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Convegno di Crescita e di Formazione Cristiana
LA DEVOZIONE ALL’ANGELO CUSTODE NEL DICIASSETTESIMO SECOLO Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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giovedì 01 marzo 2018
Devozione all'Angelo CustodeTra i mistici dell’epoca post- rinascimentale troviamo diversi uomini e donne cattoliche che hanno fatto esperienza di manifestazioni degli spiriti celesti. All’inizio del diciassettesimo secolo, sboccia a Lima la vergine peruviana Santa Rosa, del terz’ordine di San Domenico, che la Chiesa chiama il primo fiore di santità dell’America meridionale. I suoi rapporti con gli angeli furono messi in  luce dal suo processo di canonizzazione, tanto  che Clemente X si espresse così nei suoi riguardi nella Bolla con la quale egli la fa salire sugli altari. ...

 
“Dio inviò il suo angelo, che camminava davanti a Rosa, che la custodiva visibilmente, per introdurla nel luogo ch’egli le aveva preparato. Ella aveva con lui una familiarità così fiduciosa che, non solamente era per lei un amico carissimo, ma anche un messaggero ed un intermediario, ogni volta che lo Sposo celeste tardava a mostrarsi. Una notte ch’ella si sentiva venir meno, ella lo inviò presso la signora Maria d’Uzategui, con la commissione di dirle ch’ella aveva bisogno di tale rimedio; la pia donna, avvisata dall’angelo, si affrettò ad inviarglielo da un suo servo; la madre di Rosa fu testimone del prodigio, di cui sua figlia le diede la spiegazione per obbedienza. Un’altra volta, l’angelo familiare la riportò, dalla cella del suo giardino alla dimora materna, sana e salva, aprendo le porte davanti a lei. Altri angeli ancora ricevettero l’ordine di Dio di vegliare su quella vergine; grazie alle sue preghiere, essi protessero un certo religioso in un viaggio pieno di pericoli, poi parvero abbandonarlo perché questi non era più in buone disposizioni; siccome al suo ritorno si lamentava con Rosa di quell’abbandono, ella gliene diede il motivo ed entrò in dei dettagli sì intimi che evidentemente ad una tale distanza, ella non aveva potuto esserne informata che da un angelo o dal Signore stesso”.

Occorre che i fatti allegati siano stati ben  ben provati per prender così posto in una Bolla di canonizzazione. Non è detto che Rosa vede il suo angelo, quando lei lo prega di andare a trovare Maria d’Uzategui; ma è necessario  ammettere che si è fatto vedere od almeno sentire da quella pia amica, forse abituata a simili messaggi. Quando lo spirito celeste viene a cercarla nella cella del giardino, ella lo vede scivolare simile ad un’ombra bianca ed agile, che la precede poi, giunta a casa di Rosa, svanisce ai suoi occhi.
La vita di San Francesco Solano, l’apostolo del Perù, contiene un segno toccante dell’assistenza degli angeli. Il suo ministero lo aveva chiamato al capezzale di una pia donna che stava per morire: improvvisamente, egli vide il suo volto prendere un’espressione raggiante, egli le chiede quello che stava per accadere. Ella rispose che veniva dal godere dell’aspetto consolante del suo angelo custode, che gli aveva annunciato da parte di Dio che i suoi peccati le erano stati perdonati, che tra poco sarebbe morta e sarebbe stata trasportata da lui nel soggiorno della beatitudine. Non appena ella ebbe finito di parlare, rese soavemente l’ultimo respiro.
L’estatico San Giuseppe da Copertino viveva nella società degli angeli; egli attestò un giorno che li vedeva salire e scendere al di sopra della santa casa di Loreto e, a quella vista, egli fu elevato da uno di quei ratti estatici di cui era abitudinario. Nel momento in cui egli entrava in Assisi, una insigne serva di Dio lo vide scortato da due angeli; ella seppe per rivelazione che San Giuseppe aveva ricevuto per custode un angelo di un coro superiore. Comunque sia, il santo aveva per quell’angelo una tale venerazione ed egli sentiva così vivamente la sua presenza, che non entrava mai nella sua cella senza averlo umilmente pregato di attraversarne la soglia per primo.

San Pietro Fourier riunisce alcune “buone ragazze” per fondare la Congregazione di Nostra Signora. Esse avevano tutte una gran buona volontà; ma la loro iniziazione alla vita religiosa offriva alcune difficoltà pratiche con le quali esse si scontravano col fervore dei loro desideri. Così esse giungevano appena ad una recita corretta del breviario; le rubriche non entravano facilmente nelle loro teste. “Ora, un giorno che la signora du Fresnel dava loro qualche lezione nel suo giardino, un giovanissimo d’una bellezza radiosa, di circa quattordici anni, sopraggiunse come per caso; egli si avvicinò, si unì ad esse, si mise a spiegare loro il breviario, a recitarlo con esse. Man mano che il ragazzo parlava, le difficoltà scomparivano; e, da quel giorno, esse corsero in quel cammino prima così penoso. Dio, aggiunge l’autore, inviava ben il suo angelo alla giovane Agar ed al suo piccolo Ismaele per procurare loro, nel deserto, un’acqua rinfrescante. Perché non avrebbe inviato un angelo alle sue umili serve, per rimetter loro in mano la chiave delle preghiere liturgiche?
Quasi 200 anni prima di S. Bernardetta Soubirous a Lourdes, un’altra pastorella francese, Benedetta Rencurel, ebbe il grande dono di ripetute apparizioni Mariane che durarono per più di 54 anni, dal 1664 al 1718. Il decreto di riconoscimento di tali apparizioni mariane è stato fatto a Gap il 4 maggio del 2008 dal vescovo Jean-Michel di Falco che dopo aver attentamente studiato i fatti e chiesto consiglio alle persone competenti ha riconosciuto l’origine soprannaturale dei fatti vissuti e riferiti dalla Rencurel, ed ha incoraggiato i fedeli a venire a pregare e a rigenerarsi spiritualmente al santuario di Nostra Signora di Laus. Benedetta nacque nel 1647 il giorno della festa dell’arcangelo Michele, nel piccolo paese Saint-Etienne, vicino ad Avencon nel dipartimento Hautes Alpes (Francia), da genitori molto poveri. Quando Benedetta, all’età di 10 anni, perse il padre, fu affidata ad un vicinQo proprietario terriero per pascolare il suo gregge di pecore. Compì il suo lavoro in modo semplice ed umile.

Dal mese di maggio del 1664, la santissima Vergine apparve alla Pastorella per quattro mesi ogni giorno. Maria diede alla ragazza l’incarico di ricostruire, nelle vicinanze di una vallata chiamata Le Laus, una cappella andata a rovina, perché ci si potesse recarvisi a pregare per la penitenza dei peccatori. M. Lambert, il vicario generale di Embrun, sottopose Benedetta nel 1665 a lunghi interrogatori e arrivò alla conclusione, che le apparizioni Mariane, di cui raccontava la pastorella, erano veritiere. Così, nel 1666 fu iniziata la costruzione di una chiesa a Le Laus, completata nel 1670.

Benedetta, che come terziaria dell’ordine domenicano, cercò di raggiungere la santità, smise di pascolare le greggi e si dedicò completamene al servizio dei pellegrini, che diventarono sempre più numerosi. Per amore della salvezza dell’anima dei pellegrini, si sottomise a durissime mortificazioni, pregò molto, rimproverò i peccatori incalliti e incoraggiò i deboli e i disperati. Le fu dato in dono il carisma della penetrazione dei cuori. Intuiva quando i peccatori, per falsa vergogna, non avevano confessato pesanti colpe. E lo fece loro notare. Successe che espulse i peccatori dal banco della comunione per farli ritornare, ancora una volta, al confessionale e confessare le colpe celate.

In seguito, Benedetta vide oltre 100 volte la Madre di Dio, da cui fu istruita sul suo compito di servizio per la conversione dei peccatori. Ma Benedetta fu anche onorata da un rapporto famigliare con gli angeli, i quali, com’è noto, si rallegrano di ogni peccatore pentito (Luca 15,10), inoltre gli angeli dettavano a Benedetta le risposte da dare ai pellegrini e le suggerivano anche i consigli da dare ai peccatori che si presentavano. Il 2 agosto 1700, Benedetta che si trovava nella cappella, vede due angeli sull’altare. “Oggi è giorno di grande festa-dice uno dei due- vuoi fare la comunione?”. “Oh, come posso fare la comunione se non c’è nessuno con cui posso confessarmi?” “Non importa –risponde lo spirito celeste- non hai commesso peccati che possano impedirti di fare la comunione. Sarò io a darti l’Ostia. Accendi i ceri, Avvicinati all’altare, inginocchiati e prendi la tovaglietta tra le mani”. Subito il tabernacolo si apre e uno degli angeli ne estrae un’ostia, nel frattempo benedetta si avvicina all’altare, recita il Confiteor e riceve la santa Eucaristia da uno degli spiriti celesti, mentre l’altro rimane inginocchiato e in atteggiamento di profonda adorazione. L’angelo richiude la porticina del tabernacolo e dice alla pastorella: “Spegni i ceri e ritirati nella tua stanza per fare il ringraziamento alla Santa Comunione”. Benedetta obbedisce e dice allo spirito celeste: “ Bell’angelo, in questo momento ho tutto ciò di cui ho bisogno”. Gli angeli scompaiono e Benedetta si ritira nella sua stanza. Ma vi è ancora dell’altro: Il 23 dicembre 1700, dopo la funzione di mezzanotte, Benedetta era rimasta sola in cappella e vide la chiesa riempirsi di una moltitudine di angeli che arrivano in perfetto ordine e avanzano in processione. Un magnifico stendardo ornato da tutti i tipi di fiori li precedeva. La metà degli angeli era vestita di bianco e l’altra metà di rosso e ognuno portava in mano una fiaccola. Anche Benedetta ne prese una dall’altare e cominciò a seguire il corteo celeste. Fecero il giro della chiesa all’interno per tre volte accompagnati da canti pieni di un’incantevole melodia. Gli angeli cantavano il “Gloria in excelsis” e questa antifona composta appositamente per l’occasione: “Sia benedetto il Padre che ha scelto questo luogo per la conversione dei peccatori; Dio benedica tutti coloro i quali si recano qui per adorarlo!”. Benedetta non capiva il “gloria in Excelsis” ed un angelo si premurò di tradurlo per lei in francese. La pastorella lo ringraziò e continuò a seguire la processione ripetendo la giaculatoria: “mio Dio, abbiate misericordia di me”. “Dio ne avrà per te”, le disse un angelo. Dall’esterno si vedeva una grande luce proveniente dalla cappella e soavi profumi si espandevano dalla chiesa, nonostante essa fosse chiusa. Gli angeli inoltre accompagnavano Benedetta ogni volta che la pastorella si recava a fare l’adorazione alla cappella del “Buon Incontro” e ancora oggi quella via è chiamata “ il sentiero dell’angelo”. Gli spiriti celesti si preoccupano del corpo di Benedetta, vegliano sulla sua salute “sottraendole gli strumenti di supplizio che la giovane usa senza le dovute precauzioni e glieli rendono solo dietro l’ordine della buona Madre alla quale si rivolge Benedetta. Ma è soprattutto durante le lotte che Benedetta deve sostenere contro il demonio, che gli angeli si mostrano più presenti. Il suo angelo custode le dice di non aver paura durante queste lotte del maligno, di fare ricorso alla preghiera e all’acqua santa; di dire al demonio che Gesù non si è incarnato per lui. Che lui non ha alcun potere e non può fare niente e perciò lei non lo teme. Il 16 settembre 1701, essendo stata trasportata dal demonio sulla roccia dove nidifica l’aquila, ed essendo quella una notte molto buia, la povera pastorella non sapeva dove andare per poter tornare indietro. Subito un angelo apparve al suo fianco con un’immensa fiaccola che non rischiarava solo i passi di benedetta, ma anche le montagne dei dintorni ed esalava inoltre un tale profumo che la fanciulla ne gioì. Per ricordare questo avvenimento è stata eretta in quel luogo sotto il passo di Rambaud, una colonna sormontata da un angelo che porta tra le mani una fiaccola e che domina il vallone di Laus.  Gli angeli ebbero un rapporto amichevole con Benedetta e pregarono spesso persino a turno con lei il rosario per la conversione dei peccatori; gli angeli consigliarono Benedetta in situazioni difficili e si prendevano cura del suo benessere spirituale e fisico. Tra il 1692 e il 1712 le toccarono molti disconoscimenti, rinnegamenti e persecuzioni da parte di preti giansenisti, ai quali era stato affidato il santuario di Le Laus, e che rinnegavano dal pulpito apertamente la veridicità delle apparizioni Mariane di Benedetta. Alla fine la si volle chiudere Benedetta dentro un monastero. Non si osò  farle un attacco diretto, perché si temeva la fede del popolo, fortemente convinto che la Madre di Dio era apparsa per mesi a Benedetta. Gli angeli informarono Benedetta dei pericoli imminenti. Le vennero negati i sacramenti e proibita l’entrata al santuario. La Madre di Dio e gli Angeli la incoraggiarono in questi tempi - a volte in modo vistoso - a tenere duro, e le consigliarono come comportarsi. “I tuoi nemici sarebbero felici se tu ti disperassi, perché raggiungerebbero velocemente il loro fine”, disse Maria a Benedetta, che continuò allora a pregare e a fare sacrifici, per distogliere dal diavolo e dall’inferno quanto più peccatori possibile. Un angelo però le rivelò: “Le Laus è opera di Dio. Né uomini né demoni possono mai distruggerlo. Perdurerà e porterà abbondante raccolta.” Il suo angelo custode le annunciò la sua imminente fine per la festa dei Santi Innocenti. Il 28 dicembre del 1718 Benedetta morì all’età di 71 anni, dopo una  santa condotta di vita. I numerosi pellegrini, che a Le Laus si raccomandarono alla Vergine, cominciarono presto ad invocare anche Benedetta e a pregare per la sua beatificazione.

 La vita della beata monaca domenicana Agnese di Langeac non è meno ricca in apparizioni di spiriti celesti. Ella è continuamente in rapporto sensibile col suo angelo custode. Occorrerebbe un capitolo per rintracciare tutte le visioni di angeli che furono presentate ai suoi sguardi durante le sue meditazioni ed orazioni; ella ricevette diverse volte la comunione dalla loro mano. Nella celeberrima apparizione con la quale ella si trasportò vicino a M. Olier , e che è un fenomeno di bilocazione documentalmente constatato, ella era accompagnata da un angelo. M. Olier ha lasciato egli stesso il racconto di quella apparizione che si offrì per due volte ai suoi occhi. “Io credetti al momento, dice lui, che fosse la Santa vergine a causa della santa gravità ed a causa dell’angelo che le rendeva gli stessi servizi che un servitore rende ad una signora”. Il santo sacerdote riferì quella visione a San Vincenzo de Paoli, suo direttore spirituale, che riservò il suo giudizio. Essa fu esaminata con grande cura nelle procedure di beatificazione di madre Agnese; e il vice-promotore della fede, che era allora Prospero Lambertini, più tardi Benedetto XIV, concluse, dopo aver risposto a tutte le difficoltà, che la verità dell’apparizione angelica è indubbia. San  Camillo de Lellis nacque in Abruzzo a Bucchianico in provincia di Chieti il 25 maggio 1550. A sedici anni, è un forte ragazzo di quasi due metri di altezza, con delle spalle da portatore, mani abbastanza larghe per ammazzare un bue e, dicono le cattive lingue, con un cervello infantile ... Camillo, forte come un turco, alza le mani su chiunque gli sia antipatico. Aggressivo, manesco e attaccabrighe, egli si impegna in lotte contro tutti nelle quali i suoi enormi pugni gli danno un vantaggio evidente. Ben lungi dal cercare di addolcire questo giovane bruto, suo padre, più che settuagenario, è orgoglioso dall’aver generato in vecchiaia un simile Ercole. Ritrovando in tal modo la sua giovinezza fuggita attraverso suo figlio, il vecchio padre lo incoraggia ad abbracciare la carriera che fu la sua, quella delle armi, e impegna le sue relazioni per fare entrare Camillo nell’esercito veneziano. Il ragazzo non vi resterà molto tempo. Fin dalla morte di suo padre, i suoi superiori, che l’avevano fin là comandato, si affrettano a congedare questo soldato irascibile che passa il suo tempo a giocare la sua paga su di un colpo di dadi od un paio di carte e che, cattivo perdente, scatena omeriche dispute a cazzotti nei bassifondi delle taverne.Camillo si ritrova in strada. A parte giocare e battersi, egli non sa fare nulla.

 Per ben dieci anni, egli continua a vivacchiare con le sue due passioni e, forse, pure con  altri bisogni sessuali più inconfessabili ancora. E poi, un giorno, in qualche affare losco, egli è ferito alla gamba. La piaga non guarisce. Infermo, zoppo, abbandonato da tutti, l’infelice finisce col cadere, mezzo morto, non lontano dal monte Gargano, dove egli è raccolto dai cappuccini di San Giovanni Rotondo. Curato, nutrito, occupato in piccoli lavori di giardinaggio, Camillo de Lellis si mette a riflettere sulla sua vita passata ; riceve una illuminazione divina, essa finalmente gli fa orrore.

Nel corso delle sue peregrinazioni ed a causa della sua incurabile ferita di cui non cesserà mai di soffrire, egli ha visto a cosa rassomigliavano gli ospizi e gli ospedali italiani : malati e moribondi messi sugli stessi pagliericci, contagiosi e convalescenti insieme, abbandonati senza cura, spesso maltrattati e picchiati ... Egli decide di consacrare tutte le sue forze alla fondazione di un Ordine religioso che si occuperà di curare gli ammalati, di assistere gli agonizzanti, di soccorrere i feriti sui campi di battaglia. Camillo de Lellis diverrà sacerdote e fonderà l’Ordine ospedaliero dei Ministri degli Infermi in seguito poi detti più comunemente Camilliani. Ciò non sarà senza prove, dura fatica e senza acute sofferenze. E’ qui che interviene il suo Angelo custode. Dopo aver spiegato tanti sforzi per strappare Camillo dai suoi cattivi istinti, dalle sue passioni, dalla sua violenza ed averlo condotto al pentimento, al sacerdozio ed alla santità, quest’Angelo non intende lasciare annientare il suo protetto. Ora, una sera che egli viaggia solo nelle campagne del  Lazio, Camillo si perde, smarrendo completamente la strada.

         E’ tardi, la sera cala presto ed egli teme di essere sorpreso dalla notte in piena campagna lontano da ogni villaggio. Da un lungo momento, egli costeggia un fiume che sembra pacifico ma non ha né ponte né guado ... Stanco da questa inutile perdita di tempo, Camillo finisce col dirsi che avrebbe fatto più presto ad attraversarlo a nuoto. Certo, la sua vecchia ferita lo penalizza, ma egli è forte talmente che si crede capace di nuotare col solo aiuto delle sue braccia fino all’altra riva. D’altronde, l’acqua è così tranquilla.
         Già egli sta per mettere in esecuzione il suo progetto quando il suo Angelo insorge senza gridare presso di lui e gli dice, con un tono di estrema fermezza : - Camillo, non attraversare !

Camillo non discute con l’Angelo. Egli sospira e cerca un angolo dove  dormire all’addiaccio, nei roseti. L’indomani, essendosi rimesso in strada fin dall’alba, egli incrocia due pescatori che gli propongono di condurlo dall’altra parte. Senza fare allusione all’apparizione angelica della vigilia, Camillo racconta loro la sua prima intenzione di attraversare a nuoto. I due uomini lo interrompono : grazie a Dio, non ne avete fatto niente ! Sotto le sue arie bonarie, il fiume dissimula violenti correnti. Tutti quelli che hanno voluto passarlo a nuoto sono tutti annegati. Camillo muore a Roma il 14 luglio 1614. Nel suo testamento spirituale invoca e ringrazia l’Arcangelo san Michele di cui era devotissimo. Viene canonizzato nel 1746 ed  e’ sepolto nella chiesa della Maddalena che ha sulla facciata due grandi angeli inginocchiati dinnanzi ad una croce. Il santo si invoca quando ci si deve sottoporre ad una operazione chirurgica ed è il protettore degli infermieri, dei malati, degli ospedali e dal 1930 di tutti gli operatori sanitari. L’incoraggiamento che un giorno ebbe dal Crocifisso il sacerdote San Camillo De Lellis a proseguire la fondazione dell'Ordine Religioso dei Ministri degli Infermi è stato oggetto nel Settecento di una tela di Placido Costanzi (1690-1759) che è a  Roma  nella Chiesa di S. Maria Maddalena  sull’ altare della tomba di questo Santo e di una del fiorentino    Antonio Sebastiano  Bettini (1707-1774)  che è a Firenze  nella Chiesa di S. Maria Maggiore.  Nella tela di Placido Costanzi compaiono quattro grandi angeli. Uno in alto seduto su una nube, vestito, ha la gamba destra, sporgente dalla nube, nuda. Stende con le mani una fascia con una scritta. Un altro è vicino al Crocifisso. Splendidamente vestito sembra esortare san Camillo ad ascoltare le parole che gli sta dicendo. Gli altri due sono dietro San Camillo e lo osservano.   Nella tela del Bettini c’è invece un solo grande angelo anch’egli seduto su una nube, vestito, e anch’egli con la gamba destra, sporgente dalla nube, nuda. Somiglia in questo molto all’angelo che  stende una fascia con una scritta della tela di Placido Costanzi. Quest’angelo sta vicino a S. Camillo e non al Crocifisso ma lo indica al santo prete e lo esorta ad ascoltare le parole che gli sta dicendo. San Roberto Bellarmino di cui la Chiesa festeggia la memoria liturgica il 17 settembre, nasce nel 1542 da una nobile famiglia di Montepulciano, in Toscana. A 15 anni entra nel collegio dei gesuiti da poco fondato nella sua città e dopo pochi anni chiede di entrare tra quei religiosi fondati da sant’Ignazio. Dopo aver insegnato nei collegi gesuiti di Firenze e Mondovì, si trasferì a Lovanio come predicatore domenicale in lingua latina nella Cappella universitaria meravigliando tutti per la profondità di dottrina e la chiarezza di esposizione nonostante la sua giovane età. Nominato professore di teologia al Collegio romano, nel 1592 gli fu affidata la direzione dell’ateneo e dette un importante contributo personale alla famosa “ Ratio studiorum” delle scuole dei gesuiti. Nel 1597 papa Clemente VIII lo scelse come suo teologo, esaminatore dei vescovi e consultore del Sant’Uffizio. Per quest’ultimo incarico è stato ritenuto responsabile della condanna di Galileo Galilei. Al contrario egli fu sempre benevolo verso lo scienziato ma pretendeva semplicemente che Galilei presentasse le sue affermazioni come ipotesi. Il cardinale gesuita così scrive in una lettera del 12 aprile1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini che appoggiava Galilei: “ Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare “ Ex supposizione” e non “ assolutamente”, (…) Dico che quando ci fusse “vera  dimostrazione” che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra, ma la terra circonda il sole, all’hora bisognerai andare con molta considerazione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra”. Per la grande mole di lavoro che svolgeva venne chiamato “ il facchino della curia”. Avendo constatato l’ignoranza diffusa nel campo religioso, scrisse “Il Grande catechismo” e “ Il Piccolo catechismo” che ebbero grandissima diffusione. Il Bellarmino morì il 17 settembre 1621 ed il suo corpo si venera nella chiesa di sant’ignazio a Roma. E’ patrono dei catechisti e dei maestri di dottrina cristiana.  Riguardo alla dottrina sugli angeli è molto utile conoscere quello che insegna il santo cardinale gesuita, nell’opera “De ascensione mentis in Deum per scalas rerum creaturum” ( Elevarsi interiormente a Dio utilizzando come scala le realtà create ). Secondo il Bellarmino, cinque sono i compiti degli angeli. Il primo è quello di cantare in perpetuo lodi ed inni al Creatore. Ed affinché ci rendiamo conto di quanto Dio tenga in grande stima un tale servizio, va considerato che a quest’ufficio vengono destinati gli angeli superiori: essi, quasi precedenti nel canto, sono seguiti da tutti gli altri cori angelici all’unisono con gaudio incredibile . Bellarmino esorta la sua anima ad imparare da questi fatti di quanta venerazione sia grande Dio dal momento che anche quei supremi principi del cielo, che pure lo assistono sempre e contemplano ininterrottamente il suo volto, non osano mai dimenticare, nel lodarlo, il timore e la riverenza, nonostante il loro eccelso grado e la loro lunga familiarità. Il secondo compito degli spiriti celesti è quello di presentare in offerta a Dio le preghiere degli esseri mortali e altresì raccomandarle al suo suffragio come ben spiega l’angelo Raffaele nel libro di Tobia. Per Bellarmino il terzo compito degli angeli è quello di essere inviati come messaggeri per comunicare le notizie che Dio vuole trasmettere, soprattutto se esse riguardano la redenzione e la salvezza eterna. Secondo il Bellarmino la ragione per cui Dio, che è dovunque, di per se potrebbe senza ostacoli parlare direttamente al cuore degli uomini, voglia comunque inviare degli angeli, sembra essere questa: far comprendere agli esseri umani che le realtà umane sono sotto la provvidenza di Dio e da lui tutto viene retto e governato; gli esseri umani, difatti, potrebbero facilmente scambiare le ispirazioni divine per proprie valutazioni o riflessioni. Invece, vedendo o sentendo gli angeli inviati da Dio e verificando che i messaggi si realizzano appunto come essi avevano predetto, non possono più nutrire dubbi circa la verità che è Dio a provvedere alle cose umane e che in particolare, da lui vengono dirette e disposte tutte quelle realtà relative alla salvezza eterna degli eletti. Il quarto compito degli angeli è quello di proteggere gli esseri umani, sia i singoli sia le moltitudini. Infatti scrive il Bellarmino che piacque alla pietà di Dio affidare ai suoi potentissimi servitori le infermità dei mortali e preporli ad essi quasi come gli educatori rispetto ai bambini, oppure quasi come dei tutori per degli orfani, o come avvocati per i clienti, o come pastori per le pecore, o come medici per gli ammalati, o come difensori per i deboli o infine come protettori per coloro che non sono in grado di difendersi da doli e si rifugiano sotto la protezione di chi ha più possibilità. Infine per il Bellarmino, l’ultimo compito degli angeli è quello di essere altresì dei soldati o dei capi armati per compiere la vendetta tra i popoli e punire le genti. Sono gli angeli coloro che fanno ardere nel fuoco e nello zolfo le città infami, che sbaragliano molte migliaia di assiri. Saranno altresì gli angeli che nell’ultimo giorno separeranno i cattivi dai buoni. Ecco perché – conclude san Roberto- le persone pie debbono amare questi concittadini propri, cioè i santi angeli, mentre le persone cattive dovrebbero aver terrore della potenza degli angeli ministri dell’ira di Dio, dalle cui mani nessuno potrà mai sottrarle. Santa Margherita Alacoque fu la grande apostola della devozione al Cuore di Gesù. Le fu rivelata attraverso apparizioni del Signore stesso ed esperienze mistiche intime. Benché afflitta dalla povertà e dalle malattie, a 24 anni entrò nel monastero della Visitazione di Paray – le – Monial dove ebbe doni carismatici straordinari. Nonostante tante amarezze, ebbe la gioia di veder riconosciuta e celebrata nella Chiesa la festa liturgica del Sacro Cuore. Appassionata di Cristo, morì a 43 anni, il 17 ottobre 1690. Riguardo al suo rapporto con l’angelo custode così scrive la santa nella sua autobiografia: “Dopo qualche tempo passato in mezzo a tante sofferenze, Nostro Signore venne a consolarmi, dicendomi: “Mia cara figlia, non affliggerti; ti darò un fedele custode che ti accompagnerà dappertutto e ti assisterà nelle tue necessità spirituali. Egli impedirà al tuo nemico di prevalere su di te, usando delle colpe, alle quali vorrà spingerti; ma alla fine riceverà soltanto vergogna”. Questa grazia mi infonde tanta forza, che mi sembra di non aver più nulla da temere, dal momento che questo fedele custode mi assiste con immenso amore e mi libera da tutte le pene. Devo dire che lo vedevo soltanto nel tempo, nel quale il Signore mi privava della sua presenza sensibile per immergermi negli intensi dolori della sua Santità di Giustizia. Era allora che il mio custode mi consolava con i suoi familiari colloqui. Una volta mi disse: “Voglio dirti chi sono, cara sorella, affinché tu sappia quanto Amore ha per te il tuo Sposo .Sono uno dei sette Spiriti più vicini al trono di Dio e fra quelli, che partecipano maggiormente all’ardore del Sacro Cuore di Gesù Cristo, ardore, che nei disegni di Dio, ti sarà comunicato nella misura, in cui sarai capace di riceverlo”. Un’altra volta, mi disse che nulla, quanto le visioni , andava più soggetto a illusioni e inganni; proprio attraverso esse il demonio aveva sedotto molti, camuffandosi da angelo di luce, per procurare loro mille false dolcezze. E aggiunse che egli avrebbe cercato di prendere spesso il suo posto per ingannarmi. Potevo però cacciarlo pronunziando queste parole: “Per signum Crucis…” continuando poi a recitare il resto del versetto per non essere ingannata. In altra circostanza mi disse ancora: “Fa’ attenzione: nessuna grazia o carezza ricevute da Dio, ti facciano dimenticare chi è Lui e chi sei tu, altrimenti , sarò io stesso ad annientarti”. Una volta che mi volevano coinvolgere nell’intrigo di un matrimonio, mi apparve prostrato con la faccia a terra e non fui più capace di rispondere a ciò che in quel momento mi stavano chiedendo. Avendogli poi chiesto il motivo, mi rispose che una cosa simile, per il cuore di una Sposa di Gesù Cristo, era tanto detestabile, che gli faceva orrore; si era prostrato davanti a Gesù, proprio per chiedergli perdono. Ogni volta che il Signore mi onorava della sua presenza divina, non avvertivo più quella del mio santo angelo custode. Quando gliene chiesi la ragione, mi spiegò che, in quel periodo, era prostrato, in un profondo rispetto, per render omaggio a quella infinita grandezza, che si degnava di abbassarsi verso la mia piccolezza. In effetti, lo vedevo in quella posizione proprio quando ricevevo le amorose carezze del mio celeste Sposo. Il mio custode sempre stato disposto ad aiutarmi e non mi ha mai rifiutato nulla di ciò che gli ho domandato. Una volta che il mio Angelo si era momentaneamente allontanato da me, commisi una colpa di fragilità. Sentii allora dentro di me la voce dell’eterno Padre che mi diceva: “Sono stato Io a voler così, affinché ti, facendone penitenza, mi possa rappresentare Colui dal quale mi giunge ogni piacere; Colui che è immerso nel mortale dolore della sua agonia nel giardino degli ulivi e affinché tu, unendoti a Lui, me l’offra continuamente per soddisfare il mio giusto desiderio”. Tra le immagini più diffuse del frate laico peruviano S.Martino de Porres (1579 – 1639) ce n’è una che ce lo presenta inginocchiato su una nube sopra le Ande peruviane tra due graziosi angeli. L’angelo alla sua destra è raffigurato reggente con una mano un grosso giglio e con l’altra riversante da un vaso acqua sulla terra, simbolo delle grazie che Dio dà al mondo per intercessione di questo santo. L'angelo alla sinistra di S.Martino invece accarezza con entrambe le mani una fiamma di fuoco simbolo della sua ardente carità. Non è un’immagine “di maniera” perché leggendo le biografie di S.Martino ( molte purtroppo sono in spagnolo o in inglese) si nota che durante la sua vita quest’umile frate domenicano ebbe intensi rapporti con gli angeli.  Devotissimo soprattutto al suo angelo custode,  quando di notte per soccorrere poveri si aggirava per le strade senza luce di Lima, da lui era  guidato e grazie a lui ritornava senza problemi attraverso il buio al suo convento. Nella biografia scritta da J. C. Kearns: “ The Life of Blessed Martin de Porres: Saintly American Negro and Patron of Social Justice” troviamo che la Vergine Maria spesso gli inviava altri Angeli in aiuto. “ Questi gli si presentavano sempre sotto l’aspetto di giovani ragazzi con in mano delle candele accese per accompagnarlo dal dormitorio al coro e poi sparivano. Questo privilegio fu visto e testimoniato da molti confratelli del Santo. In un’altra occasione i preti e i fratelli della sua comunità domenicana videro un giorno S.Martino in compagnia di due Angeli che lo assistevano durante la recita dell’Officio della Vergine. Un’altra volta il Santo fu visto camminare nel chiostro del convento in compagnia di quattro Angeli che portavano delle torce illuminate nelle loro mani. Martino subì però anche assalti del demonio. Una volta il diavolo gli incendiò la cella. Un fitto fumo nero cominciò a fuoriuscire dalla sua camera. Due suoi confratelli  che si trovavano a passare nel corridoio, si precipitarono subito nella cella per aiutarlo. Appena aprirono la porta si trovarono di fronte a delle fiamme spaventose e tutto sembrava ormai perso quando improvvisamente scorsero S. Martino che pregava in ginocchio completamente illeso. Il santo allora con calma rassicurò i suoi confratelli facendo loro notare che nonostante le fiamme danzassero intorno ai mobili, non era stato distrutto niente. Spiegò loro che era un’illusione creata dal demonio per terrorizzarlo e fargli perdere la fiducia in Dio”.
Ultimo aggiornamento ( giovedì 01 marzo 2018 )
 
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