L’ACCOGLIENZA E IL PROBLEMA DEGLI ZINGARI |
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lunedì 02 aprile 2018 | |
di Anacletus
Raimondo Gatto ha scritto un interessante libro intitolato Zingari antichi e moderni. Lo scandalo della verità (Reggio Emilia, Edizioni Radio Spada, 2016) (1). Penso sia utile studiarlo per capire il “misterioso” mondo degli zingari che ci circonda, di cui poco si conosce e che in questi tempi di immigrazioni di massa può causare non pochi problemi di convivenza nei nostri Paesi già tanto provati da forti crisi economiche e dall’invasione continua di immigrati clandestini e di islamici, che stanno sconvolgendo la nostra esistenza. ... Il libro è molto ben documentato, si basa su una vasta bibliografia scientifica per nulla influenzata da pregiudizi razziali e se l’Autore cita qualche studioso troppo partigiano o eccessivamente nemico del mondo zingaro lo dice chiaramente e fa capire che le loro asserzioni non possono essere prese senza il dovuto discernimento. Il libro tratta della natura degli zingari, della loro origine geografica ed etnica, della loro venuta in Europa, delle espulsioni e persecuzioni che essi hanno subìto nel corso delle epoche. Inoltre studia la psicologia e la personalità degli zingari, i loro costumi morali, il problema dell’accattonaggio, il loro rapporto col lavoro, la stabilizzazione in un determinato luogo e le loro credenze religiose. A partire da questo quadro ci si può fare un’idea precisa dell’oggetto (“la questione degli zingari”) studiato nel libro, capirne meglio la reale natura ed eventuali distorsioni di comportamento, che potrebbero essere pericolose per chi è del tutto sprovveduto su tale argomento ed ingenuamente pensa di poter convivere pacificamente con un mondo che rifiuta i princìpi della nostra civiltà, come vedremo in seguito. La natura del popolo zingaro In Italia nella prima metà del Quattrocento comparvero le prime carovane di zingari provenienti dai Balcani, ma i nostri antenati non riuscirono a capire con precisione chi fossero realmente e che cosa volessero (cfr. F. PREDARI, Origine e vicende degli zingari, 1841, II ed., Bologna, Forni, 1997). Francesco Predari spiega che il fenomeno zingaro non è supportato da testimonianze storiche, né da documenti di qualsiasi genere. Essi non hanno mai posseduto una lingua scritta, ma solo un idioma parlato. Quindi quel poco di notizie che abbiamo su di loro sono state attinte dagli Annali delle varie Nazioni che li hanno ospitati come viandanti. Conseguentemente Raimondo Gatto osserva che gli zingari non manifestano interesse per la loro storia e che le numerose leggende, raccolte dagli ziganologi, hanno un carattere favolistico e son prive di riferimenti cronologici e riscontri oggettivi (Zingari antichi e moderni. Lo scandalo della verità, cit., pp. 13-14). La studiosa americana Isabel Fonseca, pur essendo filo-zigana, scrive che l’ostacolo principale che impedisce di ricostruire una storia seria degli zingari attraverso le loro testimonianze è il seguente: “Gli zingari mentono. Mentono un sacco, più di frequente e con maggiore inventiva di qualunque altro popolo” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, Milano, Sperling & Kupfer, 1999, p. 12). Inoltre gli zingari per difendersi da ogni possibile repressione fanno attenzione a “rivelare il meno possibile della propria lingua e dei propri costumi” (E. ROBOTTI, Zingari e Galè al campo sosta di Molassana, Roma, Prospettiva Edizioni, 1996, pp. 28-29). Vincenzo De Florio scrive: “Se ponete loro delle domande, ne otterrete spesso delle risposte fantasiose o false…, talora il silenzio” (Zingaro mio fratello, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1986, p. 45). L’origine degli zingari A partire dal XV secolo era comunemente diffusa l’opinione che gli zingari fossero d’origine egiziana, perché loro stessi lo avevano detto ai popoli dell’Europa centrale presso i quali iniziavano allora a penetrare. Tuttavia nel XVIII secolo, quando gli inglesi si stabilirono nell’attuale India-Pakistan e Bangladesh, “gli studiosi scoprirono numerose assonanze tra alcuni dialetti indiani e il frasario zingaresco” (R. GATTO, cit., p. 15). Nella fine del Settecento lo studioso tedesco Heinrich Moritz Gottlieb Grellmann pubblicò il primo trattato (Historisher Versuchuber die Zigeuner, 1782; tr. francese Histoire des Bohémiens ou Tableau de moeurs, usage et coutumes de ce peuple nomade, Parigi, Chàumerot, 1810) completo e scientificamente documentato sull’origine e i costumi degli zingari. Secondo Raimondo Gatto quest’opera di Grellmann è ancora attuale e non si può prescindere da essa se si scrive sul problema degli zingari; anche se il Grellmann è mal visto dai filo-zigani poiché il suo lavoro è oggettivo e scientifico e non contiene nessun elemento ideologico filo-zigano e terzomondista “politicamente corretto”. Ciò che sembra storicamente più certo sull’origine degli zingari lo si deduce da due documenti di due autori persiani: lo storico Hamzahd’Isphan (950 d. C.) e il poeta Firdusi (1011 d. C.). “Entrambi narrano di una popolazione che in India praticava con perizia l’arte della metallurgia, ma ancor più eccelleva in maestria nella musica e nella danza” (R. GATTO, cit., p. 17). François de Vaux de Foletier, che è un’autorità in materia, scrive: “i testi di Hamzah e di Fidursi non devono essere considerati come testi storici, ma come letterari e leggendari. Tuttavia ci sono preziosi perché sono le prime testimonianze scritte riguardo ad un popolo venuto dall’India in Persia prima del X secolo” (Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 1990, pp. 42-43). Inoltre si sostiene che essi fuggirono dalla Persia, quando questa fu conquistata dai musulmani e si sarebbero diretti in parte nel Caucaso e in parte nell’Impero bizantino e siano giunti nei Balcani, stanziandosi nell’attuale Romania (R. GATTO, cit., pp. 18-19). “Pellegrini” egiziani? Interrogati da dove venissero e chi fossero rispondevano di essere originari dell’Egitto e che Dio li aveva puniti, inviandoli quali “pellegrini errabondi nel mondo”, per espiare il peccato dei loro antenati di aver dato un’accoglienza poco ospitale a Gesù bambino e alla Sacra Famiglia. Ora questa risposta “è una fiaba, inventata apposta per ingannare i creduli cristiani. Comunque i preti ungheresi, i devoti cristiani, la regina Maria e il re Sigismondo si trovarono soddisfatti di questa risposta e vedendoli miserabili e bisognosi offrirono loro ospitalità e salvacondotti” (A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, II ed., Bologna, Forni, 1971, p. 47). In realtà gli zingari provenivano dall’India e dalla Persia ed avevano solo attraversato l’Egitto. Nel 1500 un atto della Dieta di Augusta pose fine all’immunità che gli zingari godevano in Europa da almeno 50 anni invitando a non lasciar più passare le carovane dei nomadi e a non tener conto dei loro lasciapassare (cfr. F. PREDARI, Origine e vicende degli zingari, cit., p. 71). Per attraversare le contrade europee infatti gli zingari mostravano dei salvacondotti rilasciati loro dal Re Sigismondo d’Ungheria (divenuto Imperatore nel 1437); i salvacondotti permettevano loro di non pagare pedaggi e di spostarsi tranquillamente da un regno all’altro e così arrivarono in quasi tutte le Nazioni dell’Europa occidentale. Essi praticavano l’arte degli indovini, leggendo la mano delle persone e così ne ricavavano qualche sostentamento (cfr. A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 61). Le popolazioni europee all’inizio furono molto generose con gli zingari reputati “pellegrini” dall’Egitto, ma col passar del tempo si avvidero che “questi erranti vestiti in modo miserabile, erano ben provvisti d’oro e d’argento, bevendo bene e mangiando meglio […] ed avevano anche una spiacevole tendenza, soprattutto le donne, di provvedersi furtivamente” (F. DE FOLETIER, Mille anni di storia degli zingari, Milano, Jaca Book, 1990, p. 53). Fine dell’accoglienza indiscriminata Tuttavia dopo appena 50 anni dal loro ingresso in Europa, l’ingenuità dei cristiani nei confronti dei “pellegrini dell’Egitto”, che “andavano nelle botteghe, mostrando di voler comprare qualche cosa, mentre una delle loro donne rubava” (A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 56 e p. 61) iniziò a scemare. Inoltre “malgrado la loro miseria vi erano tra loro delle indovine, che leggevano le mani delle persone e così parlando alle genti, per arte magica vuotavano le borse altrui ed empivano la loro” (ivi) e “sfruttando il terrore che la loro presenza incuteva ai paesani, essi esigevano una specie di taglia per accamparsi altrove” (R. GATTO, cit., p. 31). Infatti l’iniziale tolleranza nei confronti degli zingari fu scambiata e trasformata da essi in immunità: “In Italia esisteva una legge generale che interdiceva agli zingari di passare più di due notti nel medesimo posto; ciò impediva che questi incomodi ospiti dimorassero lungamente nel medesimo luogo, ma appena l’ultimo zingaro era partito, se ne presentavano sùbito altri; per questo motivo essi circolavano senza posa” (H. M. G. GRELLMANN, Histoire des Bohémiens ou Tableau de moeurs, usage et coutumes de ce peuple nomade, cit., p. 42). Krzysztof Wiernicki scrive: “Nel passato le autorità civiche, pressate dagli zingari, preferivano offrire a questi ultimi una somma di denaro pur di liberarsene […]. Si arrivava sovente ad una sorta di ricatto: gli zingari piantavano le loro tende alle porte della città, ben determinati a resistere lì finché non fossero riusciti a ottenere del denaro per proseguire il viaggio. Se la città cedeva si salvava dalla loro invasione, mentre i diretti interessati avevano così ottenuto i mezzi di sostentamento” (Nomadi per forza. Storia degli zingari, Milano, Rusconi, 1997, p. 165). Adriano Colocci aggiunge: “Quando il mendico diventò ladro, il pellegrino malandrino, il calderaio incendiario, la fattucchiera ricattatrice […] la credulità sfumò intorno ad essi e il dispetto e l’odio ne presero il posto” (Gli Zingari, storia di un popolo errante, p. 74). Raimondo Gatto scrive: “Gli zingari fecero della mendicità un vero e proprio mestiere, esercitato soprattutto dalle donne e dai bambini; l’insistenza, a volte minacciosa, con cui esigevano e tuttora pretendono l’elemosina, spesso si accompagnava (e si accompagna) a maledizioni per terrorizzare chi rifiutava l’obolo. […]. L’accattonaggio era tuttavia il minor male che opprimeva la popolazione. Reati, veri o presunti, furono attribuiti agli zingari; il più comune quello del furto, commesso soprattutto dalle donne, poiché gli uomini traevano profitto dai furti di esse” (cit., p. 33). Le espulsioni “Editti che condizionavano la permanenza degli zingari al cambiamento dei loro costumi furono promulgati soprattutto in Inghilterra e nello Stato Pontificio” (R. GATTO, cit., p. 45). San Carlo Borromeo nel 1565 raccomandava all’autorità civile di far abitare gli zingari in un luogo stabile facilmente controllabile (ivi). Tuttavia l’unico Paese che applicò con rigore (certe volte eccessivo) gli editti contro gli zingari fu l’Olanda, che sradicò totalmente la loro presenza. Nel resto dell’Europa essi riuscirono a sottrarsi all’espulsione e a sopravvivere rimanendo separati dal corpo sociale del Paese ospitante. Tentativi di stabilizzazione Nelle Nazioni in cui gli zingari erano più numerosi (Ungheria, Romania e Spagna) si cercò di civilizzare gli zingari. Maria Teresa d’Austria nel 1768 impose agli zingari di abbandonare il vagabondaggio, di rispettare le leggi civili e di integrarsi con i nativi. Fu così che in Ungheria un certo numero di zingari poté essere civilizzato, ma molti furono refrattari. Gli zingari in Europa sino alla Prima Guerra Mondiale Col XIX secolo e l’invenzione delle giostre meccaniche e la nascita dei circhi equestri gli zingari, particolarmente dediti a queste attività, poterono continuare a vagabondare per l’Europa. Tuttavia nel 1912 in Francia i veicoli dei nomadi dovevano avere delle targhe speciali e fu imposto loro di presentarsi ai commissariati di polizia per comunicare ogni spostamento in quanto “senza fissa dimora” e non per motivazioni razziali. Quando scoppiò la Grande Guerra, gli zingari, che si trovavano nelle zone di confine tra due Nazioni nemiche, venivano internati per il timore di spionaggio. Anche la Bulgaria e la Germania emanarono provvedimenti simili. La psicologia degli zingari La causa della in-assimilabilità o non-integrazione degli zingari va ricercata nei loro costumi; non è una questione di razza o di etnia, ma di una mentalità che vuol vivere liberamente al di fuori delle regole sociali. I motivi di questa mentalità sfuggono alla ragione umana. Quindi occorre limitarsi a prenderne atto e a descriverla per conoscere tutte le conseguenze che comporta. Adriano Colocci fa un quadro sintetico abbastanza realistico della psicologia o mentalità degli zingari quando scrive: “Rigettano da sé ogni precetto imperativo della legge e le esigenze di ogni abitudine sociale e riducono al minimo la somma dei loro bisogni materiali, domandano a coloro con cui si trovano a contatto una sola cosa: l’arbitrio di vivere a modo proprio. […]. Lo zingaro, natura scaltra, superlativamente leggera, senza morale ma senza fiele, non fa mai il male per il male. È vero che non se ne astiene, se il male può essergli utile, poiché non conosce ostacoli quando si tratta di giungere a segno per soddisfare un suo desiderio, ma soddisfattolo si ferma da sé […]. Purché si senta libero e non abbia fame, nulla v’è da temere per lui. Ma questo anelito assoluto e ardente di una libertà selvaggia ingenerò in lui un’antipatia profonda e una decisa avversione al commercio. […]. L’uomo civilizzato parte dal principio che la sicurezza sia condizione fondamentale della felicità, la pace il suo principale elemento, l’abitudine il suo più dolce regalo, il benessere materiale il suo frutto più prezioso, la stabilità il suo indispensabile corollario. Lo zingaro ride della sicurezza, giacché non gli manca mai nelle sue caverne inaccessibili; è indifferente alla pace, poiché ama la lotta e si sottrae alla guerra; non sa cosa sia abitudine, ma intendendolo ne prova orrore; non si cura del benessere materiale e beffeggia la stabilità, esaltando i piaceri della sua vita mobile, incerta, perigliosa e gioconda. […]. Questa ricerca di una libertà selvaggia e sfrenata porta gli zingari a ricorrere a tutti gli espedienti, fossero pure della specie più ripugnante […]. Perciò essi scuotono ogni giogo morale, ogni sociale soggezione, ogni ostacolo interno per correre senza tregua dietro la scintilla elettrica di una sensazione” (Gli Zingari, storia di un popolo errante, pp. 150-156). Sarebbe un grave errore il sottovalutarli: sebbene asociali e vagabondi, non mancano di qualità e abilità. Gianfranco Azzolini scrive: “Individualmente lo zingaro sfugge alle difficoltà piuttosto che affrontarle (per questo è portato spesso alla menzogna e al furto). È individualista e istintivo; manca in lui il senso della previdenza; è instabile e da ciò deriva la necessità di movimenti continui […]. La sua posizione nei confronti della storia è quella di scordare il passato, vivere il presente, non considerare il futuro” (Zingari e nomadi problema sociale, Edizioni Opera dei Nomadi di Mori [Trento], 1971, p. 13-15) (2). L’esclusivismo degli zingari Adriano Colocci afferma che “lo zingaro non si mescola con lo straniero. […] Dappertutto, malgrado le dissertazioni dei dotti, resta un segreto il perché di questa esistenza a parte” (Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 150 e 154). Inoltre “è certo che gli zingari, anche se accettati nel Paese in cui vivono, vi si comportano abitualmente come una popolazione distinta e chiusa in se stessa, fiera della sua diversità, attaccata alle sue tradizioni” (F. DE FOLETIER, Mille anni di storia degli zingari, cit., p. 226). Raimondo Gatto scrive che “nei confronti degli estranei alla loro comunità, gli zingari manifestano comportamenti analoghi al razzismo; nonostante i pochi matrimoni misti con i residenti, Sinti, Rom e Kalé contraggono matrimonio quasi esclusivamente con i membri dei loro clan. L’esclusivismo degli zingari è dovuto ad una profonda considerazione che hanno di sé e al conseguente disprezzo per gli altri” (cit., pp. 119-120). Isabel Fonseca precisa che il principio fondamentale degli zingari è il seguente: “Noi contro il mondo intero” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, cit., p. 9). Gli zingari e la donna Emilio Robotti afferma che la vita della donna zingara è “fatta di sottomissione, fatica e sofferenza” (Zingari e Gagé al campo di sosta di Moìassana, Roma, Prospettiva Edizioni, 1996, p. 60). Inoltre dopo lo sposalizio le giovani zingare vanno a vivere con la tribù dei suoceri e debbono accudire anche ai genitori dello sposo. Le donne subiscono una forte condizione d’inferiorità e di sottomissione (cfr. E. ROBOTTI, Zingari e Gagé al campo di sosta di Moìassana, cit., p. 62). La zingara sposata più che la moglie è la schiava del marito, il quale la malmena spesso e volentieri (cfr. A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 228). Raimondo Gatto scrive che “l’esercizio della mendicità e del furto è riservato soprattutto alle giovani, che in molti casi si fanno accompagnare dai bambini” (cit., p. 137). Invece “il lavoro dell’uomo capofamiglia è destinato al ruolo delle esigenze sociali di prestigio o di rappresentanza: acquisto di auto, spese per feste, matrimoni, funerali” (E. ROBOTTI, Zingari e Galè al campo sosta di Molassana, cit., p. 50). Inoltre “gli uomini non provvedono in nessun modo a procurare il cibo, questo compito spetta esclusivamente alle donne che a volte rubano” (K. WIERNICKI, Nomadi per forza. Storia degli zingari, cit., p. 93). “Finito il puerperio le madri si mettono alla questua e si danno al ladroneccio […], e si portano il proprio lattante in braccio poiché contano d’impietosire meglio” (A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 229). Gli zingari e la religione Il Colocci più che di religione parla di superstizione: “Gli zingari sono di tutte le religioni o per meglio dire di nessuna. Per comodità, per non essere disturbati o per loro vantaggio personale si uniformano al culto dei Paesi in cui si trovano, senza che in ciò c’entri alcuna parte intima della loro coscienza. Si lasciano battezzare tra i cristiani, si fanno circoncidere tra i turchi” (A. COLOCCI, Gli Zingari, storia di un popolo errante, cit., p. 167). Isabel Fonseca scrive: “Si dice che gli zingari siano senza religione, ma sempre pronti ad adottare qualsiasi fede nella speranza di evitare le persecuzioni e magari di arraffare gli eventuali vantaggi che ne derivano” (Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom, cit., p. 47). Tentativi di civilizzazione e conversione Lo Stato Pontificio dal XVI al XIX secolo promulgò vari decreti riguardo agli zingari, simili a quelli dei governi delle Nazioni cristiane dell’ Europa. Tuttavia la legislazione dello Stato Pontificio tendeva specialmente a recuperare gli zingari cercando di educarli ad abbandonare il loro stile di vita e a perdere le loro abitudini girovaghe e asociali. Quindi, se alcuni zingari si lasciavano civilizzare ed eventualmente evangelizzare, le misure di espulsione non venivano applicate nei loro confronti (cfr. R. GATTO, cit., p. 225). Il progressismo, che avversa la nozione evangelizzatrice del proselitismo cattolico, non accetta tale normativa ed esalta il modus vivendi degli zingari proprio perché asociale ed in continuo movimento. Invece negli Stati cattolici si cercava di provvedere alla sicurezza dei cittadini senza escludere la civilizzazione e l’evangelizzazione degli zingari. Raimondo Gatto cita oltre l’Editto dello Stato Pontificio del 1631, il Sinodo di Trani del 1589, il Sinodo di Siena del 1599 e il Programma educativo di San Giuseppe Calasanzio del 1600 (cit. p. 225). Al di fuori dell’Italia si ritrova il medesimo spirito nelle legislazioni della Spagna, della Francia, dell’Ungheria, della Romania. Infine il papa Pio XII fondò in Italia l’Opera Assistenza Spirituale ai Nomadi d’Italia (OASNI) e l’Irlanda e la Francia ne seguirono l’esempio. “Purtroppo il relativismo culturale e religioso, infiltratosi nelle organizzazioni ecclesiali dopo il Vaticano II, trasformò l’apostolato tradizionale in una gitanizzazione buonista, giustificazionista dei costumi superstiziosi degli zingari” (R. GATTO, cit., p. 227). Oggi si assiste al capovolgimento della pratica missionaria della Chiesa, alla rinuncia del proselitismo e della civilizzazione di ogni uomo e quindi anche degli zingari. Conclusione Tutto ciò deve aiutarci a capire come affrontare il problema degli zingari e degli immigrati in genere senza cadere nei due errori opposti per difetto (buonismo) e per eccesso (crudeltà). Non si può considerarli come i residenti di cui debbono essere tutelati tutti i diritti, compreso il rispetto delle loro tradizioni. Infatti la tradizione degli zingari rifiuta il modello di vita normale dei popoli civilizzati sedentari o stabili, le loro leggi e la loro cultura: si tratta di una mentalità che vuol vivere al di fuori delle regole sociali. Inoltre lo zingaro non si mescola con lo straniero. Quindi voler obbligare gli zingari a seguire l’istruzione statale è una forzatura controproducente per loro e per i nativi. I costumi degli zingari sono gli stessi di quando arrivarono in Europa. Tuttavia mentre ieri ci si difendeva da essi e si cercava di civilizzarli ed evangelizzarli, oggi si vorrebbe giustificarli, accettarli come sono ed esaltare il loro modus vivendi, che porta al vagabondaggio, allo sfruttamento dei minori, all’accattonaggio e al furto. Questa è una mancanza di buon senso che produce conflitti inevitabili tra due entità totalmente diverse e persino opposte. NOTE 1- Il libro (245 pagine; € 15, 90) può essere richiesto a Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo 2 - Cfr. B. NICOLINI, La famiglia zingara, Brescia, Morcelliana, 1969; L. PIASERE, I Rom d’Europa, Bari, Laterza, 2004. |
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Ultimo aggiornamento ( lunedì 02 aprile 2018 ) |
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