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Convegno di Crescita e di Formazione Cristiana
SANTA ILDEGARDA CONTRO LA MAGIA Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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domenica 18 agosto 2019
Santa IldegardaL’idea fondamentale che l’essere umano possa condizionare, con pratiche adeguate, la realtà esterna è il punto costitutivo di tutte le credenze magiche. L’uomo primitivo era immerso nella magia. Nella sua lotta per la sopravvivenza, minacciato come era da pericoli di ogni sorta, cercò delle armi efficaci, sia materiali che non. È molto probabile che sin d’allora una previdente “tradizione” volesse che la magia non potesse fallire: la cattiva caccia o la cattiva riuscita di un’impresa erano colpa di una cattiva esecuzione del rito, o perché è intervenuta una contro-magia ostile. È il vero potere, quello che conduce alla sovranità, ed è nelle mani del Grande Stregone, se egli sa come usarlo.Anche nelle culture “primitive” attuali la loro magia tende ad obiettivi particolari e ammette delle forze specifiche: forze diffuse (mana, orenda, ecc.) o spiriti (sia personali che impersonali), che il mago, lo stregone, sottometterà ed utilizzerà. ...
 
Il mana, che è una forza dinamica impersonale e che conferisce efficacia all’azione magica, viene, in alcune culture, personalizzata nel totem animale. Il totem veglia sul clan ed è esso stesso protetto dai profani da una serie di proibizioni (i tabù) di ogni genere, religiose e non.
Lo stregone, se è abile, può raggiungere grazie a questo temibile potere le vette più alte. È quello che probabilmente è accaduto al dio-faraone dell’antico Egitto.
Agli inizi dell’era storica, la magia conosce una vera e propria età dell’oro, in Egitto e in Caldea. In Egitto trionfa una società fortemente intrisa di credenze occulte: i maghi del Nilo definirono la loro opera come l’arte di rendere obbediente la realtà ai voleri del soggetto. Questa arte si chiamava “hike” ed entrava in gioco quando la natura si mostrava recalcitrante di fronte alle richieste degli umani. Gli stessi dei altro non erano che esseri superdotati di hike. Iside ha mantenuto fino al IV secolo d.C. le caratteristiche di grande maga.
La Mesopotamia vide fiorire una magia caldea fortemente influenzata dalla religione terrestre sumera e dalla religione astrale semitica.Due sono i campi privilegiati: la medicina (la malattia è un demone che deve essere scacciato dal corpo dell’uomo) e l’astrologia, che gode di un prestigio immenso nel mondo antico.
Sia in Mesopotamia che in Egitto la magia ha un carattere ufficiale e religioso e si basa sul cerimoniale. Non vi sono maghi specializzati, ma è il sacerdote che invoca ed evoca a suo piacimento.
Il confine tra divino e umano è impreciso e spesso si passa dall’invocazione alla minaccia nei confronti del dio. Poiché il “nome” esatto è tutto, esso è anche uno strumento di pressione nei confronti degli dei.
Conoscere il vero nome di una cosa equivaleva a controllarla, e i “nomi di potere” venivano usati come fonti magiche di energia. Questa credenza fa parte integrante ancora oggi dell’armamentario dell’occultista.
Era credenza comune che fossero stati gli dei a trovare con la scrittura un meraviglioso modo di catturare i discorsi e dargli forma tangibile.
Le parole scritte su argilla, pietra, pergamena, ecc., furono impiegate contro le forze ostili e per attirare fortuna e successo. Le formule magiche messe per iscritto da allora in poi hanno mantenuto un potente alone magico.
Ma che cosa è esattamente la magia? Essa si fonda sul credere nell’esistenza di spiriti che operano nel mondo, dei quali bisogna conciliarsi il favore, acquisire la potenza o quanto meno neutralizzare l’azione attraverso riti e pratiche tenute segrete: chi sia riuscito ad entrare in possesso di questi poteri è tentato di servirsene contro i suoi nemici gettando loro il “malocchio” o malasorte, effettuando un sortilegio. Le pratiche magiche non hanno però sempre un fine malefico, come fare ammalare uomini ed animali, distruggere beni, provocare incidenti: si ricorre al mago anche per confidargli delle angosce e chiedere un successo in affari od in amore oppure che tolga il malocchio.
Tradizionalmente si è soliti distinguere tra magia “bianca” e magia “nera”.
Con magia “bianca” si intende l’arte di operare prodigi con mezzi naturali; in questo senso equivale ai giochi di prestigio ed ai fenomeni di illusionismo. Se tutto ciò non è compiuto con mezzi illeciti e non ha fini disonesti, questo tipo di magia è innocua e legittima. Negativo è invece se per magia “bianca” si intendono forme di intervento che presumono di mirare a scopi, sia pur benefici, con il ricorso a mezzi inadeguati moralmente come talismani, amuleti, pentacoli e filtri vari. E chiaro che in questo tipo di magia bianca entrano in gioco sia forme di superstizione che comportamenti ingannevoli contrari alla natura stessa della fede cattolica.
Ancora più deleteria è la magia “nera”, in quanto essa si richiama in modo diretto o indiretto a poteri diabolici. Generalmente la magia “nera” è indirizzata a scopi malefici come il procurare malattie, disgrazie e morte o ad influenzare il corso degli eventi a propria utilità, specialmente per conseguirne vantaggi personali come onori, ricchezze od altro. La magia “nera” è una vera e propria espressione di anti-culto cattolico ed è indirizzata a far diventare i suoi adepti “servi di Satana”. Rientrano nella magia “nera” tutti quei riti esoterici, a sfondo satanico, che hanno il loro apice nelle cosiddette messe nere.
Alla magia si collega poi, come importante correlato, la divinazione, cioè la pretesa di voler predire il futuro in base a segni tratti dal mondo della natura od in rapporto all’interpretazione di presagi o sorti di diverso genere.
La magia omeopatica o imitativa è fondata sull’associazione di idee per similarità, mentre quella contagiosa, sull’associazione per contiguità. L’applicazione più familiare del primo principio – il simile produce il simile – consiste, per esempio, nel credere che si possa distruggere o far male a un nemico danneggiando o distruggendo la sua immagine; nel guarire o prevenire le malattie, trasferendole alla terra, a un albero, a una pietra, ecc.; nel ritenere che le cose della stessa specie si attraggono l’una con l’altra per mezzo dei loro spiriti; nell’aiutare, o meglio, nel far in modo che, mediante le cerimonie che li riproducono, siano abbondanti il raccolto, la caccia, le attività lavorative in genere.
 Il sistema della magia “simpatica”, tuttavia, non è composto soltanto da precetti positivi, in quanto comprende anche un gran numero di precetti negativi, cioè inibizioni. I precetti positivi sono gli incantesimi, quelli negativi sono i tabù. L’esempio più familiare della magia contagiosa è la simpatia magica che si crede esista tra un uomo e le parti del suo corpo separate, come per esempio i suoi capelli, le sue unghie, così’ che chiunque venga in possesso di capelli o di unghie può fare quel che vuole, a qualsiasi distanza, sulla persona a cui sono stati tagliati. Un altro esempio è la connessa simpatia che talvolta può esistere tra l’uomo e l’arma che lo ha ferito. La magia contagiosa può essere inoltre esercitata su un uomo anche per mezzo delle impronte lasciate dal suo corpo sulla sabbia e sulla terra.
Il termine “mago” viene impiegato da Erodoto nel V secolo a.C. per definire un sacerdote di una casta dei Medi e dei Persiani. Erano questi i “magoi”, dotati di poteri straordinari: interpretare i sogni, avere visioni e identificare presagi. Il termine “mago” aveva, quindi, la funzione di individuare un componente di una tribù consacrata che aveva funzioni particolari.
Successivamente, dalla metà del IV secolo a.C., la parola “mageia” assumerà per i greci il significato attuale: si riferiva, cioè, a un corpo di dottrine nate dall’incontro delle tradizioni greche con l’insegnamento portato da persiani, con Zoroastro come mitico maestro.
Sia per i Greci che per i Romani la magia diventerà un insieme di pratiche rituali aventi come scopo quello di modificare l’ordine previsto delle cose e di ottenere miracoli che il cliente o l’operatore non potevano ottenere con gli atti religiosi. Porfirio, nel III secolo d.C., ci dà una lista di fatti mirabolanti attribuiti ai maghi: si tratta di far discendere la Luna dal cielo, di resuscitare i morti, di far parlare gli animali e le pietre, di far camminare le statue, di trasformarsi e trasformare gli altri, di uccidere a distanza.
A Roma, inizialmente, si crede nell’esistenza di forze diffuse, i “numina” e fin dal 451 a.C. la legge delle Dodici Tavole condanna le formule magiche e gli incantesimi. Tuttaviala grande espansione del potere di Roma moltiplica i contatti non solo con la civiltà greca, ma con numerose altre civiltà d'oriente e, nonostante l’opposizione delle autorità, si moltiplicheranno la stregoneria e l’occultismo.
Molti scritti, da Orazio che ci racconta un intero rituale della strega Canidia alle opere di Plinio il Vecchio che ci documenta un ampio repertorio su rituali magici, dall’Asino d’oro di Apuleio a molte opere di Luciano, ci svelano la diffusa credenza nella magia del mondo romano, credenza che assume sempre più le tinte fosche della magia nera o stregoneria.
Condannato fermamente, sin dagli inizi, dal Cristianesimo, l’occultismo sopravvive nascostamente e trova, invece, uno sviluppo notevole tra gli ebrei e tra gli arabi.
Gli arabi produrranno una notevole letteratura magica che distingue tra magia bianca (quella degli angeli) e magia diabolica (quella dei “gin” o geni). Essa penetrerà in Occidente attraverso la Spagna conquistata dagli arabi o attraverso le Crociate.
Ricchi di una letteratura occulta notevole, anche nei testi apocrifi, gli ebrei passeranno per grandi maestri dell’occultismo, e la Cabala avrà un notevolissimo e costante successo.
Sin dal XII secolo l’Occidente viene invaso da una copiosa mole di opere occultistiche tradotte dall’arabo o dall’ebraico. Intellettuali e studiosi imitarono, commentarono e plagiarono queste opere sino a tutto il XVII secolo. Questa produzione era per la maggior parte opera di dotti che si rivolgevano ad altri studiosi.
La Chiesa continuò per tutto questo periodo a combattere vigorosamente gli occultisti, molti dei quali, per tutta risposta, si rivolgeranno al Diavolo e faranno una parodia dei riti ecclesiastici.  Santa  Ildegarda vede nelle pratiche magiche uno dei culmini del vizio: nel Libro dei meriti di vita, al esempio, mette al trentatreesimo posto su trentacinque la magia e le pratiche occulte, che ella chiama maleficium e che contrappone all’adorazione di Dio. Nello Scivias Ildegarda così scrive:
“ Gli uomini stanno impazzendo per la magia, tanto da vedere e sentire costui, in modo bugiardo, parla loro fino al punto di far loro credere che ciò che essi prendono per una data creatura , ne è in realtà un’altra. Sempre più spesso, si fanno beffe degli avvertimenti e, nel loro orgoglio, affermano che ( agendo in tal modo) non offendono dio se non in cose minime!” ( Scivias,3).
La presenza di forze negative personali è una dogma di fede: sono i demoni, gli angeli ribelli. Dotati di una conoscenza e di un potere che ci superano enormemente, essi possono fingersi docili verso coloro che vogliono perdere. Si può stringere un patto con le forze negative, sia praticando la divinazione ( previsione del futuro) o la negromanzia ( invocazione dei morti), sia esercitando un potere da sensitivi ( guarigione), sia cercando di leggere nell’animo altrui. Ildegarda descrive spesso l’azione delle forze demoniache attraverso la magia, in particolare nello Scivias, visioni 3,7 e 11. Giocare con queste energie, aprirsi ad esse, invitarle, significa introdurre  dentro di sé, nelle altre persone e nel consorzio umano, uno squilibrio che non si è in grado poi di riparare da soli. Il risultato è disastroso, perché, in un modo o nell’altro, questo squilibrio deve essere compensato al fine di restaurare la giustizia. Se una guarigione fisica si paga con un  disordine nervoso, affettivo  o spirituale, il male non è forse ancora più grande? E se la guarigione dell’uno si paga con le sofferenze di un altro, è giusta? Se una conoscenza interiore viola l’altro o mi porta a disprezzarlo, se mi conferisce nei suoi confronti un’autorità che lo schiaccia, essa è diabolica; se i doni di un medium distruggono o dividono una comunità, possono essere buoni? Si registrano molti casi di suicidio o di turbe psichiche ( angosce, paure, impossibilità di pregare, megalomania, schizofrenia) presso le persone che si sono fatte curare in questo modo, o che pensavano di avere potere sugli altrui. Colui che si presenta a questo gioco di apprendista stregone si fa tramite di energie che non conosce, non controlla e di cui ignora l’origine. Credendo sai superiori agli altri  a motivo di sedicenti poteri, o volendo avvelenarsi di quelli di un medium, ci si mette sotto un influsso che attacca il nostro bene supremo: la libertà interiore. Ancora peggiore è la situazione di chi cerca di ottenere tali poteri. Generalmente si tratta di possessioni che, presto o tardi, tradiscono le loro origini ma allora è già tardi per riparare il male fatto. Le forze oscure sono maligne e spesso si nascondono sotto aureole spirituali per coloro che, forza di cercare ( o di immaginare) i “ carismi” per orgoglio, si rendono disponibili a qualunque forza, illudendosi di essere dei privilegiati o delle persone eccezionali. Le vite di Ildegarda e degli altri santi che hanno ricevuto da Dio dei carismi straordinari per il servizio dei fratelli ci insegnano che essi hanno avuto timore di tali doni, e hanno chiesto umilmente di esserne liberati. Non bisogna dunque confondere la chiaroveggenza dei medium ( naturale o forzata) con il carisma di conoscenza, né il magnetismo animale con il carisma di guarigione. Il carisma è donato agli umili per il servizio dei fratelli. Un carisma autentico appartiene alla comunità ecclesiale e non all’individuo. La gratuità non è l’unico criterio di autenticità, Ildegarda ci ripete continuamente che solo l’umiltà ne è la garanzia: “ L’umiltà non trattiene nulla, essa custodisce tutto nel seno dell’amore, e nel suo seno che Dio si china verso la terra, ed è in essa che riunisce tutte le virtù” (LOD, 8). Il timore che Ildegarda aveva di illudersi e la sua esitazione a mettere le sue visioni per iscritto è una garanzia della loro autenticità: un vero carisma non genera orgoglio, ma confusione in colui che lo esercita, e ciò si traduce in una preghiera insistente di essere liberato da questi poteri rimettendoli a Cristo, e nel rifiuto di usarli al di fuori dell’obbedienza alla Chiesa. 
 
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