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LYDIA PRINCE E L’ ANGELO PROTETTORE Di don Marcello Stanzione PDF Stampa E-mail
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mercoledì 15 novembre 2017
Lydya PrinceLydia Christensen (1890-1975) era nata nello Jutland settentrionale, all’estremo nord della Danimarca, in una famiglia benestante ed era la più giovane di tre sorelle. Suo padre era un costruttore di successo che aveva concorso in modo rilevante allo sviluppo di Bronderslev, la loro città natia. Lydia era un’insegnante statale e, nel 1925, aveva ottenuto un posto di dirigente dell’economia domestica in una grande scuola nuova a Korsor. Mentre cercava  di dare un senso alla sua vita, cominciò a leggere la Bibbia ricevendo una visione di Cristo Gesù che la condusse alla salvezza ed al battesimo nello Spirito Santo abbandonando la Chiesa Luterana della Danimarca. Dopo mesi di preghiera assidua e in attesa della rivelazione della volontà di Dio, si convinse che il Signore le stesse chiedendo di rinunciare alla cattedra d’insegnamento e di andare a Gerusalemme. Nell’ottobre del 1928, all’età di trentotto anni, partì per la Palestina con meno di S200 in assegni turistici, nessuna missione o chiesa che la sostenesse e nessuna idea di quel che avrebbe fatto una volta arrivata. Si sistemò subito, imparò l’arabo e fondò una casa di accoglienza per bambini, diventando l’adorata madre di decine di orfani ebrei ed arabi, per la maggior parte femmine. ...
 
Col matrimonio, Derek diventò padre delle otto figlie ufficialmente adottate da Lydia: sei ebree, una araba palestinese e un’inglese. Insieme alla famiglia assistette alla nascita dello stato d’Israele nel 1948, dopo la quale i Prince partirono per Londra, dove Derek diventò pastore di una chiesa. Verso la fine degli anni 50 la coppia adottò un’altra figlia, Joska, mentre Derek era preside di un collegio in Kenia. Nel 1963 i Prince emigrarono negli Stati Uniti e guidarono una chiesa a Seattle. I Prince guidarono congregazioni, insegnarono e condussero il ministero durante la loro vita trascorsa insieme in Inghilterra, Kenia , Canada e negli Stati Uniti. Dopo essersi stabiliti a Fort Lauderdale, Florida, cominciarono i loro viaggi internazionali mentre Derek predicava e insegnava la Bibbia in molte nazioni. in tutti quegli anni Lydia si prese cura della sua famiglia, lavorando instancabilmente e fedelmente a fianco di Derek. Dopo un infarto e due anni di malattia, Lydia Prince morì nell’ottobre 1975. La sua dipartita fu profondamente rimpianta della sua famiglia e da migliaia di persone nel mondo dalle provenienze più svariate, le cui vite erano state toccate nei suoi cinquanta anni di ministero entusiasta, compassionevole, costantemente impegnato nella preghiera.  Lidya nel suo bellissimo libro di ricordi biografici “ Appuntamento a Gerusalemme” narra di un particolare intervento protettivo degli angeli quando negli anni 30 del secolo scorso il conflitto civile tra arabi ed ebrei comportò la mancanza di acqua per diversi giorni e lei e la sua prima bambina ebrea adottata Tikva dovettero andare a procurarsela a rischio della vita. Scrive la missionaria pentecostale: “Verso le 7.30 Tikva si svegliò. Le sue prime parole furono, “ Latte, mamma!” Ma naturalmente non c’era latte. La sollevai dalla culla e me la misi sulle spalle. Nonostante fosse sofferente , le si illuminò il viso. Mamma stava giocando di nuovo! Prima di scendere le scale, mormorai una breve preghiera. “ Signore Gesù, proteggici!” In  quel momento mi ricordai della frase di chiusura  nella lettera di Erna Strorm : “ Ti sosteniamo in preghiera con la promessa del Salmo 34:7: L’angelo del SIGNORE si accampa intorno a quelli che lo temono, e li libera. Quando avevo letto la sua lettera non avevo preso in considerazione quanto avessi bisogno della sua promessa! E così, con le gambe di Tikva attorno al collo e le sue mani strette sulla mia fronte, mi avviai in direzione di Musrara. Il sole  di prima mattina era già sgradevolmente caldo, mentre brillava sulle case serrate e le strade vuote. Quello strano silenzio era più snervante del caldo. Perfino un cane o un gatto sarebbero stati un incontro gradito . quasi ogni cento metri m’ imbattevo in una barriera di pietre e altri detriti accatastati lungo la strada. Con difficoltà in parte li scalai e in parte mi arrampicai sopra, sempre tenendo Tikva sulle spalle. Dopo circa un chilometro arrivai a una barricata alta quasi un metro più delle altre, che mancava di divisione tra la zona ebraica e quella araba. Cominciai ad arrampicarmi, ma a metà percorso il piede sdrucciolò su una pietra e scivolai di nuovo giù, con Tikva che quasi stava cadendo dalle spalle. Rendendomi conto che le forze mi stavano abbandonando, misi la bambina a terra e mi sedetti accanto a lei su di un masso. Mi sentivo abbastanza sicura di poter scalare la barricata, ma come avrei fatto con Tikva? All’ improvviso ebbi la strana impressione di non essere più da sola. Ogni muscolo del mio corpo era teso. Mi girai di scatto, mi trovai  di fronte un giovane  in mezzo alla strada, a pochi passi da me. Mi salì un grido alle labbra, ma prima che potessi emetterlo, il giovane aveva preso Tikva e se l’era messa sulle spalle nella stessa posizione in cui la portavo io. Poi, senza sforzo apparente, scalò la barricata. Sollevata dal peso di Tikva , riuscii ad arrampicarmi dopo di lui. Appena ebbe scalato, il giovane stava sulla strada con Tikva sulle spalle ed io che lo seguivo dietro di qualche passo. Cercando ancora di capire quello che stava accadendo, lo guardai più attentamente. Era alto circa un metro e ottanta, vestiva un abito di stile europeo. Certo non era arabo. Forse un ebreo. Da dove era venuto? Com’era apparso così all’improvviso al mio fianco? La cosa che mi sorprendeva di più era il comportamento di Tikva. Di solito, se un estraneo tentava di prenderla  in braccio cominciava  a piangere. Ma non l’avevo sentita protestare da quando il giovane l’aveva presa . cavalcava contenta sulle sue spalle, come faceva con me. Per la verità sembrava che si divertisse! Il giovane continuò ad andare avanti a grandi passi senza esitazioni sulla strada da seguire e prese la via più diretta per Musrara. Ogni qualvolta arrivavamo a una barricata, scalava davanti a me, poi aspettava all’altro lato rassicurandosi che l’avessi fatto anche io in sicurezza. Infine  si fermò proprio di fronte alla casa della signora Ratcliffe, mise Tikva giù, si girò e ricominciò a percorrere la strada per cui eravamo venuti. Per tutta la durata del nostro percorso non aveva detto un asola parola, né all’arrivo né alla partenza. In un minuto lo persi di vista. Ancora sorpresa se l’intero episodio era un sogno o realtà, presi Tikva in braccio, salii le scale verso la porta della signorina Ratcliffe e cominciai  a bussare. “ Chi è? Che cosa volete?” Una  voce gridò in arabo. “ Sono  io, Maria! La signorina Christensen! Per  favore, fammi entrare!” “ Signorina Christensen!” Maria tirò un sospiro udibile. Sentii  poi che lo ripeteva a quelli di casa: “ C’è la signorina Christensen! Sta davanti alla porta!” Seguirono una serie di rumori: mobili pesanti spostati indietro, un paletto che veniva tolto. Alla fine la porta si aprì e Maria prese Tikva dalle mie braccia. “ Grazie a Dio siete salva!” disse la signorina Ratcliffe dietro di lei. “ Per due giorni ci siamo preoccupate di quel che poteva esservi accaduto”. All’improvviso mi resi conto che l gambe non mi reggevano più . con la sola forza di volontà raggiunsi il divano e mi lasciai cadere . “ Acqua, per piacere!” dissi. Con Tikva ancora in braccio, Maria corse fuori e ritornò un minuto più tardi con un bicchiere di acqua. Niente di quanto avessi bevuto nella mia vita aveva un sapore più buono. “ Come siete arrivata qui?” La signorina Ratcliffe insistente. “ Abbiamo  telefonato alla stazione di polizia ed abbiamo chiesto di mandare una ronda per voi, ma ci hanno risposto che era impossibile per chiunque entrare a Mahaneh Yehuda.” Descrissi il viaggio ed il giovane che era venuto in mio aiuto. “ El-hamd il- Allah!” esclamò Nijmeh, battendo le mani con eccitazione. “ Dio ha risposto alle nostre preghiere” Gli abbiamo chiesto di mandare un angelo a proteggervi e certamente è quello che Egli ha fatto”
 
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