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COSA SIGNIFICA “Piena di grazia”? Di Antonio Adinolfi

28 Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”.
29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.
30 L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio”. (Lc, 1)
 
 “Piena di grazia” è l’appellativo con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria, quasi fosse una sorta di nome proprio (cosa che l’esegesi devota si premura di sottolineare, per rendere il termine ancor più pregnante). L’espressione italiana è la traduzione fedele del “gratia plena” della versione latina di san Gerolamo (la famosa “Vulgata”). Ma il testo greco ha una forma diversa: una sola parola, kecharitoméne, che è un participio del verbo charitóo. ...
... Orbene, motivi teologici hanno indotto a enfatizzare oltremodo la presunta intraducibile ricchezza di significato di tale parola. Vale dunque la pena di fare qualche osservazione controcorrente.
 
1) In primo luogo vi è quella che potremmo chiamare “la questione della pienezza”. Il verbo greco charitóo significa letteralmente ‘dotare di grazia’; ‘empire di grazia’ (Rocci) è una valenza intensiva non sempre riscontrabile.“I verbi in –óo indicano una straordinaria pienezza, diceva il mio docente di greco biblico”, ricorda padre Livio Fanzaga; ma adesempio Schürmann scrive che essi “possono esprimere, ma non necessariamente, la pienezza”.

Nota :  Innanzitutto non bisogna scrivere << i verbi in  –óo >>  perché dopo la stanghetta: – le due vocali óosignificano desinenza. Invece la desinenza è solo omega, la seconda o ( che più avanti l’ autore dell’ articolo traslittererà bene con << ô >>,ma…una sola volta).  La prima << ó >>, accentata, è l’ultima lettera del tema. Bisognava scrivere dunque ó-ô. Comunque…Poi ci siamo chiesti riflettendo sulle opinioni di Rocci e di Schürmann che<<i verbi in ––óo possono esprimere, ma non necessariamente, la pienezza>>:chi stabilisce quando  i verbi in ó-ô esprimono e quando non  esprimono pienezza ? Continuiamo con l’articolo:

Assurdo pertanto dire che la traduzione latina (“gratia plena”, come abbiamo visto) del participio kecharitoméne non rende adeguatamente il senso della “pienezza”, ossia della sovrabbondanza di grazia di cui è stata dotata Maria. “Piena di grazia”, al pari di tutte le traduzioni moderne che ricalcano quella latina, dice semmai di più, non di meno: “Il  ‘gratia plena’ della Vulgata permette un’interpretazione più profonda” (Schürmann).

Nota:  Si sottolineano le parole di padre Livio Fanzaga avallandole alla fine con un’ affermazione di Schürmann. MaSchürmann citato come colui che aveva sostenuto<<che  i verbi greci in –óo  potevano esprimere, ma non necessariamente, la pienezza >> ora viene citato come uno degli studiosi che ammettono che << la traduzione latina “gratia plena” del participio kecharitoméne“permette un’interpretazione più profonda”dell’ espressione “piena di grazia”.  Continuiamo con l’articolo:

Del resto, il quarto vangelo qualifica il Verbo stesso come - alla lettera - “pieno di grazia”: pléres cháritos (Gv 1,14).
L’intento dell’apologetica è chiaro: mostrare che il termine greco attribuisce a Maria una dotazione di grazia incomparabile; e ciò allo scopo di farne un fondamento atto a reggere, col solo sussidio del cosiddetto “protovangelo” (Gn 3, 15), il peso del dogma dell’Immacolata. Ma, a parte ogni disquisizione filologica, non si può non osservare che anche quando noi diciamo “colmare qualcuno di lodi, di benefici” o simili, non intendiamo indicare una pienezza assoluta, un massimo letteralmente non superabile: chi è stato “colmato di lodi” può senz’altro riceverne altre. Si tratta di iperboli comunemente impiegate, e intese come tali da tutti i parlanti.

Nota: Le lodi e i benefici non sono qualcosa di permanente come la grazia. Un alunno può essere colmato di lodi dal professore per un compito difficile ben fatto. Ma è un<< essere colmato di lodi >> relativamente ad un compito. Questo non esclude che durante lo stesso anno scolastico o negli anni scolastici successivi possa svolgere ancora compiti buoni ed essere ancor più colmato di lodi o svolgerne di meno buoni e non essere più lodato. Essere preservati dal peccato originale invece significa avere << una pienezza assoluta, un massimo letteralmente non superabile >>. Non c’è iperbole ma realtà. Continuiamo con l’articolo:

Va poi detto che per alcuni autorevoli studiosi, pure di irreprensibile ortodossia cattolica, i verbi in –óo non si caratterizzano affatto per un’indicazione di “pienezza” ( nota : ma Schürmann non ha sostenuto pure  che << la traduzione latina “gratia plena” del participio kecharitoméne “permette un’interpretazione più profonda” dell’ espressione “piena di grazia” ? ): “Filologicamente, i verbi in –oô significano una trasformazione del soggetto …” Così R. Laurentin, citato da Rossé; il quale dal canto suo adotta la traduzione di I. de la Potterie: “trasformata dalla grazia”.
Tot capita, tot sententiae. Ovvero, diremo che abbiamo qui l’ennesimo esempio dell’ “inesauribile ricchezza della parola di Dio”.
 
2) Altra questione su cui l’apologetica insiste particolarmente è quella dell’asserita “origine remota” della grazia.
Essendo un participio perfetto (passivo), ( nota:  perché l’aggettivo << passivo >> è in parentesi? ) kecharitoméne indica l’effetto, perdurante nel presente, di un’azione compiuta nel passato; equivale quindi a ‘che è stata dotata (colmata) di grazia e lo è tuttora’. Tra parentesi, va precisato che la tanto enfatizzata intraducibilità del termine si riduce al fatto che, mentre esso - in quanto participio - può venire sostantivato (come accade appunto nel nostro caso), il suo equivalente italiano è una proposizione, che in quanto tale può venire impiegata solo predicativamente (“sei stata dotata …”) oppure attributivamente, come relativa riferita a un sostantivo o a un pronome (“tu, che sei stata dotata …”).
Nota: Non ci risulta che un participio sostantivato possa essere tradotto come una relativa riferita a un sostantivo o a un pronome ma come una relativa che fa un solo corpo col sostantivo o col pronome. Esempio: nell’espressione: << Il comandante disse ai combattenti: Siete stati coraggiosi >> la parola << combattenti >> è participio sostantivato che significa << quelli che avevano combattuto >>. Non ci vuole la virgola tra << quelli>> e il << che >> pronome relativo. Così non si deve scrivere << Ave, o tu, che sei stata dotata  ( colmata) di grazia,… >> ma << Ave, o tu che sei stata dotata ( colmata) di grazia,… >>. Senza virgola tra << tu >> e << che >>.  Altrimenti il << che sei stata dotata ( colmata) di grazia >> diventa participio aggettivo di tu o come un’ apposizione di << tu >>. Perde la caratteristica di unico sostantivo che denomina la Vergine come un altro nome con cui oltre  << Maria >> la si poteva chiamare. L’angelo Gabriele non la chiamò << Maria >>  ma << o dotata ( colmata)  di grazia >> quasi fosse una sorta di nome proprio.  Continuiamo con l’articolo:
 
Comunque sia, dal fatto che il nostro termine indica un’azione avvenuta nel passato l’esegesi cattolica deduce, del tutto arbitrariamente, l’originarietà dell’azione che esso esprime, ossia del conferimento della grazia a Maria. Di qui l’affermazione che la Vergine ebbe la massima grazia possibile  “fin dal primo istante” della sua vita, ossia dal momento del concepimento (a differenza ad esempio del Battista, che si suppone sia stato santificato più tardi, nel grembo della madre). È evidente che tale asserzione, necessaria per definire il dogma dell’Immacolata, non ha il minimo fondamento filologico.

Nota: Il Battista non viene mai chiamato da nessuno, angelo o uomo che sia, comekecharitoménô. Al contrariokecharitoméne detto solo alla Vergine rende originale l’azione che  esprime. Kecharitoménô è un termine piuttosto raro nella Bibbia( cfr. Apologetica - "Il senso della parola greca "kecharitomene"...https://www.facebook.com/permalink.php?id=141549819223873...30 ottobre 2013 ).Continuiamo con l’articolo:

Si può citare a titolo di curiosità Stelvio Cipriani, che nel “Nuovo Dizionario di Mariologia”, alla voce “credente”, traduce bene kacharitoméne, ma dice che l’uso del perfetto “sta a significare un gesto di amore che non comincia adesso, ma ha le sue origini nell’eternità di Dio”.Nientemeno. Diremo allora che la grammatica greca si è arricchita del “participio perfetto passivo eterno”.

Nota: Dio è al di fuori del tempo, è il creatore del tempo. Si usa il passato, il presente e il futuro parlando di azioni di Dio in relazione a noi che nel tempo viviamo. Ripeto: in relazione a noi che nel tempo viviamo. Il participio perfetto indica che Dio aveva deciso in un momento precedente per noi all’ << Annunciazione >> l’Immacolata Concezione della Madre del Verbo. Ma per Lui che è al di fuori del tempo il peccato originale e    l’ << Annunciazione >> è come se accadessero in un solo momento. Continuiamo con l’articolo.
 
3) Kecharitoméne può essere semplicemente inteso, come non pochi commentatori in effetti fanno, in funzione di prolettico, ossia come anticipazione della particolare grazia che l’angelo sta per annunciare (cfr. v. 30: “… hai trovato grazia presso Dio”).

Nota: La funzione prolettica non si ha  quando nel periodo o nella frase in cui c’è l’elemento prolettico non è espresso chiaramente di che cosa l’elemento prolettico è anticipatore. L’espressione << piena di grazia >> non termina con << concepirai un figlio >>, ma con un presente: << il Signore è con te >>.  La Vergine non capì questo saluto e si chiedeva che senso avesse. Non capì il prolettico perché non c’era un prolettico di qualcosa che lei avrebbe dovuto fare o subire.Continuiamo con l’articolo:

Tale interpretazione si accorda assai bene con quanto si è detto nel capitolo precedente circa la pressione psicologica esercitata dal “rallégrati” che si vuole rivolto dall’angelo a Maria. Anche le ditte di cui si è parlato in quella sede dicono: “Lei è stato baciato dalla fortuna”, alludendo all’evento che si apprestano a comunicare, e prescindendo completamente dal fatto che il destinatario dell’annuncio possa dal canto suo trovarsi in un mare di guai.
 Il termine andrebbe allora tradotto con “toccata dalla grazia”, “[tu] che hai trovato grazia presso Dio”: con riferimento al futuro dunque, ossia alla prestigiosa missione che sta per essere annunciata, anziché al passato (il concepimento senza peccato originale). Il che equivale a dire che la grazia di cui si parla non sarebbe una grazia santificante, ossia una condizione permanente dell’anima, bensì una grazia attuale, una singola grazia - la straordinaria elezione a madre del Messia - che è appena stata concessa dall’Altissimo.

Nota: Essere baciati dalla fortuna non è la stessa cosa che essere resi pieni di grazia. Essere baciati dalla fortuna non è una condizione permanente. Continuiamo con l’articolo:

Ciò ha ovviamente gravi conseguenze per il dogma dell’Immacolata. Per questo tale interpretazione è contestata dalla maggioranza degli esegeti cattolici .
 
4) Kecharitoméne è, come si è detto, un participio perfetto passivo. Mi sembra giusto sottolineare il particolare, usando di quella finezza di cui tanto spesso dà prova l’esegesi devota, per mettere in evidenza la passività di Maria in tutta l’operazione che la rende degna di ospitare nel suo grembo il Redentore. Non “piena di grazia”, dunque, come dicono il latino e le lingue moderne, bensì “dotata”, “riempita” di grazia. La pienezza che si sostiene esprimano i verbi in –óo è qui una pienezza al passivo. La traduzione più adeguata, pur se poco reverente, sarebbe “imbottita di grazia”.

Nota: Tradurre << kecharitoméne >> che stavolta si accetta possa significare << riempita,imbottita di grazia >> con<< piena di grazia >> non è una traduzione errata anche se non letterale. Se una botte<<è stata riempita di vino >> non la si può forse definire << piena di vino >>? Continuiamo con l’articolo:

Tale sottolineatura, filologicamente ineccepibile, mette bene in risalto il privilegio – o meglio, la serie di privilegi – di cui ha fruito Maria. Non per nulla J. P. Audet ha addirittura proposto di tradurre kecharitoméne con “privilegiata”.
 
5) A questo punto, occorre fare la considerazione forse più importante, quella che da sola rende in fondo superflue tutte le altre.Viene da chiedersi che senso abbia insistere ossessivamente a sviscerare il contenuto semantico di una parola o di un’espressione per metterne in luce le più riposte sfumature (che si pretende siano solo imperfettamente esprimibili in altre lingue), quando è escluso che tale parola sia stata effettivamente pronunciata dal personaggio a cui l’evangelista l’attribuisce. L’angelo apparso a Maria sicuramente non parlò greco; perciò tutti i pretesi tesori di significato - legati a certe peculiarità della lingua greca - che noi possiamo scoprire in kecharitoméne (per utilizzarli poi nella costruzione teologica) non hanno nulla a che vedere con quel che realmente accadde duemila anni fa in una casa di Nazaret. Maria non può aver mai rivelato a Luca o agli informatori di Luca che Gabriele la salutò con questo epiteto.

Nota: quali prove si hanno per affermare questo? Luca dice che ha scritto il suo Vangelo dopo aver fatto ricerche accurate. Il suo Vangelo inizia così: << Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi [2] come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, [3] così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, [4] perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto >>. Continuiamo con l’articolo:

Kecharitoméne l’ha pensato l’evangelista, ovvero l’ha raccolto da una tradizione nata in ambiente grecofono; in ogni caso noi non possiamo sapere che cosa ci fosse, nelle parole dell’angelo, al posto di questo termine.
 
Nota:O l’evangelista Luca << ha pensato lui >> di rendere con la parola greca << Kecharitoméne >> la parola ebraica  con cui l’arcangelo Gabriele aveva chiamato la Vergine e allora avrà avuto le sue ragioni oppure << ha raccolto da una tradizione nata in ambiente grecofono >> una parola che spiegava che cosa voleva significare la parola ebraica con cui l’angelo Gabriele aveva chiamato la Vergine. E allora ci chiediamo perché i grecofoni hanno deciso di usarla ed anche perché Luca ha deciso di accettarla senza problemi.Evidentemente perché meglio rendeva il senso della parola ebraica con cui l’arcangelo Gabriele aveva chiamato la Vergine.Continuiamo con l’articolo:

Ce lo dice anche G. Rossé, che ne trae poi le conseguenze con riferimento a tutto l’episodio (sia pure, pudicamente, in una nota a piè di pagina). Dopo aver fatto notare l’intraducibile allitterazione tra “Chaire (da Chara = gioia) e kecharitoméne (da Charis = grazia)”, così commenta: “È un argomento serio in favore dell’origine ellenistica (forse redazionale [ossia lucana]) del brano, che quindi non sembra essere la traduzione di una fonte aramaica o ebraica. Non risale allora a qualche resoconto storico: Maria con ogni probabilità non parlava il greco!”. Viva la sincerità.
 
6) A questa considerazione l’apologetica può ancora ribattere che, in ogni caso, è lecito supporre che Luca abbia mirabilmente reso, con quel participio greco, il senso delle parole aramaiche dell’angelo.
Da quanto si è detto fin qui può sembrare infatti che il termine sia una coniazione personalissima dell’evangelista, o comunque una parola rara e impiegata esclusivamente per esprimere una condizione di alta spiritualità.
 
Nota: Origene († 254) rilevò  che la formula del saluto angelico non si trova in nessun altra parte della Sacra Scrittura: Egli scrive:<< Non ricordo dove si possa leggere altrove, nelle Scritture, la frase pronunciata dall’angelo: «Ave, piena di grazia» (Lc 1,28), che in greco si traduce «kecharitoméne ». Mai tali parole «Ave, piena di grazia» furono rivolte ad essere umano: un tale saluto doveva essere riservato soltanto a Maria >. ( Cfr. In Lucam hom. 6, 7, PG 13, 1816 ). Continuiamo con l’articolo:

Niente di tutto questo. Nel dizionario di Lorenzo Rocci, kecharitoménos (di cui kecharitoméne è la forma femminile), participio di charitóo, viene qualificato sinonimo di kecharisménos, di cui si dà la definizione di “attraente; grato; piacevole, ecc.”.Sotto il lemma charitóo, poi, per il participio kecharitoménos si danno come equivalenti “venusto” e “grazioso”; con riferimento a una donna, si dà per la variante testuale di Sir 9, 8 nella versione dei Settanta (e si tratta, ricordiamo, di una donna da cui l’uomo deve guardarsi per non esserne sviato!) il significato di “affabile” (per il passo di Luca, ovviamente, il canonico “piena di grazia”).

Nota: Dio avrebbe mandato l’angelo Gabriele a una donna  perché….affabile a dirle << il Signore è con te >> e poi << concepirai un figlio ?>>.Continuiamo con l’articolo.

E poiché ‘venusto’ vale “bello, pieno di grazia e leggiadria” (De Mauro), possiamo concludere che kecharitoméne era correntemente usato, in riferimento a una donna, con una gamma di significati che corrisponde a quella del nostro aggettivo “bella”.
Il fatto che il contesto dell’Annunciazione sconsigli una traduzione “profana” non toglie che sia del tutto fuori luogo considerare il nostro termine come avvolto da un’aura di arcana sacralità.

Nota:Non è una conclusione inoppugnabile  che  la parola << venusta >> siccome significa << bella, piena di grazia e leggiadria >> sia correntemente usata per fare  un complimento a una donna. Almeno oggi non si sente dire ad una donna bella o piena di grazia:  <<Oh, come sei venusta >>. Si usa correntemente un aggettivo, non tutti i suoi sinonimi. Si dice correntemente:  << Sei un adulatore, un leccapiedi >> ma non << sei un affetto da piaggerìa>> che è la stessa cosa. L’espressione:<<Il fatto che il contesto dell’Annunciazione sconsigli una traduzione “profana” non toglie che sia del tutto fuori luogo considerare il nostro termine come avvolto da un’aura di arcana sacralità >>sorprende.Continuiamo con l’articolo:

Ma si può fare un’ulteriore considerazione, provocatoria ma inoppugnabile: se consideriamo che cháire – a prescindere da una possibile allusione biblica da parte di Luca – era, come si è detto, una comune formula di saluto che veniva impiegata al momento dell’incontro vediamo che “Cháire, kecharitoméne” può legittimamente venire considerato un equivalente del nostro “Ciao, bella”. Formula, quest’ultima, non necessariamente usata per apostrofare una vistosa bellezza incrociata sulla pubblica via: si può impiegarla anche per rivolgersi con simpatia ed affetto a una bambina o a una fanciulla.
 
Nota: Dio avrebbe mandato l’angelo Gabriele a dire<< Ciao, bella, il Signore è con te >> a colei che voleva fosse la Madre di Cristo? Continuiamo con l’articolo.

Sta di fatto che “cháire, kecharitoméne” è un’allocuzione che sarà risuonata parecchie volte sulle labbra di innumerevoli cittadini grecofoni della koinè sullo scorcio del primo secolo a. C.

Nota: Ci vogliono prove, documenti greci del primo secolo a. C. non un << sarà risuonata >>. Nella Bibbia solo alla Vergine Maria viene dettokecharitoméne ( cfr. il passo di Origene sopra citato).Continuiamo con l’articolo.


E nessuno avrà pensato ad “abissi di luce abbagliante”, come fantastica certa apologetica.Se dunque Luca avesse voluto veramente indicare, mediante le parole usate dall’angelo nel rivolgersi a Maria, lo statuto specialissimo della Vergine privilegiata dal Cielo sin dalla nascita in vista del suo ruolo di madre del Verbo incarnato, avrebbe certo scelto qualche espressione di uso meno corrente. Fermo restando naturalmente il fatto che l’angelo, non rivolgendosi a Maria in greco, non usò né cháire, né kecharitoméne.

Nota:Era di uso corrente  << kecharitoméne >>? Non  sembra. Continuiamo con l’articolo.
 
È infine opportuno segnalare una circostanza che è un po’ la cartina di tornasole di quanto si è appena detto: il continuatore diretto di kecharitoméne, ossia charitoméne (privo del morfema che nella lingua antica costituiva il raddoppiamento caratterizzante il perfetto, e con la vocale finale che suona i), è correntemente usato nel greco moderno. E, proprio come nel greco antico, il termine indica una donna carina, attraente, seducente, dotata di charme.
 
Nota: Nel greco moderno vocaboli antichi possono accentuare sfumature di significato diverse da quelle che avevano nell’antichità.Addirittura possono mutare significato. <<Ad esempio la parola ministro ha assunto, col passare del tempo, un significato molto differente rispetto all’origine. Minister in latino significava servitore.  Prese poi a indicare l’aiutante del re, per passare quindi al senso attuale di membro del Governo preposto ad un dicastero particolare>> ( cfr. C.Bosio <<Le parole che cambiano significato >>). Bisogna vedere che significato aveva una parola o un verbo nell’epoca in cui è stato scritto e non cento o duecento anni dopo. Figuriamocimille o duemila anni dopo. Inoltre una domanda: Dio avrebbe mandato l’angelo Gabriele a dire << il Signore è con te >> ad  una donna carina, attraente, seducente,dotata di charme? Dio avrebbe mandato insomma l’angelo Gabriele a dire << il Signore è con te >> a  Miss Galilea dell’anno O ?Continuiamo con l’articolo:

Strano destino per una parola che si pretenderebbe quasi pensata e creata ab aeterno da Dio per designare, in una sorta di “esclusiva”, la specialissima condizione della beata Vergine Maria: parola direttamente ispirata dal Cielo a Luca e custodita nel suo vangelo come una sorta di hapax degno della più alta reverenza. In realtà, (ke)charitoméne è da più di venti secoli sulla bocca di chi parla greco per dire di una donna quello che ogni donna ama sentirsi dire: che è bella, che attira l’attenzione dell’uomo.
 
Nota: Allora: kecharitoméne è un’espressione corrente ai tempi di Luca ma usata una sola volta da lui ( cioè come una sorta di hapax ) nel suo Vangelo. Ci chiediamo: perché Lucaha usato una sola volta un’ espressione corrente ( in realtà abbiamo visto che non solo in Luca ma in tutta la Bibbia è una sorta di hapax )?Continuiamo con l’articolo:

7) Una curiosità, per finire. Una straordinaria – e certo involontaria – conferma di quanto stiamo dicendo ci viene proprio da un campione dell’apologetica d’assalto.In “Mistero Medjugorje”, Antonio Socci, concedendosi la libertà di definire la Madonna bosniaca “la Bella Ragazza di Medjugorje”, ci spiega che questa espressione “si trova in un antico graffito di un pellegrino a Nazaret, nella basilica dell’Annunciazione dove si conservano tante testimonianze in greco e aramaico dell’amore per la Vergine. Questa scritta dice: "Qui sono venuto a venerare la Bella Ragazza"” (p. 206).Non sappiamo se la scritta sia in greco o in aramaico, e forse non lo sa neppure Socci. Ma i casi sono due: o l’antico graffitaro riportò tale e quale il (ke)charitoméne ( Nota: come si fa a dire questo se non sa neppure Socci se la scritta è in greco )del vangelo (e allora “Bella Ragazza” non è che la traduzione ufficiosa vulgata ad uso dei turisti) o provvide egli stesso a tradurre in questo modo, sulla base della propria competenza linguistica, il termine di Luca. ( Nota: come si fa a dire, se non sa neppure Socci se la scritta è in aramaico, cheil graffitaro aramaico conosceva il greco di Luca? )
In entrambi i casi, il nostro commento non può essere che uno: “Come volevasi dimostrare”.

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Per approfondire si consulti in internet:

1.     Articolo del padre domenicano Boguslaw Kochaniewicz :  << “Ave, piena di grazia, il Signore è con te” nell’interpretazione dei padri della Chiesa. >>. E’ in PDF.
2.    Giovanni Paolo II  discorso all’ << Udienza generale >> di mercoledì 8 maggio 1996.
3.    Bruno Simonetto:  << L’esenzione di Maria dal peccato di Adamo >> riflessioni su questo argomento trattato nel libro di Joseph Ratzinger:  << La figlia di Sion. La devozione a Maria nella Chiesa >>,Jaca Book, Milano,1979.
 
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