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Evoluzione della figura angelica nell’arte paleocristiana di D. Estivil PDF Imprimir E-Mail
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lunedì, 19 de settembre de 2016
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angeliSi possono distinguere due epoche ben precise nello sviluppo dell’iconografia angelica. Prima  del V sec. La figura dell’angelo tende ad occupare un posto  di pari importanza rispetto a quella di cristo. Dal V sec. In poi, invece , essa perde il carattere di protagonista principale subordinandosi ad un insieme che, con diverse varianti, si sviluppa attorno alla figura del Cristo, di Maria o dei santi. Nel periodo compreso tra la fine del IV e l’inizio del V sec, si verifica anche un cambiamento iconografico nel passaggio dalla figura angelica aptera a quella alata. Secondo la tipologia più antica, gli angeli sono infatti raffigurati non solo senza ali, ma anche senza alcun attributo particolare che consenta una loro individuazione precisa se non grazie al contesto iconografico. La stragrande maggioranza di tali raffigurazioni rappresenta scene dell’Antico Testamento, nelle quali l’intervento divino si rende visibile attraverso le figure angeliche. ...
...L’uso di un repertorio iconografico veterotestamentario è altamente significativo di una committenza appartenete alla cerchia giudeo-cristiana, come nel ciclo iconografico del cubicolo B della Catacomba Nuova di Via Latina a Roma ( databile tra il 315 ed il 325), nel quale delle diciotto scene dell’Antico Testamento, relative agli interventi divini nella storia del popolo d’Israele, ben quattro contengono la rappresentazione di angeli: la teofania di Mamre, il sogno di Giacobbe, Balaam e l’angelo, l’espulsione di Adamo ed Eva dal Paradiso. Nell’arte peleocristiana la figura angelica aptera si presenta con il comune vestito dei personaggi sacri: la tunica larga manicata, il pallio e qualche volta il clavus. Una diffusa caratteristica del volto dell’angelo in questo periodo, è la barba, come nel frammento del coperchio del sarcofago di Publilia Florentina ( Museo Capitolino, inizio IV sec.) e nella scena di Daniele nella fossa dei leoni nel sarcofago “ Dogmatico” ( 330-337), Museo Pio Cristiano, n. 317427, Vaticano). Tale caratteristica fisionomica può essere sia un influsso di raffigurazione pagane ad esempio il genio del Senato Romano ( Kitzsche- Breitenbruch, 1976, 97- 102) sia un richiamo alla saggezza, alla virilità e all’onnipotenza divine che, secondo Clemente d’Alessandria, sono segnate da questo attributo maschile (cfr.  Il Pedagogo, III-3, PG VIII, 579-582). Particolare iconografico che determina la gestualità della figura angelica è la loquela digitorum, ossia l’uso delle dita per indicare le parole. A questo riguardo risulta interessante notare che, spesso, con le dita della mano destra, l’angelo indica il numero otto, il quale, nella simbologia paleocristiana, indica l’ottavo giorno, quello della resurrezione, come, tra i numerosi esempi, nell’angelo della scena di Daniele nella fossa dei leoni del sarcofago n. 31551 del Museo Pio Cristiano ( primo terzo del IV sec.). L’ agdoade  cristologia viene anche accettata tramite la lettera greca H ( eta) l’ottava dell’alfabeto allora in uso, la quale spesso compare nell’orlo del pallio, ad esempio, nell’angelo della scene di Balaam  del cubicolo B della Catacomba Nuova  di Via Latina. Il fatto che, insieme alle rare scene del Nuovo Testamento  vengano anche rappresentate episodi dell’Antico Testamento, contenenti la figura angelica ( richiamando a volte attraverso segni, il Cristo risorto), costituisce un elemento della massima importanza per comprendere come i cristiani dei primi tempi abbaino intravisto una certa analogia tra la figura dell’angelo del Signore nell’Antico Testamento e quella del Figlio di Dio nel Nuovo. Tale similitudine funzionale, altro non è che la manifestazione, a livello iconografico, della corrente teologica conosciuta col nome di “ Cristoangelologia” , che considerava Cristo come un angelo inviato dal Padre. Conseguentemente la teologia dell’angelo nell’Antico Testamento, quale prefigurazione del Verbo fatto carne nella Nuova Alleanza, troverebbe riscontro nella produzione artistica paleocristiana ( Estivill, 1994, 229-235). Nel  V sec. Diversi avvenimenti determinarono  cambiamenti nella fisonomia della figura angelica. In primo luogo, l’apertura definitiva della Chiesa al mondo dei “ gentili” fa sorgere nuovi temi iconografici relativi alla vita di Cristo e della Chiesa, lasciando nell’ombra il repertorio figurativo dell’Antico Testamento, in particolare quelle scene dove compare l’immagine dell’angelo. Inoltre la definizione del dogma cristologico ( Efeso 431, Calcedonia 451) determina, in campo teologico, l’abbandono della Cristoangelologia, ormai assunta dall’ eresia gnostica, mentre in campo artistico matura la necessità di distinguere tra l’angelo e Cristo, sottolineando la spiritualità pura nel primo e la condizione di Verbo incarnato, nel secondo. A tale motivo si deve, tra l’altro, l’aggiunta delle ali. Già Tertulliano considerava le ali come un attributo distintivo degli angeli e dei demoni ( Apologeticum, XXII,8). Che l’acquisizione di questo attributo sia frutto di un influsso delle raffigurazioni alate dell’arte pagana sembra fuori discussione, me è proprio a partire dalla necessità di distinguere Cristo dalla figura angelica che possiamo comprendere il cambiamento iconografico. Tra le figure alate alle quali sicuramente  attinsero  gli artisti cristiani è da ricordare la Vittoria, l’Eros psycophoros, i geni alati, la personificazione di Psiche, la personificazione dei venti ( Berefelt, 1968, 21-6; Marini Clarelli, 1984, 83-93; Bussagli, Storia degli angeli, 1991, 63-71 90-140). L’Acquisizione delle ali come attributo della figura angelica, tra la fine del IV e l’inizio del V sec. Segna dunque un momento decisivo nel processo dell’evoluzione figurativa, poiché da allora è sempre di più, questo elemento apparterrà in modo quasi esclusivo agli angeli, distinguendoli dagli altri personaggi sacri. Con l’ufficializzazione della fede cristiana come religione di Stato alla fine del IV sec., gli angeli entrano a far parte di uno schema iconografico che, rispecchiando il cerimoniale imperiale , istituisce un parallelo fra la corte terrena  e quella celeste. Si applica allora a Cristo e agli angeli la classica disposizione del pendant a somiglianza della figura imperiale e dei membri di corte; questa iconografia di carattere trionfale, già presente alla fine del IV sec. Nell’arcosolio degli angeli della Catacomba di S. Sebastiano ( ex Vigna Chiaraviglio, Roma), s sviluppa pienamente nei secoli successivi, come è ben visibile nella miniatura dell’Ascensione di Cristo nell’ Evangelario di Rabbula del 586. In questo senso è altamente significativa l’iconografia musiva di tre celebri monumenti ravennati. In S. apollinare Nuovo sia la Madonna in trono col logos che lo stesso Cristo in trono gemmato compaiono circondati da angeli che richiamano la disposizione della corte imperiale; in S. Vitale il Cristo glorioso assiso sulla sfera celeste viene affiancato da due angel8i che presentano il martire s. Vitale ed il vescovo Ecclesio; in S. Apollinare in Classe si possono riconoscere gli arcangeli Michele e Gabriele, ai due lati del catino absidale, vestiti con la clamide tipica dei dignitari di corte, i quali sorreggono il labaro con l’iscrizione del trisagion che fa eco al canto liturgico del prefazio eucaristico. In questa immagini, appartenenti alla fine del tardo antico, la figura angelica acquista definitivamente anche l’attributo del nimbo circolare attorno alla testa, elemento di origine asiatica e legato al culto della divinità solare, ma filtrato attraverso il linguaggio iconografico pagano romano, che lo utilizza per indicare l’autorità e la divinizzazione della figura imperiale. Nell’arte cristiana il membro non solo indica l’appartenenza del relativo personaggio al mondo celeste, ma anche, nel caso specifico degli angeli, la autorità e la sovranità di Dio, in nome del quale essi agiscono. ( aureola). Qualità figurativa introdotta per distinguere i diversi tipi o categorie angeliche è la cromaticità ( Kirschbaum, 1940, 209-248). Nel mosaico di S. Apollinare Nuovo di Ravenna ( IV sec.), nella scena rappresentate il brano evangelico di Mt 25,31-45 l’artista raffigura l’angelo buono, insieme alle pecore alla destra del Signore, con una tonalità rossiccia per indicare la perfezione dello spirito che viene assimilato al fuoco; rappresenta invece assimilato l’angelo cattivo,, insieme ai capri alla sinistra del Giudice, con una tonalità azzurrina, il colore dell’aria dove, secondo Ef 2,2, abitano i demoni. L’opera Hierarchia coelestis di Dionigi l’Areopagita (V sec.), esponendo una chiara classificazione della gerarchia angelica in base alla cifra chiave “ tre”, provvede l’iconografia dei secoli successivi di una base teologica per la raffigurazione dei cori angelici: prima gerarchia ( serafini, cherubini, troni), seconda gerarchia ( dominazione, virtù, potestà), terza gerarchia ( principati, arcangeli, angeli). Ma oltre a questa elaborata divisione dei cori angelici, fin dai primi tempi dell’area cristiana, esistono testimonianze figurative del culto ai tre arcangeli biblici: Gabriele ( potenza di Dio, nell’annunciazione a Maria: affresco dell’arenario della Catacomba di Priscilla a Roma, fine II sec.); Raffaele ( Dio ha guarito, nella raffigurazione di Tb 6,2: bassorilievo del sarcofago di Balaam, IV sec. , Catacomba di S. Sebastiano a Roma); Michele ( chi è come Dio, protettore del Popolo di Dio e principe dell’esercito degli angeli: negli antichi bassorilievi nella basilica di S. Michele al Gargano, VIII-IX sec.). le immagini di questi tre arcangeli sono quelle più frequentemente raffigurate nella storia  dell’arte cristiana, e ciò a partire dalle disposizioni del Concilio di Aquisgrana del 789 ( Capitularia Regum Francorum, Paris 1677, I 220, n. XVI). Secondo tali disposizioni il culto angelico veniva limitato a questi soli tre personaggi, con esclusione degli angeli ed arcangeli di origine apocrifa.
 
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