoppiò allora una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. “Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e Satana e che seduce la Terra,” è scritto ancora nell’Apocalisse “fu precipitato sulla Terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli” (XII 1-9). Il drago combatte contro la donna, ma invano. Dopo il fallito tentativo di “divorare il bambino appena nato”, il grande avversario si accinge a far guerra contro i rimanenti della discendenza di lei, e si ferma sulla spiaggia del mare. Ecco quindi che dal mare sale un’orrenda bestia – simbolo, forse, della potenza di Roma – alla quale “fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli”. E dalla terra sale un’altra bestia – al servizio della prima, perché promuove il culto imperiale – che “operava grandi prodigi” e che marchiò tutti in fronte col suo nome o numero del suo nome, seicentosessantasei (cifra interpretata in base al valore numerico delle lettere ebraiche corrispondenti a Nerone Cesare). Satana soccomberà all’onnipotenza divina quando sette angeli verseranno sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio. Quanto ai “centoquarantaquattromila, che sono sul Monte Sion con l’Agnello” non berranno “il vino del furore di Dio” e pertanto al primo “giudizio” di Dio sono salvi per un regno millenario. Infatti l’apparizione del Verbo di Dio su un cavallo bianco – e qui la visione segue, come altre, non un andamento cronologico ma di allargamento di campo visivo – fa sì che le muovano guerra la bestia e i re della terra con i loro eserciti. Ma costoro sono sconfitti e la bestia e il falso profeta sono gettati in uno stagno di fuoco. E’ questo il periodo della prima resurrezione: l’Angelo di Dio incatena Satana per mille anni e Cristo regna quindi per un periodo contrassegnato da questa misura emblematica. “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la sabbia del mare”. I nemici di Dio godranno tuttavia di un trionfo passeggero sulla Città santa, trionfo effimero del male ad opera della bestia: “Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei Santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli” (XX 1-10). Giovanni ha quindi la visione della seconda resurrezione: “Vidi poi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Dalla sua presenza erano scomparsi la Terra e il cielo senza lasciar traccia di sé. Poi vidi i morti, grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti libri e fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere”. (XX 11,12). E’ la visione ultima di un “nuovo cielo” e di una “nuova terra”, vale a dire di una “nuova creazione”, la Gerusalemme trasfigurata: “Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro Ed essi saranno il suo popolo Ed egli sarà il ‘Dio-con-loro’. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate”. E Colui che sedeva sul trono disse: ‘Ecco, io faccio nuove tutte le cose’. (XXI 1,5).
La profezia, così com’è formulata dall’Apocalisse di Giovanni, è un sistema che si regge su una logica ad alta complessità, sottostante alla natura intuitiva e visionaria della materia che ne costituisce il contenuto. Il sistema cresce su sé stesso come per l’avvicinamento a un punto, che è fuori delle normali coordinate. Sembra allora riguardare un tempo ma anche un luogo, tempo e luogo che tendono a omologarsi a diventare un continuum che non sappiamo definire altrimenti. Il sistema in questione è dominato da forze spirituali che hanno dinamiche diverse da quelle delle forze materiali. La salvezza dell’umanità è decisa perciò non sui campi di battaglia della storia, ma in una dimensione ultraterrena, e la vittoria consentirà il ritorno degli umani alla loro vera patria, la patria celeste. Più che di fine del tempo e della storia si può quindi parlare del ripristinarsi di un assetto ch’era stato sconvolto, del ritorno a un ordine metafisico. Gli eventi umani sono il pallido riflesso del processo di ristabilimento di quest’ordine, al quale comunque gli uomini possono e devono dare il loro contributo. I fatti mondani hanno perciò una sorta di scansione interna, una specie di correlazione o armonia nascosta che si può rappresentare simbolicamente con una cifra. Il mille è questo “numero” simbolico, sacro, una specie di formula che del destino degli uomini evoca la composizione e la scomposizione, l’ordito e il suo disfacimento. L’evento finale della storia è attuato nel libro dell’Apocalisse da Dio per mezzo degli angeli. Ormai la storia si trova nella fase escatologica (ultima), poiché viviamo nel tempo ultimo, quello della salvezza definitiva e totale, dopo che Cristo ha vinto la morte e le potenze del male. Infatti nessuno degli esseri celesti e terrestri o infraterrestri è in grado di aprire il libro della storia e di leggerlo. Lo dichiara un angelo a gran voce: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?” (Ap 5,2). Solo il Signore glorificato, l’Agnello immolato, si avvicina e riceve il libro della storia dalla mano di Dio; egli solo è degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli. La storia quindi è dominata e guidata da Cristo. Gli angeli si pongono al suo servizio anche in questo supremo gesto della sua azione redentrice, quello di condurre il mondo al giudizio finale, che sta ormai irrompendo sulla Terra. Anzi, l’atto definitivo che il Figlio dell’uomo deve compiere è suscitato dall’invito dell’angelo: “Getta la tua falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura. Allora colui che era seduto sulla nuvola gettò la sua falce sulla Terra e la Terra fu mietuta” (Ap 14,15-16). L’angelo quindi si fa strumento sollecito nelle mani di Dio affinché, per mezzo suo, il tempo giunga al suo compimento e si attui il giudizio. In effetti l’azione angelica assume un valore particolare nella prospettiva escatologica dell’avvento del Regno di Dio sulla Terra. Per mezzo dell’angelo la potenza sovrana di Dio si estende fino agli abissi della storia e della malvagità delle creature razionali e la storia avrà la sua conclusione con la parusia di Cristo, la quale costituisce, dopo l’incarnazione e la pasqua, il terzo grande avvenimento decisivo della salvezza. Anche in questo momento sono presenti gli angeli attorno al Signore quali annunciatori ed esecutori della sua volontà. Infatti il Signore Gesù scenderà dal Cielo alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio (1Ts 1,7). Egli si manifesterà dal Cielo con gli angeli della sua potenza (cfr. Mt 16,27; 25,31; 1Tm 5,21). il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali eseguiranno il giudizio, dividendo i buoni dai cattivi, similmente ai mietitori che separano il grano buono dalla zizzania: Proprio gli angeli hanno avuto il mandato da Cristo, quando egli apparirà nella sua gloria, di radunare “tutti gli eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro del cielo” (Mt 24,31).
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