LA PRESENZA DEGLI ANGELI NELLA CHIESA NASCENTE di don Marcello Stanzione |
Scritto da Amministratore | |
giovedì 02 febbraio 2017 | |
Nel giorno dell’Ascensione, si è reso necessario che gli angeli scuotessero gli apostoli, colpiti da stupore, e che rimanevano a guardare il cielo dove era sparito Gesù. Ma la loro incertezza non è stata di lunga durata, Confortati dalla venuta dello Spirito Santo, i discepoli che, due mesi prima, si nascondevano paurosamente, avendo bloccato tutte le porte del loro rifugio e pensando solamente a far dimenticare i loro legami con il Galileo, vanno sulle pubbliche piazze ed arringano la folla. Rovesciamento di situazione che assidera le autorità ebraiche. Il 9 aprile quando le guardie poste in funzione davanti alla tomba del Crocifisso erano venuti a fare il loro rapporto, spiegare che un angelo aveva fatto saltare la pietra dell’entrata dopo averli atterrati, e che il cadavere che essi dovevano sorvegliare era sparito, il Sinedrio si era accontentato di pagare questi uomini perché tacciano, ingiungendo loro, se le autorità romane li interrogavano, di rispondere che si erano addormentati e che i discepoli avevano approfittato del loro sonno per rubare il corpo. ...
... Di fatto, i Sinedriti contavano bene che essi non sentirebbero più parlare né di Gesù di Nazareth né della banda dei suoi seguaci che l’avevano seguito fin dalla Galilea. Cosicché il molto saggio, molto accorto e molto rispettato Rabbi Gamaliele lo ricordava qualche settimana più tardi, non era la prima volta che un agitatore, pretendendosi profeta o messia, sorgeva da un popolo esasperato dall’occupazione straniera ed in preda a degli eccessi di febbre nazionalista. Ogni volta, la morte del capo aveva disperso i suoi partigiani. Quelli del Galileo sembravano non fare eccezione, come lo provava il loro lamentevole atteggiamento al momento dell’arresto del loro Maestro, la loro assenza al suo processo e sul luogo del suo supplizio. Ed ecco che questi miserabili codardi, dapprima solo scrupolosi di riguadagnare la loro regione di Tiberiade senza farsi pizzicare dalle autorità, si mettevano a raccontare le loro elucubrazioni agli angoli delle strade... Il colmo era che avevano un successo pazzo, rinforzato dai miracoli che essi operavano lungo la giornata. Il Sinedrio decise di perseguirli. La persecuzione fu scatenata contro la Chiesa a Gerusalemme ; uno degli allievi di Gamaliele, uno studente brillante, originario della città di Tarso, chiamato Saul o Paulus, perché aveva la cittadinanza romana, se ne fece il braccio armato. Stefano, un discepolo originario della comunità ellena della Diaspora, stava per essere la prima vittima. Numerosi altri seguirono, tra cui Giacomo (Di fatto, San Giacomo il Maggiore, in quanto Galileo e soggetto ad Erode, fu assassinato su ordine di questo re che, detestato dagli ambienti religiosi, sperava riconciliarseli perseguitando i cristiani, senza dubbio nel 44), il fratello maggiore di Giovanni, che dirigeva la comunità gerosolomitana. E’ allora che intervenne l’arresto di Pietro. Non era la prima volta che il capo degli apostoli si ritrovava in prigione per il suo zelo nel predicare il Vangelo. Ma il contesto era differente. Prima, Pietro ne era sempre uscito libero con alcuni giorni di prigione, una comparizione davanti al Sinedrio, come con alcuni colpi di frusta. L’esecuzione di Giacomo provava che il tempo di questa relativa clemenza era passato. “Ora, la notte stessa prima del giorno in cui Erode doveva farlo comparire, Pietro era addormentato tra due soldati ; due catene lo legavano e, davanti alla porta, delle sentinelle custodivano la prigione. Subito, l’angelo del Signore venne, e la prigione fu inondata di luce. L’angelo colpì Pietro al fianco e lo fece alzare : “In piedi ! Presto !” gli disse. E le catene caddero dalle mani. L’angelo allora gli disse : “Mettiti la cintura e calza i tuoi sandali”, cosa che egli fece. Gli disse ancora : “Getta il tuo mantello sulle spalle e seguimi” : Pietro uscì, ed egli lo seguiva ; non si rendeva conto che era vero, quello che faceva l’angelo, ma pensava ad una visione. Attraversarono così un primo posto di guardia, poi un secondo, e pervennero alla porta di ferro che dava sulla città. Da se stessa, essa si aprì davanti a loro. Uscirono, andarono fino in fondo ad una strada, poi, bruscamente, l’angelo lo lasciò. Allora, Pietro, riprendendo i suoi spiriti, disse : “Ora so realmente che il Signore ha inviato il suo angelo e mi ha strappato dalle mani di Erode ed a tutto quello che aspettava il popolo Ebreo”. Questo racconto in sé è già pieno di interesse poiché fa chiaramente la differenza tra la visione, come Pietro ne ha già avuto in passato, e l’apparizione, così reale che l’apostolo sente il dito dell’angelo entrare nei suoi fianchi al fine di svegliarlo. Interessante ugualmente perché dimostra la sollecitudine angelica. Constatando che Pietro non comprende cosa gli accade e che è disorientato, l’angelo vigila a che si vesta, si calzi, e pensi a mettere il suo mantello, essendo fredde le notti di primavera in Giudea. Infine, questo testo mette in evidenza il potere dell’angelo sul mondo materiale, che si tratti di lasciare le guardie carceriere piombate in un pesante sonno, di fare cadere delle catene o di aprire le porte della prigione. Non è che arrivando nella strada che Pietro realizza che non sogna. Questa apparizione nella prigione e l’evasione di Pietro costituiscono il fenomeno angelico più spettacolare riportato negli Atti degli Apostoli, ma forse il più decisivo. In effetti, è in un altro campo, quello dell’apertura della Nuova Alleanza ai pagani, che gli angeli moltiplicano i loro sforzi. Filippo, uno dei Dodici, sente intimare dall’angelo del Signore di essere a mezzogiorno sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza. Là, nell’ora predetta, l’apostolo vede giungere il carro di un alto funzionario etiope, un eunuco della regina Candace. Quest’uomo, senza dubbio proselita dell’ebraismo e certamente pieno di buona volontà, è venuto in pellegrinaggio nella Città santa. Egli se ne ritorna, piombato nella lettura delle profezie messianiche di Isaia. Si desola di non comprenderle. Filippo, sotto ispirazione dello Spirito, avvicina l’africano e, partendo dalla spiegazione di Isaia, gli annuncia la Buona Novella prima di battezzarlo. Tale è la prima apertura, quasi accidentale, del cristianesimo al mondo pagano. Essa è dapprima senza seguito. Occorre niente meno che una grande offensiva angelica per aprire gli occhi degli apostoli. “Vi era a Cesarea un uomo di nome Cornelio, centurione della Coorte Italica. Pio e timoroso di Dio, come tutta la sua casa, egli faceva larghe elemosine al popolo ebreo e pregava incessantemente Dio. Egli ebbe una visione. Verso la nona ora del giorno, l’angelo di Dio, egli lo vedeva chiaramente, entrò a casa sua e lo chiamò : “Cornelio !”. Egli lo guardò e fu preso da fragore. “Che c’è, Signore ?” chiese. “Le tue preghiere e le tue elemosine, gli rispose l’angelo, sono salite davanti a Dio, ed Egli si è ricordato di te. Ora dunque, invia degli uomini a Gioppe e fai venire Simone, soprannominato Pietro. Egli alloggia a casa di un certo Simone, un tessitore la cui casa si trova in riva al mare”. Da parte sua, Pietro, che pregava sul tetto della casa del tessitore, ha una strana visione : una grande tovaglia scende dal cielo, colma fino all’orlo di tutti gli animali che la legge ebraica vieta di mangiare. “Una voce allora gli dice : “Andiamo, Pietro, immola e mangia”. Ma Pietro rispose : “O no, Signore, perché io non ho mai mangiato niente di sporco o di impuro !”. Di nuovo, una seconda volta, la voce gli parla : “Quello che Dio ha purificato, tu non lo chiamare sporco”. Non è che all’arrivo degli inviati di Cornelio che Pietro comprende quello che Dio aspetta da lui. Egli li accompagna a Cesarea. Convinto che non deve chiamare nessun uomo impuro, e che “Dio non fa eccezione di persone ma che in ogni nazione colui che Lo teme e pratica la virtù gli è gradito”, avendo visto lo Spirito discendere su questi stranieri, nemici di Israele, Pietro non può rifiutare loro il battesimo immediato. Gli angeli delle Nazioni continuano dunque il loro compito che è di condurre alla salvezza i popoli pagani che sono loro affidati, missione più facile di una volta, essendo il demonio schiacciato dalla Redenzione e non potendo più controbattere altrettanto efficacemente la loro azione. E’ in questa logica che si situa un sogno famoso di San Paolo. Da molte settimane, Paolo vede tutti i suoi progetti missionari fallire e pensa che Dio non aspetti da lui che egli evangelizzi l’Asia Minore. L’apostolo non sa più verso dove volgere i suoi passi. “Ora, durante la notte, Paolo ha una visione : un Macedone era là, in piedi, che gli rivolgeva questa preghiera : “Passa in Macedonia ! Vieni in nostro aiuto !”. Subito dopo questa visione, noi cercammo di partire per la Macedonia, persuasi che Dio ci chiamava per portarvi la Buona Novella”. La Tradizione ha sempre identificato questo personaggio anonimo in costume nazionale del suo paese con l’angelo custode della Macedonia. Sogni simili si ritroveranno nelle vite di altri grandi missionari, tra gli altri San Patrizio che sentirà un Irlandese reclamare il suo aiuto, e San Francesco Saverio, al momento della sua prima missione in India. La custodia angelica degli apostoli si manifesta in un’altra occasione. Paolo, deferito dagli Ebrei davanti alle autorità di Cesarea, si è appellato dall’imperatore, come la sua cittadinanza romana gliene dà il diritto. Occorre dunque trasferirlo in Italia. Nonostante ciò, benché l’autunno sia già avanzato, la sua scorta, per la fretta di arrivare, decide di continuare il viaggio per mare (I mezzi di navigazione antichi rendevano così pericoloso i viaggi per cattivo tempo che il trasporto marittimo in Mediterraneo era puramente e semplicemente sospeso da novembre a febbraio). Il tempo si guasta al largo di Creta e la nave, dopo quattordici giorni di angoscia, l’imbarcazione finisce per arenarsi sulla costa maltese. L’equipaggio ed i passeggeri si giudicavano perduti ; solo Paolo era di parere contrario : “Bisognava ascoltarmi, amici miei, e non lasciare Creta ; ci si sarebbe risparmiato questo pericolo e questo danno. Comunque sia, vi invito ad avere buon coraggio, perché nessuno di voi vi lascerà la vita, solo la nave andrà perduta. Questa notte, in effetti, un angelo del Dio al quale io appartengo e che io servo mi è apparso, e mi ha detto :”Sii senza timore, Paolo. Occorre che tu compaia davanti a Cesare, ed ecco che Dio ti accorda la vita di tutti quelli che navigano con te”. La presenza degli angeli nella nascente Chiesa è dunque visibile ed attiva. Le prime comunità, eredi spirituali dell’angelologia ebraica, non vi si sbagliano. Tuttavia, come Paolo non smetterà di sottolinearlo nelle sue lettere scritte alle varie comunità cristiane dell’epoca, la nuova fede è cristocentrica ed il mondo angelico deve essere lasciato in un posto secondario, benché eminente, di testimone, vigile e protettore. Questo accostamento prudente e ragionevole, scrupoloso di evitare, soprattutto negli ambienti pagani da poco convertiti al monoteismo, la risorgenza di quel biasimo dell’idolatria, non impedirà le derive. E’ per questo che la Chiesa si applicherà nel codificare la devozione angelica, nel sorvegliarla, come nel restringerla in modo drastico. Per cominciare, conveniva rendere un culto agli angeli? A dire il vero, nulla nella Scrittura vi si opponeva provvisto che gli Spiriti non beneficiano dell’adorazione dovuta a Dio solo. E non di più San Paolo, malgrado l’interpretazione (Taluni ambienti protestanti poggiano su questo passo per vietare ogni devozione angelica) che taluni volevano dare ad un passo della Lettera ai Colossesi : “Ma la realtà, è il corpo di Cristo. Che nessuno abbia a frustarne, compiacendosi in umili pratiche, in un culto degli angeli : quella dona tutta la sua attenzione alle cose che ha viste, gonfio come è di un vano orgoglio dal suo pensiero carnale, ed egli non si attacca alla testa...” (Lettera ai Colossesi 2,17-19). Quello che San Paolo aveva voluto impedire era di un altro ordine, come san Giovanni Crisostomo lo spiegava :”E’ che alcuni insegnavano che noi non possiamo e non dobbiamo andare a Dio da Gesù Cristo ma dagli angeli, perché Gesù Cristo è troppo al di sopra di noi. Ecco perché l’Apostolo inculca con tanta energia che Gesù Cristo è il nostro solo e vero mediatore” (Sesta Omelia sulla Lettera ai Colossesi). |
< Prec. | Pros. > |
---|