LA GRIBAUDI STAMPA “ 100 DOMANDE SULL’ALDILA’” dI Gianandrea de Antonellis |
Scritto da Amministratore | |
venerdì 02 dicembre 2016 | |
Incontrando don Marcello Stanzione, da decenni dedito alla divulgazione della dottrina angelica e con cui avevo già parlato di angeli, di diavoli, di anime purganti e di arcangeli , ho voluto affrontare un argomento che viene ingiustamente ignorato. Ma chiudere gli occhi di fronte alla realtà non serve ad evitarla: solo ad essere impreparati al momento di affrontarla.
Abbiamo bisogno di sacerdoti che ci aprano gli occhi, anziché di pastori che li chiudano, a cominciare dalla confessione: meglio essere avvertiti del pericolo che corriamo, anziché essere socialmente accettati e poi rischiare la dannazione eterna. Ma i sacerdoti che condannano i peccatori non sono più apprezzati… Pensiamo di avere una problema fisico, come l’obesità o il colesterolo alto: un medico ci impone una dieta rigida, fatta di rinunce a piatti prelibati (dolci, zucchero, panna, fritti, etc.); un altro, invece, ci dice di non preoccuparci, perché il colesterolo è dovuto a questioni psicologiche, allo stress, alle rinunce: meglio rilassarci e mangiare una bella fetta di sacher-torte, perché in caso di rinuncia il colesterolo addirittura aumenterebbe! Quale dei due medici risulterebbe il più simpatico? Non c’è dubbio, il secondo, quello lassista. Ma il nostro fine qual è? Se vivere anche poco, purché serenamente, non c’è problema. Se vogliamo invece vivere a lungo… forse dovremmo ascoltare il primo medico, quello all’antica, quello antipatico, quello che ci fa sentire in colpa se solo guardiamo una vetrina di dolci o aspiriamo gli effluvi di una friggitoria… ... Qualcosa di simile accade con la nostra vita: se siamo certi – su che basi, poi? – della mortalità dell’anima, ebbene, diamo pure retta a chi ci dice che i peccati non esistono, al confessore che ci dà in fretta e furia l’assoluzione, senza mai dirci che stiamo sbagliando e dobbiamo cambiare, che non vuole giudicare e che definisce la vita nel peccato un “atto di amore”. Se però aspiriamo ad evitare l’Inferno… allora forse dovremmo rileggere il catechismo dei nostri nonni! Mentre rivolgevo alcune domande a don Marcello, pensavo al mio carissimo zio Gino, che in quegli stessi giorni stava lasciandoci: la sua è stata quella che un tempo si diceva una “morte cristiana”, vale a dire serena, nella piena accettazione del proprio destino, circondato dall’affetto dei parenti e nel conforto dei Sacramenti. Ricordo un altro zio, che al contrario faceva professione di agnosticismo massonico, il quale paradossalmente ripeteva: «Una sola cosa chiedo a Dio: che quando sarà il momento mi faccia venire un colpo, facendomi morire senza che me ne accorga». Non “accorgersi” della fine, non soffrire: questa è la massima aspirazione di molti, concentrati sulla realtà fisica fino all’ultimo istante della loro esistenza e del tutto disinteressati alla sorte della propria anima nell’aldilà. Certo, nessuno si augura mesi di prolungate sofferenze (ma chi dice che non possano essere un anticipo delle pene del Purgatorio?), però la possibilità di avere qualche giorno, magari una settimana di cosciente degenza per accomiatarsi dai propri cari e per prepararsi spiritualmente al trapasso dovrebbe essere una prospettiva allettante. Invece, spesso si sente dire con sollievo dai parenti «non ha sofferto, non se ne è accorto: è passato dal sonno alla morte». Se ciò è avvenuto in grazia di Dio, buon per lui; se ciò è avvenuto in peccato mortale, forse qualche giorno di agonia gli sarebbe servito a riconciliarsi… Mi vengono alla mente un aneddoto e un’immagine legati all’importanza che si dava in passato – e che oggi non si dà più – ad una “buona morte”. Innanzitutto il racconto che mia nonna Emma faceva a proposito di un nobile, il quale si poteva permettere di alloggiare un sacerdote nel proprio palazzo della capitale ed un altro nel proprio castello feudale, in modo da assicurarsi il Viatico al momento della morte, ovunque essa fosse arrivata. Morì in carrozza, nel trasferimento da un luogo all’altro… E poi l’immagine: la vista di tanti soldati morti durante la prima guerra d’indipendenza, privati dei conforti religiosi, che turbò il beato Francesco Faà di Bruno (1825-1888). Quel triste spettacolo, però, lo ispirò a fondare la Congregazione delle Suore Minime di Nostra Signora del Suffragio, affinché pregassero costantemente per le anime finite in Purgatorio. Per finire, desidero riportare la conclusione del libretto di Marco Crisconio, il quale citando due rivelazioni soprannaturali, ricorda che «a Suor Faustina Kowalska, Gesù ha rivelato che la Divina Misericordia stabilisce che ognuno scelga l’Inferno in modo consapevole e libero, lasciandolo intendere come “un ultimo appello” prima della morte per ogni uomo. E a San Pio da Pietrelcina Gesù ha detto “La mia misericordia ha stabilito che nessuno vada all’Inferno senza che egli lo sappia e che lo voglia”». Non possiamo non dire di non essere stati avvertiti! Il libretto “ 100 domande sull’aldilà” edito dalla Gribaudi di Milano contiene l’intervista che don Marcello Stanzione mi ha rilasciato su Morte, Inferno, Paradiso e Purgatorio. |
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