GLI ANGELI ED I SANTI NEL SEDICESIMO SECOLO Di don Marcello Stanzione |
Scritto da Amministratore | |
martedì 15 maggio 2018 | |
Il sedicesimo secolo è quello della controriforma cattolica ed è dominato dall’accattivante fisionomia di Santa Teresa d’Avila; l’intera Chiesa è misticamente illuminata dalla lampada che porta l’illustre vergine monaca carmelitana di clausura, che va davanti allo Sposo celeste.
Con l’elevazione della sua anima, la carmelitana domina i fenomeni mistici di cui è soggetta, con una veduta profonda Santa Teresa li penetra, li giudica, li classifica; e chiunque vuole percorrere questo campo particolare della mistica deve mettersi alla sua scuola. ... Ha visto gli Angeli come ha visto fisicamente i demoni? L’estratto seguente della sua vita risponderà a tale domanda (Act. SS. Tomo VII, p. 171). “Il Signore ha voluto che molte volte io abbia visto un angelo stare vicino a me dalla parte sinistra sotto una forma corporale. Questo mi è accaduto molto poco spesso, benché d’altronde gli angeli infinite volte mi appaiano, ma io non li vedo al modo della visione di cui parlo. Il Signore ha voluto che quell’Angelo si presentasse a me sotto il seguente aspetto: non era grande, ma piccolo e d’una rarissima bellezza, il suo volto era così infiammato e bruciante che sembrava essere di quegli angeli, i primi ed i più elevati di tutti, che sono tutti infiammati di fiamma; sono quelli là senza dubbio che si chiamano i Serafini (Nella sua autobiografia, Santa Teresa utilizza la parola “Cherubini”. Gli Atti dei Santi hanno tradotto con “Serafini” che designa effettivamente gli spiriti celesti più elevati nella gerarchia); essi non mi dicono i loro nomi, ma io vedo nel cielo tra tale e talaltro angelo, tra questi e quelli, una così grande differenza che non posso esprimerla in parole. Ora, io vedevo che quell’Angelo aveva in mano un dardo d’oro in forma allungata, avente alla sua estremità una fiammella e, con quel dardo, egli forava il mio cuore fin nelle sue più intime fibre e sembrava quando lo estraeva portare al capo qualche particella di carne: avendolo fatto, egli mi lasciò tutta palpitante e bruciante d’un immenso amore di Dio. il dolore era così vivo che mi forzava ad esalarmi in gemiti ed in esclamazioni; ma la soavità che accompagnava quel dolore era così eccessiva, che non volevo esserne suffragata, augurando nella mia anima nessun’altra voluttà e dilezione che Dio steso. La sofferenza di cui parlo è spirituale, non corporale, benché il corpo non vi sia estraneo ma al contrario la sente come non si può più vivamente”. Tale è il celebre racconto della transverberazione del cuore di Santa Teresa da parte di un serafino, che ha riprodotto a Santa Maria della Vittoria lo scalpello di Bernini. La santa dice ch’ella ha visto un angelo sotto una forma corporale, al suo lato sinistro; pare che si tratti bene di una visione fisica. Ella conclude dichiarando che il dolore ch’ella risentì fosse spirituale, non corporale, benché il corpo vi abbia avuto la sua parte ed anche in una maniera molto acuta. Queste ultima parole sembrerebbero gettare un dubbio sulla realizzazione della transverberazione e, in seguito, dell’apparizione; ma questo dubbio è stato risolto con l’ispezione del cuore della serafica vergine fatta dopo la sua morte. Lo si trovò realmente forato e strappato al vertice da una piaga tracciata orizzontalmente, molto larga e molto profonda, le cui labbra portano delle tracce molto percettibili, ancora ora, di bruciatura. Il cuore è conservato ad Avila in un reliquiario di cristallo, migliaia di pellegrini hanno constatato e constatano ancora il misterioso strappo. La Chiesa, autorizzando una festa detta “della transverberazione del cuore di Santa Teresa”, ne ha implicitamente ratificato la realtà. Essendo stata riconosciuta come reale la transverberazione, l’apparizione deve anch’essa esserla, ed anche di una realtà esteriore e fisica. I Bollandisti obiettano a questa conclusione con un passo del “Castello dell’anima” (sesta dimora, cap. IX), in cui la santa tratta delle visioni immaginarie e corporali e si ricusa dall’averne avute in quest’ultimo modo. Ma bisogna notare che in quel passo, benché ella sembra generalizzare, ella parla determinatamente dell’umanità sacra di Nostro Signore. Malgrado il passo allegato, e l’autorità dell’agiografo che la commenta, non è infondato pensare che il serafino le sia apparso fisicamente, poiché egli ha forato fisicamente il cuore di Santa Teresa e che, d’altronde, ella dice di averlo visto al suo lato sinistro sotto una forma corporale. All’inizio del secolo in cui vive Santa Teresa, vissero molte sante religiose che ebbero toccanti rapporti con gli angeli. I Bollandisti citano le beate Osanna di Mantova e Colomba di Rieti, terziarie domenicane. La prima, all’età di sei anni, vede un angelo che la esorta a custodire il suo cuore per Dio e per il cielo. Più tardi, un angelo la aiuta a portare il carico d’acqua assai pesante per le sue deboli spalle che, per spirito di mortificazione, ella va ad attingere al fiume. La seconda è annunciata alla sua nascita da dei canti angelici; una mattina, era la festa di San Giovanni Battista, ella desiderava comunicarsi, un angelo la fa entrare nella chiesa e la fa uscire, a porte chiuse. Altra mistica del sedicesimo secolo è Angela Merici che nacque nel 1474 a Desenzano del Garda, nel territorio della Repubblica Veneta. Morì a Brescia il 27 gennaio 1540. Era una illetterata, e apparteneva a una famiglia contadina del luogo. La sua vita quotidiana seguiva il ritmo delle ore del giorno scandite dal lavoro nei campi, dalla preghiera in comune e dalle veglie serali, durante le quali in famiglia si leggevano libri religiosi e vite dei santi. Questi racconti spinsero Angela a darsi ad una vita sobria, spirituale e contemplativa. Rimasta orfana di entrambi i genitori, venne ospitata dallo zio materno a Salò e qui si fece terziaria francescana. A contatto con lo spirito del poverello d’Assisi si formò una spiritualità essenziale e robusta. Era il periodo del Rinascimento, il tempo di Savonarola, di Lutero, della Riforma e della Controriforma. Un tempo di crisi per la cristianità, un periodo di contrasti nei quali la donna era ben lontana dall’essere riconosciuta nei suoi diritti e nella sua dignità. Appena ventenne decise di seguire Cristo. A Desenzano ha la famosa Visione della “Scala” che le indicò quale strada , molto simile a quella che vide Giacobbe, sulla quale salivano verso io cielo una processione di angeli e di vergini festanti. Lo sfondo era la campagna del Brudazzo in vista del lago, al tempo della mietitura, nell’ora della siesta, dove oggi sorge il Mericianum, centro di spiritualità. Angela Merici in quella visione riconobbe in una di queste ragazze la sorella morta poco tempo prima, che le preannunciò la sua missione di Fondatrice di una “Compagnia” di vergini dedite alla formazione delle giovani. A Brescia Angela riuscì a impegnare la nobiltà cittadina in opere di apostolato religioso e di servizio sociale. Infuse entusiasmo in tante giovani che la seguirono per dedicarsi al soccorso diretto dell’umanità dolorante. Confortò quelli che erano alla prova: gente del popolo e grandi signori come il Duca di Milano Francesco Sforza, che non esitò a chiamarsi suo “figlio spirituale”. La sua personalità esercitò una profonda influenza su tantissime anime e la sua fama di riformatrice si espanse rapidamente fino alla Venezia Dogale e a Roma dove il Papa l’avrebbe voluta trattenere. Angela fissò la sua dimora in una piccola cella presso la Chiesa dedicata in Brescia alla martire bavarese Sant’Afra. Nacque così la “Compagnia di Sant’Orsola”, ossia le Orsoline, il primo istituto femminile le cui religiose operavano senza l’obbligo di portare un abito distintivo. Si dicevano “dimesse” perché non vestivano il nobile abito delle monache, e “di Sant’Orsola”, perché non dovevano vivere in comunità ma nel mondo, nelle proprie famiglie, e restare fedeli a Cristo come Orsola, la regale fanciulla martirizzata dagli Unni, a Colonia, insieme a undicimila vergini che la accompagnavano. Angela fondò anche un’Opera specifica per la formazione delle ragazze, specialmente delle più povere: le Orsoline chiamate poi “collegiali”. L’istituzione fondata da Angela Merici fu una delle più geniali fra quelle nate nel clima della Controriforma cattolica. Una donna straordinaria, un’illetterata che ha saputo far rivivere umilmente, ma non senza una profonda preparazione, lo spirito evangelico primitivo rivolto alla carità e alle opere sociali. Attraversando il lago di Garda, si vede, davanti a Desenzano, tra l’azzurro del cielo ed il verde dei monti, una candida statua che sembra quella di un Angelo che stia per spiccare il volo. Avvicinandosi, ci si accorge di aver sbagliato; però è uno sbaglio da poco, quasi insignificante, poiché è quella la statua di una santa che ha comune con gli Angeli il nome, l’aspetto, le virtù, sicché scrive un suo biografo, “Mai come in sant’Angela Merici si sono viste adempiersi alla lettera quelle parole di nostro Signore:” Saranno simili agli Angeli di Dio” (San Matteo, 22, 30) E come gli Angeli infatti la Merici attinse tutta la sua sapienza direttamente da Dio sicché, senza esser dottrina, scrittrice di opere maestra, e la custode e la guida nella via di perfezione a innumerevoli anime. Gli Angeli stessi le fecero visibilmente comprendere ch’ella doveva condividere con loro anche questa missione poiché le si mostrarono una volta scendere da una scalinata accompagnando molte fanciulle che suonavano e cantavano, facendole capire essere volontà di Dio che della gioventù femminile ella se prendesse molto cura. E appunto in seguito a tale visione angelica la Merici istituì il suo Istituto delle orsoline alla cui custodia sono tuttora affidate tanti bambini e ragazze di entrambi i sessi Si narra anche della nostra santa che in un suo pellegrinaggio a Gerusalemme, avendo nella traversata di mare perduta temporaneamente la vista e trovandosi nell’impossibilità di potersi accostare alla santa Comunione, le venisse talvolta amministrata da Angeli, la qual cosa, del resto, si legge pure nella vita di sant’Agnese di Montepulciano, di santa Caterina da Siena, ecc. A tal proposito prendiamo occasione di spiegare con l’Angelico Dottore (Cfr San Tommaso, Summa Theolo., p. III, q. LXIV, a.7) che benissimo può Iddio concedere ai suoi Angeli anche l’ufficio di amministrare i Sacramenti, e infatti si legge che parecchie chiese furono da essi consacrate e non pochi fedeli da essi battezzati; ma ciò non suole accadere che in via straordinaria essendo da Dio stabiliti quali ministri ordinari dei sacramenti non gli Angeli, ma i sacerdoti. Ecco perché l’Angelo che vedemmo apparire al centurione romano Cornelio, invece di battezzarlo lui stesso, gli ordinò di mandare a chiamare l’apostolo Pietro, e un altro Angelo, invece di andar lui sulla strada di Gaza a battezzare il ministro della regina Candace, inviò il santo diacono Filippo. Gli Angeli, perché in tutto ordinati nelle loro azioni, non sogliono fare quello che possono fare gli uomini allo stesso modo che Dio non fa da se stesso quello che può far eseguire dai suoi Angeli. Un altro santo fondatore di un nuovo ordine religioso della Controriforma cattolica fu San Girolamo Emiliani che nacque a Venezia nel 1486, nobile di estrazione, egli perse nella guerra tra Venezia e la lega di Cambrai, il proprio castello di Castelnuovo di Quero sul Piave. In seguito alla sconfitta i francesi s’impossessarono di tutti i suoi beni e fu sottoposto al carcere duro dal Maresciallo di La Palisse. In prigione Girolamo fece voto alla Madonna di cambiare vita qualora gli fosse concessa la Grazia di ottenere la libertà. Girolamo riuscì a scappare dal carcere e finita la guerra tornò a Venezia per sciogliere il suo voto. Così Gerolamo, figlio di un Senatore della Serenissima e di una discendente dei Dogi, nella Chiesa di Santa Maria Maggiore di Treviso, promise alla Madonna di spendere il resto della sua vita ad aiutare il suo prossimo a vivere meglio. Dopo l’insorgere di una tremenda carestia, cui fece seguito una grave epidemia di peste, si dedicò completamente al servizio dei poveri e alla cura degli ammalati. A contatto con gli appestati, ne contrasse il morbo. Guarito miracolosamente e diede inizio a quella che sarebbe stata la sua missione di vita: la cura di tutti i bisognosi, dagli orfani agli anziani abbandonati alle prostitute. Girolamo curò particolarmente i ragazzi poveri ed abbandonati che vagavano per le calli in cerca di cibo. Per aiutarli fondò il “San Basilio”, il primo orfanotrofio retto con concezioni moderne, nel quale il santo si impegnò non solo a sfamare gli orfani ma anche a dar loro una educazione religiosa e ad insegnare loro un mestiere. Dopo aver ottenuto la miracolosa guarigione dalla peste, su consiglio di san Gaetano da Tiene e del cardinale Carafa - poi diventato Papa Paolo IV- cominciò a girare l’Italia per aprire numerosi orfanotrofi. Riunendo i suoi più fedeli collaboratori una prima volta a Merone fondò la Compagnia dei “Servi dei poveri di Cristo”, due anni più tardi a Somasca, un paesino presso Bergamo, si incontrarono nuovamente per formulare la struttura giuridica della sua opera, e da allora dal nome della città, in cui egli morì l’8 febbraio 1537 vennero fuori gli attuali Chierici Regolari Somaschi. San Girolamo molto devoto agli Angeli custodi, affidò la Compagnia sotto la protezione della Vergine, dello Spirito Santo e dell’Arcangelo Raffaele, componendo anche una orazione all’Arcangelo che egli chiamava “la nostra orazione”: “Dolce Padre nostro, Signore Gesù Cristo noi ti preghiamo per la tua infinita bontà di riformare il popolo cristiano a quello stato di santità che fu al tempo dei tuoi apostoli. Ascoltaci o Signore perché benigna è la tua misericordia e nella tua immensa tenerezza volgiti verso di noi. Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di noi (ripetere per tre volte). Nella via della carità, della pace e della prosperità, mi guidi e mi difenda la potenza del Padre, la sapienza del Figlio e la forza dello Spirito Santo, la gloriosa Vergine Maria, l’Angelo Raffaele che era sempre con Tobia sia anche con me in ogni luogo e via”. E’ tradizione antichissima tra i padri Somaschi che nella loro benemerita congregazione si è sempre dato grande impulso, fin dai primi tempi, alla devozione degli Angeli custodi. I seguaci di san Girolamo avendo la cura di orfani, sentivano forte il dovere di far sentire a questi bambini che non erano orfani nel senso integrale della parola. Gesù aveva detto: “Non vi lascerò orfani” e Dio e la madonna erano indicati come il loro Padre e la loro Madre. I bambini sentivano il bisogno di un compagno, di un amico invisibile che tangibilmente li assistesse anche nelle necessità materiali. Se proprio non si trovano documenti irrefragabili che la devozione agli angeli sia stata insegnata da san Girolamo, però troviamo che è stata divulgata dai primi religiosi delle congregazione. Il padre Evangelista Dorati, essendo rettore a San Benedetto di Salò, il 25 gennaio 1600 scriveva a Roma al Procuratore informandolo di aver eretto presso l’Accademia di Salò la confraternita degli Angeli custodi. La devozione angelica fu favorita dai Somaschi nei loro istituti che sempre istituirono le confraternite dell’Angelo Custode tra i loro educandi. Anche il padre Agostino Tortora fu un altro Somasco che diffuse grandemente l’amore agli angeli santi. Egli soprattutto si valse delle sue frequenti predicazioni alle quali era stato destinato dai suoi superiori nelle più importanti città italiane. La prima compagnia dell’Angelo Custode il p. Tortora la eresse nella chiesa di Santo Spirito a Genova, ed era formata quasi tutta da nobili. Nel 1616 l’associazione contava più di 2000 soci. Le devozioni stabilite dal p. Tortora in onore degli Angeli Custodi erano le seguenti: 1. ogni anno nella vigilia dei Santi Angeli Custodi digiunare e fare qualche elemosina; 2. ogni mese nell’ultima domenica, visitare l’altare dell’Angelo Custode, e farvi celebrare una messa votiva; 3. il martedì di ogni settimana recitare nove Pater ed ave in onore dei nove cori degli Angeli; 4. ogni giorno recitare l’ufficio piccolo dell’Angelo Custode, per chi non poteva, recitare un pater ed un’ave con l’Angele Dei. Dopo Genova il p. Tortora fondò compagnie in onore degli angeli anche nella Cattedrale di Brescia, di Alessandria e di Vicenza, anche una ne fondò nella chiesa parrocchiale di santa Croce di Padova e in varie altre città della Lombardia. Il p. Tortora compose anche un opuscolo in onore degli spiriti celesti, inoltre presentò alla Santa Sede l’ufficio proprio degli angeli custodi nel rituale proprio dei Somaschi. L’approvazione della Santa Sede fece si che quello che prima era stato praticato spontaneamente dai Padri, fosse proclamato come un obbligo generale di tutta la congregazione, cioè di divulgare la devozione angelica sia tra i loro educandi che tra tutti i fedeli cattolici. Infatti i Somaschi dedicarono diversi loro collegi agli angeli custodi. La vita di San Giovanni di Dio, fondatore di un ordine ospedaliero cattolico, sì formidabile per le infestazioni diaboliche da cui è segnata, lo è forse ancor più per i soccorsi angelici da cui essa è fortificata. Citiamo alcuni di questi segni d’un sapore veramente squisito. Una mattina, il santo dovette andare ad attingere l’acqua molto lontana per il servizio del suo ospedale: quale non fu la sua sorpresa, al ritorno, nel trovare le camere spazzate, i letti fatti, gli utensili di cucina puliti! Egli domandò agli ammalati che tutti, con una sola voce, gli risposero essere stato lui stesso, e nessun altro, che aveva a sua abitudine fatto le faccende mattutine. Allora il santo comprendendo il mistero, disse ai suoi cari ammalati: “Il Buon Di, fratelli miei, ama bene i poveri, poiché invia i suoi angeli per servirli”. Egli riconobbe da ciò che un angelo aveva preso le sue sembianze e fatta la sua opera: il che prova che, talvolta, gli spiriti angelici sono gli autori delle bilocazioni che si incontrano nella vita dei santi. Lo storico di San Giovanni di Dio stima che l’angelo di cui qui si tratta, non era altri che l’angelo delle guarigioni misteriose, l’arcangelo Raffaele. In un’altra circostanza, Giovanni di Dio aveva caricato sulle sue spalle un povero che non aveva la forza di trascinarsi fino all’ospedale; egli portava, inoltre, un sacco pieno di elemosine; camminò per qualche tempo trascinandosi, ma, ad un dato momento, rotto dalla fatica, egli cadde in piena strada sotto il suo duplice fardello. In quello stesso momento, un abitante della città, avvicinandosi alla finestra (era durante una notte fredda e piovosa), sentì il buon santo che si dava egli stesso dei rimproveri. Poi di colpo, o prodigio, egli scorse un uomo d’una grande bellezza, che si offrì di rimettere il povero sulle spalle di Giovanni di Dio e che, prendendo la mano di questi come per servirgli da guida, gli disse: “Fratello Giovanni, Dio mi ha inviato vicino a te per venirti in aiuto. Sono io che sono incaricato di annotare accuratamente su di un registro tutto quello che tu fai per amore di Dio in favore dei poveri”. “Se faccio qualcosa di bene, riprese umilmente il santo, è Dio che mi dona la forza di farlo. Ma voi, fratello mio, chi siete dunque?”. “Io sono, riprese lo sconosciuto, l’arcangelo Raffaele che il Signore ha in modo speciale deputato alla tua custodia ed a quella dei tuoi compagni”. Alcuni giorni dopo, il santo faceva una distribuzione di soccorso agli indigenti; il pane venne a mancare. Subito apparve, alla vista di molti di quelli che erano presenti, l’arcangelo Raffaele, vestito con un abito simile a quello di Giovanni di Dio e portatore d’una cesta piena di pani. Il santo lo riconobbe per essere colui che lo aveva risollevato dalla sua caduta notturna; l’arcangelo gli disse amichevolmente: “Fratello Giovanni, noi apparteniamo allo stesso ordine, ricevi questi pani che Dio ti invia per i tuoi poveri”. E scomparve, lasciando il buon santo tutto consolato. Lo storico della sua vita conclude: “E’ così che un saio grossolano copre talvolta gli uomini che sono gli eguali degli angeli”. Un’altra volta, Giovanni di Dio si trovò illuminato la notte da una luce miracolosa; due fiaccole, che il vento soffiante in tempesta non potette spegnere, camminarono davanti a lui nella discesa di una montagna in cui le tenebre lo avevano sorpreso, raccogliendo della legna per i poveri. Alla sua preziosa morte, l’arcangelo Raffaele stava vicino al suo letto, con San Giovanni Evangelista e la Santa Vergine stessa. Senza dubbio anche che altri angeli o santi erano là. poiché i domestici sentirono un rumore di passi numerosi. Essi vi penetrarono, il santo era morto, ma un odore paradisiaco riempiva la ridotta dell’amico, dell’angelo dei malati e dei poveri. La vita di San Filippo Neri, fondatore dell’Oratorio, non offre affatto meno dolci e toccanti fenomeni angelici. Una notte ch’egli portava una elemosina ad un povero vergognoso, egli cadde, senza dubbio per un colpo del diavolo, in una fossa profonda; ma, nello stesso istante, egli si sentì preso per i capelli e riportato sul ciglio da una mano invisibile. Lui stesso amava riportare quel fatto a gloria di Dio e dei buoni Angeli. Un giorno, un povero gli chiese l’elemosina, il santo gli vuota la sua borsa nella mano: “Io volevo vedere quello che avresti fatto”, gli disse lo sconosciuto, e scomparve ai suoi occhi. In un’altra circostanza, il santo che era malato, chiese un po’ d’acqua limonata al suo infermiere, questi cerca vanamente dello zucchero per stemperarne l’acidità; un giovane si presenta a lui e gli da un pane bianchissimo; la pozione è preparata; il santo la beve e poco dopo è guarito. Filippo, uomo angelico, sente sovente cantare gli Angeli; egli li vede che assistono San Camillo de Lellis ed il suo compagno al capezzale dei malati moribondi, e suggeriscono loro le esortazioni da fare ai morenti per prepararli all’ultimo passaggio. Cogliamo ancora alcuni segni in questo sedicesimo secolo così ricco in fatti di santità. Santa Maria Maddalena dei Pazzi contempla gli angeli che portano un’anima in cielo; ella li vede che difendono le religiose attaccate dai demoni. Gli angelici santi della Compagnia di Gesù, Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka, sono in rapporto con gli spiriti celesti. Il primo trovandosi a Madrid, è chiamato nella Compagnia di Gesù da una voce misteriosa. Nel mentre che si trovava nl noviziato, una penuria di denaro si fa sentire; uno sconosciuto si presentò, diede al direttore del noviziato la somma richiesta ai bisogni della comunità e scomparve. Si tenne per certo che fosse un Angelo; quando una casa ha dei novizi come San Luigi…Il secondo santo Gesuita, a due riprese, ricevette la comunione dalla mano degli angeli, la prima volta a Vienna, in Austria, quando, caduto malato nella casa di un eretico e credendosi vicino a morire, si vide rifiutare l’accesso di un sacerdote; la seconda volta, quando raggiungeva Roma a piedi per entrare nella Compagnia di Gesù. Un santo vescovo controriformista fu quello di Milano Carlo Borromeo che nacque ad Arona ( Novara) il 2 ottobre 1538 ed essendo il secondogenito di una famiglia così importante fu destinato alla carriera ecclesiastica. Nominato a dodici anni commendatario dell’abbazia di Arona con una rendita di 2000 scudi, viene richiamato a Roma dallo zio papa che lo fa eleggere protonotario apostolico e cardinale a 22 anni pur non essendo ancora stato ordinato sacerdote e poco dopo anche segretario di stato. Nel 1560 viene anche nominato amministratore dell’immensa arcidiocesi di Milano. Nel 1562, il fratello maggiore muore ed egli torna ad essere l’erede del casato, e non abbandona l’idea di consacrarsi totalmente a Dio e si fa ordinare sacerdote rinunciando ad ogni attività mondana e sullo stemma fa mettere la scritta Humilitas. Dopo la morte dello zio papa nel 1565 torna a Milano dove compie un’attività straordinaria circondandosi di uomini capaci ed esemplari. Muore nel 1584 a soli 46 anni di età. E’ compatrono della città di Milano e protettore dei catechisti ed è invocato contro la peste. Per molti secoli ai devoti cattolici degli angeli veniva proposta la recita delle proteste in punto di morte di san Carlo al suo angelo custode, preghiera che oggi è introvabile e quasi nessuno conosce più. Eccola. “ In nome e della Santissima Trinità, Padre, Figliuolo, e Spirito santo, io infelice, e miserabile peccatore, professo alla vostra presenza, o Sant’Angelo, che voglio assolutamente morire nella Chiesa Cattolica; Apostolica, e Romana, nella quale sono morti tutti i Santi che sono stati sin all’ora presente, e fuori della quale non vi è salute. Inspiratemi questi sentimenti nell’ora della mia morte, e fatemi vincere il Demonio mio, e vostro nemico. Protesto ancora, o Sant’Angelo, chi io sono sotto alla vostra custodia, e protezione: che voglio partire da questa vita con gran fiducia nel vostro soccorso, e una ferma speranza nella misericordia del mio Dio. Espugnate in quell’ultimo momento i nemici di mia salute: ricevete la mia anima nell’uscire che essa farà del mio corpo, e dopo la mia morte rendetemi propizio Gesù Cristo mio Salvatore. Protesto parimente, Santissimo mio protettore, che vivissimamente desidero partecipare dei meriti di Gesù Cristo nostro Signore; e che io spero d’ottenere la remissione dei miei peccati per virtù della sua morte, e passione. Detesto tutto ciò che il male ho commesso sì in pensieri che in opere, e in parole. Perdono a tutti i miei nemici, e voglio morire in braccio della Croce per dimostrare, ch’io pongo ogni mia speranza nella Passione del salvatore. Protesto altresì, o fedelissimo amico, che m’abbandono alla vostra cura, ed affettuosa carità nel gran passo della mia morte, e che sebbene ardentemente desidero di volarmene in Cielo, io son prontissimo per cancellare col partire l’ enormità de’ miei peccati, son prontissimo dico, a soffrire qualunque castigo alla divina giustizia piacerà d’impormi, ancorché fossero le più atroci pene del Purgatorio. Io son pronto ad abbandonare i miei parenti, i miei amici, il mio corpo medesimo, e tutto ciò che ho di più caro per più prestamente godere la presenza del mio Dio, e testificargli il dolore, ch’io provo, d’averlo offeso. Protesto alla fine, o mio Angelo, sapientissimo, e vigilantissimo custode dell’anima mia, ch’io vi costituisco procuratore dell’ultima mia volontà, e esecutore di quest’atto testamentario. Nel momento della mia morte, dite a Gesù Cristo mio Salvatore ciò, ch’io forse non potrò dire: ch’io credo tutto ciò che crede santa Chiesa, ch’io detesto i miei peccati, perché a lui dispiacciono, che tutti li depongo nel misericordiosissimo cuore di lui; e che dall’infinita sua bontà ne spero perdono: che muoio volentieri, perché esso così vuole, e abbandono l’anima, e la salvezza mia nelle sue mani. Ch’io l’amo più di tutte le Creature, e lo voglio amare per tutta l’eternità”. Terminiamo questa carrellata sul rapporto santi e Angeli nel sedicesimo secolo con San Giovanni della Croce che è passato alla storia a più livelli: come riformatore dell’Ordine Carmelitano, come mistico di squisita sensibilità ed in seguito proclamato dottore della Chiesa ed in infine come autore classico della letteratura spagnola. Egli nacque il 24 giugno 1542 nella Vecchia Castiglia. Non troviamo negli scritti di S. Giovanni della Croce un trattato d’angelologia completo, ma sicuramente una ricca fonte d’informazione sullo spirito buono e sulla sua attività salutare. Dio si serve degli angeli tenendo in vista il bene dell’anima, giacché due contendenti si disputano la vittoria dell’anima: l’angelo buono e lo spirito cattivo (cf. Notte oscura, 2, 23,6). S. Giovanni della Croce ricorda che per mezzo della sua sapienza, che è il Verbo Incarnato, Dio ha creato gli spiriti celesti (Cantico B, 4,1) o spiriti superiori (Notte oscura, 2, 12,4), o angeli (Cantico B, 4,6). Sono creature razionali (Cantico B, 7,1), come gli uomini, e più nobili di questi, perché sono puri spiriti (Notte, 2, 12,4). Non hanno un vincolo con la materia e quindi sono più vicini a Dio (cf. Notte 2, 12,4). Essi sono “sostanze incorporee” e pertanto immortali (Salita, 2, 24,2). È interessante la sua idea che gli angeli condividano con noi non solo la razionalità ma anche sentimenti: “Gli angeli stimano perfettamente le cose dolorose senza sentirne dolore, esercitano le opere di misericordia e di compassione senza provare compassione” (Cantico spirituale B, 20, 10). Ci sono angeli buoni e angeli cattivi (Salita, 2, 11,1), Gli angeli buoni si chiamano «angeli» (Notte, 2, 23,8; Cantico B, 16,2). Gli angeli sono distribuiti in “cori angelici” e “gerarchie” (Cantico B, 2,3). Ai cherubini ed ai serafini, S. Giovanni della Croce riserva un posto particolare nel settore della vita spirituale della persona (cf. Salita 2,9). Ricorda anche il compito speciale attribuito agli arcangeli: a S. Raffaele che viene inviato a trascorrere tre notti con Tobia, prima che quest‘ultimo si unisca con la sua sposa Sara (cf. Salita 1,2, 2-4); a S. Gabriele con l’annunciazione alla Vergine Maria. Sono abbondanti i riferimenti che fa alla partecipazione degli angeli nella Bibbia. La Sacra Scrittura è la sua fonte primaria e fondamentale di conoscenza. Il suo interesse è scoprire la presenza angelica nella vita spirituale dell’uomo. L’esistenza e servizio degli angeli è sintetizzata per S. Giovanni della Croce nel lodare Dio. La loro occupazione è di dedicarsi a Dio, godere di Dio, contemplarLo (cf. Cantico B, 7,6). Secondo il Santo Mistico, nel desiderio che, secondo S. Pietro (1 Piet I, 12), gli angeli hanno di vedere il Figlio di Dio, nel compimento del mistero dell’Incarnazione, non v’è alcuna pena o ansia, perché lo possiedono di già… Gli angeli mentre soddisfano il loro desiderio, trovano la gioia nel possesso e saziano sempre lo spirito con l’appetito senza provare il fastidio della sazietà; non provando quindi alcun fastidio, sempre desiderano e godendo nel possesso, non soffrono (cf. Fiamma viva d’amore A, 3,22). Così i “serafini” sono chiamati i “contemplativi” (Salita, 2, 9,2). Quindi la propria luce di Dio illumina l’angelo, rendendolo splendente e dandogli amore soave come puro spirito disposto a tale infusione (Notte oscura, 2, 12,4). Di conseguenza Dio purifica l’angelo delle loro ignoranze, facendo loro conoscere ciò di cui prima non sapevano (Notte oscura, 2, 12,3). In questa beatitudine eterna, dove non esiste né oscurità né tenebra, né desiderio di speranza né oscurità della fede, regna la luce. Dio è luce. Agli angeli che già sono giorno, Dio comunica la Sua Parola, che è il suo Figlio perché possano conoscerla e goderla (cf. Salita, 2, 3,5). In questo senso, la beatitudine angelica consiste nel penetrare in questa sapienza di Dio che è in Cristo. Così “gli angeli mai esauriscono la conoscenza di Dio, non riusciranno mai a comprenderlo e fino all’ultimo giorno del giudizio scopriranno in Lui tante verità circa i suoi profondi giudizi e le opere della sua misericordia e giustizia che riusciranno sempre nuove, generando in loro sempre maggior meraviglia” (Cantico spirituale A, 13-14,8). In questo modo gli angeli danno la loro voce di testimonianza a Dio e gli rendono gloria possedendolo in maniera conforme alle proprie capacità (Cantico spirituale B, 14-15,27). Sebbene gli angeli assistono al trono di Dio, Egli raccomanda a loro compiti in favore degli uomini. Per S. Giovanni della Croce gli angeli devono essere chiamati buoni pastori perché presentano le suppliche degli uomini al Signore e portano i suoi messaggi alle anime con soavi ispirazioni e comunicazioni divine; gli angeli sono pure buoni pastori perché ci proteggono e difendono dai lupi, che sono i demoni (cf. Cantico B, 2,3; 16,2). Funzione basica e prioritaria degli angeli è ispirare cose buone e sante (cf. Cantico B, 7, 6-7), “soavi comunicazioni ed ispirazioni” (Cantico B, 2,3). Quello che importa è aprirsi a tali ispirazioni e seguirle con docilità. “L’angelo custode non sempre muove l’appetito all’azione, anche se illumina sempre la ragione. Pertanto, per esercitarti nella virtù, non attendere il gusto, perché ti sono sufficienti la ragione e l’intelletto” (Sentenze, 34). Troviamo tre verità fondamentali in questa sentenza. La prima è che l’angelo custode sempre illumina la ragione. La seconda è che non sempre muove l’appetito sensitivo. Così quando l’uomo rinuncia di provare diletto nei beni sensibili per ricercare i beni spirituale diventa come se fosse un angelo (Salita del Monte Carmelo, 3, 26,3). La terza è che non possiamo fidarci del gusto nella pratica del bene, ma essere guidati dalla ragione ed intendimento. Secondo il Dottore Carmelitano il cammino che l’anima compie per arrivare all’unione con Dio può chiamarsi notte oscura. In un primo momento si dice notte a causa del termine da cui si muove; si tratta della purificazione o mortificazione attiva dei sensi e della sensibilità, dell’intelligenza e della volontà. Si chiama notte in una seconda tappa dovuto al mezzo o la via per giungere all’unione con Dio; questo mezzo è la fede che è oscura per l’intelletto come la notte. In un terzo momento si denomina notte dovuto alla meta a cui l’anima si dirige, Dio, che è notte oscura per l’anima in quanto vive in questa vita (Salita, 1, 2,1). Il termine notte oscura non è nuovo nella tradizione mistica ma S. Giovanni della Croce ne fa l’espressione sintetica dell’esperienza mistica. L’espressione notte oscura si riferisce a tutti i momenti dell’esperienza mistica e quindi anche a quello culminante, quando l’anima si unisce a Dio trasformata dall’amore. Si tratta dunque di una progressiva trasformazione, che è una purificazione del soggetto, il quale perde uno dopo l’altro i suoi attaccamenti ai sensi e alle facoltà psichiche (intelletto, immaginazione e desiderio).Per S. Giovanni della Croce, queste tre tipologie della notte si figurano nel libro di Tobia dove l’arcangelo Raffaele trascorre con Tobia tre notti, prima di unirsi con la sua sposa. Nella prima notte (periodo di purificazione) lo manda a bruciare il cuore del pesce che significa il cuore affezionato disordinatamente alle creature mediante il fuoco dell’amore divino e allontanare il demonio che non ha potere sull’anima quando questa si stacca dalle cose corporali e temporali. Nella seconda notte (periodo di illuminazione) è la fede che tutto priva, sia nell’intendimento come nei sensi. Nella terza notte (periodo di unione), prossima all’aurora del giorno, e nella quale Dio si comunica molto segretamente e intimamente all’anima, se produce un effetto: il rivestimento delle divine perfezioni che è la preparazione immediata per unirsi con la sposa, e ciò si realizza passata (superata) questa terza notte. In una breve esposizione ricordiamo le funzioni degli angeli lungo la tradizionale suddivisione, cara a S. Giovanni della Croce, nelle tre tappe rispettivamente dedicate ai principianti, ai proficienti e ai perfetti. In questo primo periodo spirituale, il primo ostacolo con cui dovrà misurarsi un principiante riguarda non tanto i suoi difetti o le sue colpe più gravi, quanto piuttosto le piccole distrazioni dal cammino e gli attaccamenti ai sensi, alle cose o alle persone. Questi attaccamenti, in sé non gravi, fanno tuttavia sì che il discepolo non progredisca, ma anzi regredisca, perché perde progressivamente interesse per ‘le cose celesti’ , ossia per l’unione con l’Assoluto. Se invece l’interesse fondamentale si mantiene, si ha come conseguenza quella di introdurre il discepolo in una fase decisiva del percorso che S. Giovanni della Croce chiama con un’espressione diventata famosa, notte oscura. Importante in questa fase è che l’uomo preghi gli angeli di cacciare e tenere lontano tutto ciò che possa impedire l’esercizio dell’amore interiore (Cantico B, 16,3). Gli angeli, che portano a Dio le necessità e segreti del cuore che comunichiamo a loro (cf. Cantico B, 2,1) tornano decisivi quando le tenebre della notte oscura chiudono totalmente l’orizzonte dell’anima (cf. Notte 2,12). Una sola imperfezione può produrre un gran danno nell’anima (cf. capitoli 11 e 12 della Salita del Monte Carmelo). Questo viene confermato, secondo l’ interpretazione di S. Giovanni della Croce, nella figura del libro dei Giudici (2,3) dove l’angelo dice ai figli di Israele che per non far uccidere le truppe nemiche di Dio le lascerebbe nemiche tra di loro. Lo stesso capita nell’anima con l’amicizia ed alleanza con le imperfezioni che non si finiscono di mortificare (cf. Salita, 1, 11,7). Anche gli affetti devono essere purificati per unirsi con Dio. Il profeta Isaia vede due serafini, ognuno con sei ali. Il fatto che due ali coprono i piedi significa per il Dottore Mistico spegnere e accecare gli affetti della volontà sulle cose riguardo a Dio (cf. Salita, 2, 6,5;2, 16,3). Certo è che per liberarsi di particolari affetti l’anima è consapevole che il Signore deve inviare l’Angelo per stabilirla nella parte sia sensitiva che spirituale (cf. Cantico B, 16,2), eppure può succedere che l’angelo buono, in conformità con la volontà divina, permetta al demonio di raggiungerla nello spirito per farla purificare e disporla mediante la vigilia a qualche grande festa e grazia spirituale che le vuol dare (Notte oscura 2, 23,10). S. Giovanni della Croce, come altri dottori della Chiesa, identifica la perfezione cristiana con la carità (cf. Salita del Monte Carmelo, I, 2,4; II, 2,4; III, 16,1). L’angelo coopera per la nostra santificazione, che “consiste nella totale trasformazione della nostra volontà in quella di Dio così che in essa niente vi sia di contrario al volere dell’Altissimo ma ogni suo atto dipenda totalmente dal beneplacito divino” (Salita del Monte Carmelo, 1, c. 11, n. 2). Mediante gli Angeli l’uomo conosce il Signore più dal vivo, sia per la considerazione della eccellenza che esse hanno su tutte le cose create, sia per quello che ci insegnano intorno a Dio, le une, come fanno gli Angeli, interiormente per mezzo di ispirazioni segrete, le altre esternamente mediante le verità della Sacra Scrittura (Cantico B, 7,6). Ciò che gli angeli fanno conoscere all’anima fanno capire con chiarezza all’anima che Dio non si può conoscere e sentire del tutto in questa vita (Cantico B, 7,9). Pertanto l’angelo buono può trasmettere all’anima vere visioni (Notte oscura 2, 23,7), come pure comunica all’anima la contemplazione o una grazia spirituale (Notte oscura 2, 23,8). La scala che Giacobbe vede durante il sonno della notte nella quale gli angeli salivano e scendevano da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio è per S. Giovanni della Croce immagine di come la salita dell’uomo verso Dio passa tutto durante la notte, in segreto e nell’svuotamento di se stesso (cf. Notte, 2, 18,4). Ma chi è innamorato non si soddisfa se non con la vista e possessione dell’amore (cf. Cantico B, 6,4). Quindi tutte le comunicazioni che possano portare gli angeli non fanno se non aumentare e svegliare l’ansia di vedere Dio e possederlo. La funzione dell’angelo di essere guida durante le tappe di andamento e prove finisce quando l’anima è unita amorevolmente con Dio. Per il Dottore Mistico non è possibile arrivare alla perfezione dell’unione con Dio per amore senza le tre virtù teologali della fede, speranza e carità (Notte oscura 2, 21,12). Le tre virtù propongono Dio in sé: Dio, verità infinita, oggetto dell’intelligenza; Dio, bontà in sé, oggetto della volontà; Dio, bontà per noi, oggetto della memoria. L’angelo custode e gli angeli sono un mezzo remoto, molto efficace nella ascensione verso Dio. “Tutto il lavoro necessario, scrive il Santo carmelitano, per giungere all’unione con Dio consiste nel purificare la volontà dalle sue affezioni e appetiti affinché essa da vile e imperfetta divenga divina, identificata con quella di Dio” (Salita, 3, 16,3). Nella fiamma che si alza in cielo dall’altare dove Manué offrì il sacrificio a Dio chiesto dall’angelo che poi sparisce è per S. Giovanni della Croce immagine di ciò che capita con la fiamma del fuoco dell’amore. La salita della fiamma è tanto veemente quanto più intenso è il fuoco dell’unione nella quale si uniscono e salgono gli atti della volontà nella fiamma dello Spirito Santo (cf. Fiamma viva d’amore, 1,4). In questa unione di matrimonio spirituale tra l’anima e Dio, le altre creature, siano terrestri o celestiali, non possono rappresentare adeguatamente Dio perché “la differenza tra loro e Dio è infinita” (Salita, 2, 8,3). Sebbene Dio non desidera dare un’altra compagnia all’anima sposata se non Egli stesso, si serve delle comunicazioni particolari dei suoi messaggeri per aumentare la ferita d’amore nell’anima (cf. Cantico B, 7,1). Tanto più gli Angeli ispirano l’anima, “più l’anima s’innamora di Dio” (Cantico B, 7,8). A questo punto Dio invia un serafino con un dardo impregnato di fuoco amoroso. “La freccia trafigge l’anima e la cauterizza” (Fiamma viva d’amore B, 2,9; Fiamma viva d’amore A, 2,8). Nello stesso modo in cui un serafino produce le cinque piaghe di amore nell’anima di S. Francesco d’Assisi, e ne videro apparire i segni anche nel corpo (cf. Fiamma viva d’amore B, 2,13). Pertanto agli stessi angeli Dio fa partecipare della sua gioia per l’unione con l’anima perfetta (cf. Cantico B, 22, 1). |
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Ultimo aggiornamento ( martedì 15 maggio 2018 ) |
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