MONS. FELLAY E LA CRISI NELLA CHIESA. PERCHÉ NON TORNARE ALLA TRADIZIONE? |
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domenica 01 luglio 2018 | |
Di Marco Tosatti Mons. Bernard Fellay ha fatto giungere un suo messaggio al Convegno in corso a Roma su “Vecchi e nuovi modernismi. Le radici della crisi nella Chiesa”. Lo ha letto il prof. Roberto De Mattei. È un testo estremamente interessante; anche alla luce della situazione attuale della Chiesa, in particolare in Europa e nel mondo occidentale, con un calo costante delle vocazioni, e un abbandono altrettanto costante della pratica religiosa. ...
Fenomeni che non risparmiano neanche continenti come l’America Latina, una volta considerati luoghi di una speranza futura, e adesso profondamente feriti dall’abbandono (pensiamo al Brasile) di milioni di fedeli, e dall’avanzata del secolarismo. Di fronte a tutto questo, il messaggio di mons. Fellay è tanto chiaro, quanto certamente fastidioso i vertici attuali della Chiesa. Perché si chiede se non sia opportuno, per cercare di invertire la rotta, risalire a quanto è stato, e si vuole sempre di più abbandonare: cioè la ricchezza della tradizione della Chiesa. Ecco il messaggio, nella sua integralità. La crisi nella Chiesa: quali radici, quali rimedi? Messaggio di Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, alla giornata di studi sulle «radici della crisi nella Chiesa», Roma, 23 giugno 2018. Questa giornata di studi è molto utile, perché è assolutamente necessario oggi risalire alle radici della crisi nella Chiesa. Lo scorso settembre, al momento della pubblicazione della Correctio filialis, che ho firmato, mi auguravo che «il dibattito su queste questioni fondamentali si amplifichi, perché la verità sia ristabilita e l’errore condannato» (FSSPX.News 26/09/2017), e in questo senso aderisco pienamente all’obiettivo che vi siete prefissati: «il rifiuto di questi errori e il ritorno, con l’aiuto di Dio, alla Verità cattolica completa e vissuta, è la condizione necessaria della rinascita nella Chiesa» (presentazione del Congresso del 23 giugno 2018). Corrispondenza tra il Card. Ottaviani e Mons. Lefebvre La vostra iniziativa si iscrive nel solco di uno scambio di corrispondenza poco conosciuto tra il Cardinal Ottaviani e Mons. Lefebvre, che può fornirci un lume prezioso. Questo scambio ebbe luogo meno di un anno dopo il Concilio, nel 1966. In effetti il 24 luglio 1966, il Card. Alfredo Ottaviani, allora Pro-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, faceva giungere ai Vescovi una lettera che elencava i dieci errori che si erano manifestati dopo il Concilio Vaticano II. Vi si possono leggere le affermazioni seguenti, che dopo cinquant’anni mantengono tutta la loro attualità: «Alcuni quasi non riconoscono una verità oggettiva assoluta, stabile ed immutabile, e tutto sottopongono ad un certo relativismo, col pretesto che ogni verità segue necessariamente il ritmo evolutivo della coscienza e della storia». (n. 4) «Né minori sono gli errori che si vanno propagando nel campo della teologia morale. Non pochi, infatti, osano rigettare il criterio oggettivo di moralità; altri non ammettono la legge naturale, affermando invece la legittimità della cosiddetta etica della situazione. Opinioni deleterie vanno propagandosi circa la moralità e la responsabilità in materia sessuale e matrimoniale». (n. 9) [http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19660724_epistula_it.html] La contestazione della «verità oggettiva assoluta» e della «regola oggettiva della moralità», la promozione di un «relativismo» la legittimazione della «morale di situazione», tali sono le radici della crisi nella Chiesa. Il 20 dicembre 1966 Mons. Marcel Lefebvre, all’epoca Superiore Generale dei Padri dello Spirito Santo, rispose al Card. Ottaviani con una lista di dubbi. Questi dubia non erano i suoi propri, ma quelli che vedeva introdursi nell’insegnamento ufficiale, in seguito al Concilio: «Sulla trasmissione della giurisdizione dei vescovi, • le due fonti della Rivelazione, • l’ispirazione della Scrittura, • la necessità della grazia per la giustificazione, • la necessità del battesimo cattolico, • la vita della grazia tra gli eretici, gli scismatici e i pagani, • i fini del matrimonio, • la libertà religiosa, • i fini ultimi, ecc. su tutti questi punti fondamentali la dottrina tradizionale era chiara ed era unanimemente insegnata nelle università cattoliche. Da ora in poi, numerosi testi del Concilio su queste verità, permetteranno di dubitare di esse». Riguardo a questa chiarezza della dottrina tradizionale resa torbida a partire dal Concilio, la confessione – ventiquattro anni dopo – del Padre Henrici S.J., nel suo articolo «La maturation di Concile» (in Communio n°92, nov.-dic. 1990, p. 85 e ss.), conferma il fondamento dell’inquietudine di Mons. Lefebvre. Il teologo svizzero non esita a vedere nel Concilio «l’affrontarsi di due tradizioni differenti della dottrina teologica, che non potevano, in fondo comprendersi a vicenda!». Conseguenze pratiche dei dubbi e degli errori Ma Mons. Lefebvre non si accontentava di enumerare e di denunciare i dubbi recentemente apparsi, ma aggiungeva subito al Cardinal Ottaviani: «Le conseguenze di tutto questo sono state rapidamente elaborate e applicate nella vita della Chiesa». Seguono allora, sotto la penna di Mons. Lefebvre, le conseguenze pratiche, pastorali, di questi dubbi: • I dubbi sulla necessità della Chiesa e dei sacramenti, hanno portato alla scomparsa delle vocazioni sacerdotali; • I dubbi sulla necessità e la natura della “conversione” delle anime, hanno portato alla scomparsa delle vocazioni religiose, alla distruzione della spiritualità tradizionale nei noviziati e all’inutilità delle missioni; • I dubbi sulla legittimità dell’autorità e sulla necessità dell’obbedienza, hanno causato l’esaltazione della dignità umana, l’autonomia della coscienza e della libertà, che stanno sconvolgendo tutti gli ambiti fondati sulla Chiesa -congregazioni religiose, diocesi, società secolare, famiglia (…) • I dubbi sulla necessità della grazia per essere salvati, fanno sì che il battesimo scada alla più bassa considerazione, così che in futuro esso sarà rimandato a più tardi, occasionando la negligenza del Sacramento della Penitenza (…) • I dubbi sulla necessità della Chiesa come unica fonte di salvezza, sulla Chiesa cattolica come l’unica vera religione, che derivano dalle dichiarazioni sull’ecumenismo e sulla libertà religiosa, stanno distruggendo l’autorità del Magistero della Chiesa. Infatti, Roma non è più l’unica e necessaria “Magistra Veritatis”. [https://fsspx.news/fr/scambio-di-corrispondenza-tra-il-cardinal-ottaviani-e-monsignor-lefebvre-1966-38676] Proposta di rimedi concreti Di fronte a questi mali, Mons. Lefebvre propone rispettosamente al Sommo Pontefice dei rimedi concreti: «Il Santo Padre (…) proclami la verità con dei documenti dall’importanza straordinaria, scartando l’errore senza il timore di contraddizioni, senza il timore di scismi, senza il timore di mettere in discussione le disposizioni pastorali del Concilio». Domanda al Papa di sostenere efficacemente i Vescovi fedeli: «Che il Santo Padre si degni: – di incoraggiare i vescovi a correggere la fede e la morale, ciascuno nella rispettiva diocesi come si conviene ad ogni buon pastore; • di sostenere i vescovi coraggiosi, esortandoli a riformare i loro seminari e a ripristinare lo studio di San Tommaso; • di incoraggiare i Superiori Generali a mantenere nei noviziati e nelle comunità i principi fondamentali dell’ascetismo cristiano e, soprattutto, l’obbedienza; • di incoraggiare lo sviluppo delle scuole cattoliche, di una stampa informata dalla sana dottrina, di associazioni di famiglie cristiane; – infine di redarguire gli istigatori di errori e ridurli al silenzio». Al suo umile livello, nella Fraternità San Pio X, che fondò nel 1970, Mons. Lefebvre si è sforzato di mettere in atto questi rimedi: insegnamento tomista nei seminari, ascesi cristiana e obbedienza inculcata ai seminaristi; e intorno ai priorati scuole cattoliche, stampa cattolica, associazioni di famiglie cristiane. Questa applicazione pratica era essenziale per il Fondatore della Fraternità: fare quello che era possibile al suo livello, con le grazie del suo stato, ma non dimenticando mai – come scrive al Cardinal Ottaviani – che «è il Successore di Pietro, e solo lui, che può salvare la Chiesa». Dall’esclusivo all’inclusivo… e ritorno Conviene aggiungere qui che, agli occhi di Mons. Lefebvre, questa applicazione pratica è un rimedio efficace al relativismo. Vuole rispondere sul piano dottrinale ma anche su quello pastorale, perché ha coscienza della dimensione ideologica delle novità postconciliari. Ora non si può rispondere in maniera puramente speculativa a un’ideologia, perché questa vedrà altrimenti davanti a sé solo un’ideologia contraria e non il contrario di un’ideologia. Tale è il modo di ragionare di questo relativismo soggettivista che diluisce «la verità oggettiva e assoluta» e «la regola oggettiva della moralità». Infatti i «dubbi» denunciati sopra hanno per conseguenza la messa in discussione dell’essenziale, cioè della missione salvifica della Chiesa, con la promozione di quel «cristianesimo secondario» analizzato così bene da Romano Amerio. Questo perdere di vista l’essenziale annebbia l’insegnamento dottrinale e morale che fino ad allora era chiaro. Quando la missione salvifica della Chiesa non è più centrale, né prioritaria, niente più è gerarchico, né strutturato armoniosamente, e si ha tendenza a giustificare le contraddizioni, le incoerenze – che sono molto peggio dei «dubbi»! Da qui, si fa in modo che ciò nella bocca di Nostro Signore era esclusivo: o uno o l’altro («Nessuno può servire due padroni: o infatti odierà l’uno e amerà l’altro, o si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro» Mt 6, 24), divenga conciliabile o inclusivo, come si dice oggi. Si sostituirà o l’uno o l’altro con la formula e l’uno e l’altro «che combina il cielo e la terra in un composto di cui la parte predominante che dà al composto il suo carattere è il mondo» (Romano Amerio, Iota unum, Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, edizioni Riccardo Ricciardi 1985, pag. 427). – Questo in nome di una misericordia pastorale che ingloba immigrazione, diritti dell’uomo ed ecologia… Ecco perché Mons. Lefebvre ha insistito tanto affinché fosse lasciata alla Fraternità San Pio X un’intera libertà per «fare l’esperienza della Tradizione». Di fronte all’ideologia relativista e alle sue conseguenze che rendono sterile la Chiesa (vocazioni in declino, pratica religiosa in discesa costante…) sapeva che era necessario contrapporre in modo sperimentale i frutti della Tradizione bimillenaria. Si augurava che questo ritorno alla Tradizione permettesse un giorno alla Chiesa di riappropriarsi della medesima. Risalire alle radici della crisi è, al tempo stesso, risalire alla Tradizione: dagli effetti alle cause, dai frutti all’albero, come ci dice Nostro Signore. E in tal caso le ideologie non resistono, perché i fatti e le cifre non sono “tradizionalisti”, e ancor meno “lefebvriani”, ma sono buoni o cattivi, come l’albero che li produce. Possa la Chiesa, a partire da questa esperienza modesta ma inconfutabile, riappropriarsi della sua Tradizione: tale era lo scopo di Mons. Lefebvre e della sua opera. E noi possiamo solo far nostra la conclusione della lettera al Cardinal Ottaviani: «Senza dubbio è temerario che io mi esprima in questo modo! Ma è con amore ardente che redigo queste righe, l’amore per la gloria di Dio, l’amore per Gesù, l’amore per Maria, per la Chiesa, per il Successore di Pietro, Vescovo di Roma, Vicario di Gesù Cristo». |
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