Per vivere serenamente è necessario glorificare Dio, riconoscendolo Padre di tutti gli uomini. Non si vuole asserire che gli esseri umani sono diventati così grado da arrogarsi il titolo di figli di Dio, ma che Dio si è degnato, come afferma Paolo VI, “curvarsi verso di noi fino ad autorizzarci a considerarlo, a saperlo nostro Padre”. Sembra inconcepibile che simili creature, quasi, piccoli atomi nell’oceano dell’universo, abbiano un rapporto di figliolanza con il creatore di ogni cosa, con l’Essere eterno ed infinito, con l’ineffabile e misterioso Signore del cielo e della terra. Ma è la realtà. Veramente esiste un rapporto di figli col Padre fra gli uomini e Dio. Effettivamente Dio è Padre: per creazione, per provvidenza, per redenzione. Per creazione in quanto Dio ha donato all’uomo qualcosa, che non ha dato a tutte le altre creature: la somiglianza con lui; all’origine del genere umano, invero, Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Genesi 1,26). Ogni uomo, quindi rappresenta in qualche modo Dio stesso, possiede caratteristiche divine (intelligenza, volontà, libertà, socialità, spiritualità). ...
... E’ questo privilegio della somiglianza a far sì che Dio sia propriamente “Padre” di tutti gli uomini, non soltanto dei credenti. Dio si rivela Padre anche con la provvidenza a favore di tutti. Difatti si prende cura delle creature umane servendosi del ministero degli angeli (persone soltanto spirituali intermedie tra Dio e gli uomini); ad essi ha affidato il compito della custodia e della difesa del genere umano: “Come i genitori scelgono delle guide e dei tutori per i figli che si accingono a viaggiare attraverso regioni insidiose e sentieri pericolosi, così il Padre divino, sul cammino che ci guida alla patria celeste ha voluto assegnare a ciascuno di noi un angelo che ci fosse accanto nei pericoli, ci sostenesse nelle difficoltà, ci guidasse tra le insidie, ci proteggesse negli assalti del male, in modo da non smarrirci dal retto cammino, vittime delle trame e degli agguati del nemico” . Vari testi biblici documentano l’esercizio continuo della tutela angelica a vantaggio degli uomini. Nel libro di Tobia si parla molto dell’angelo Raffaele nel ruolo di una guida benvenuta e misteriosa; egli si accompagna a Tobia come suo battistrada nel viaggio e lo riconduce incolume al padre Tobi, dopo averlo salvato dallo squalo vorace e sottratto all’assalto del demonio. L’angelo Raffaele ammaestra Tobia sui doveri della vita coniugale e ridona la vista al suo vecchio padre cieco. Il senso di questi avvenimenti appare chiaro, quando la misteriosa guida di Tobia rivela di essere l’angelo Raffaele, incaricato da Dio, come indica il nome, di alleviare le pene dei giusti nella prova; per questo invita i beneficiati a ringraziare il Signore: “Quando ero con voi, io non stavo con voi per mia iniziativa, ma per la volontà di Dio: Lui dovete benedire sempre, a Lui cantate inni…Ora benedite il Signore sulla terra e rendete grazie a Dio” (Tobia 12, 18-20). Tobi , allora, comprendendo ogni cosa, benedice e ringrazia Dio, identificandolo come padre: “E’ lui il Signore, il nostro Dio, Lui il nostro Padre, il Dio per tutti i secoli” (Tobia 13,4). Questo riconoscimento provoca grande serenità e gioia nella vita di Tobia, che arriva ad affermare: “Io esalto il mio Dio e celebro il re del cielo Ed Esulto per la sua grandezza” (Tobia 13,9). Un altro esempio biblico del mistero angelico in favore dell’uomo è quello della liberazione di Pietro dal carcere. Infatti fu proprio un angelo a svegliarlo dal sonno, a sciogliere le sue catene, ad imporgli di seguirlo finché l’Apostolo non si trovò in libertà (Cfr. Atti degli Apostoli 12, 1-10). Oltre al mistero angelico, vi è un’altra manifestazione della provvidenza divina verso l’uomo e attestata dalla Bibbia: l’esplicita dichiarazione d’amore di Dio per noi. Dio ha chiaramente dichiarato di prendersi, per sempre, cura dell’uomo; giammai potrà, quindi, accadere che Dio trascuri le sue creature: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai” (Isaia 49,15). Questa incisiva assicurazione della perenne memoria di Dio per ognuno di noi, nel versetto seguente, viene raffigurata da Isaia con la scultorea, concreta ed efficace immagine delle mani: “Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Isaia 49,16). La fedeltà dell’amore paterno di Dio per noi è indiscutibile non viene intaccata neppure dall’infedeltà umana. Infatti seguito alla colpa originale Dio affligge per giustizia il castigo ai nostri progenitori ma, contemporaneamente promette l’avvento futuro del Salvatore dell’umanità; inoltre interviene anche per la soddisfazione dei bisogni immediati della prima coppia umana: “Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e li vestì” (Genesi 3,21). Oltre che per creazione e per provvidenza, Dio è padre anche per redenzione. La massima prova dell’amore paterno di Dio per noi è quella della redenzione attuata mediante il sublime e misterioso Sacrificio dell’unico suo Figlio: Gesù Cristo. Proprio in virtù della Redenzione dal peccato noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e siamo stati fatti degni della grazia di Dio, ricevendo l,’adozione a suoi figli; perciò chiunque accoglie il Figlio di Dio, diventa, a sua volta, figlio di Dio: “A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Giovanni 1,12). Anche l’apostolo Paolo afferma che tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, come figli adottivi possono gridare: “Abbà, Padre” (Romani 8,15). Non è concepibile quindi, sapendo che Dio è un padre affettuoso e premuroso, cadere nella trappola dell’ansia e della disperazione. Non è ammissibile, accettando con serietà la verità della paternità divina, vivere prigionieri della depressione; bisogna, al contrario, energicamente reagire di fronte alle difficoltà della vita ed essere continuamente sereni e felici, ricordando che Dio sta sempre dalla parte dell’uomo anche quando permette l’esperienza della sofferenza. Dio, invero, mai vuole, direttamente, il dolore umano; a volte lo permette non per odio, ma per amore, desiderando tenacemente, anche se nel pensiero rispetto della libertà umana e senza alcuna costrizione, la conversione e la salvezza eterna di tutti gli uomini. Dio è sempre vicino all’uomo, perché: “Egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la sua mano risana” (Giobbe 5,18); per questo Tobi nella sua cecità così prega: “Io benedico Te, Signore Dio d’Israele, poiché tu mi ha castigato e tu mi hai salvato” (Tobia 11,14). In qualunque tribolazione, allora , non si deve mai pensare che Dio non si curi di noi o che non conosca le nostre afflizioni, poiché sta scritto: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà” (Luca 21,18); in altri termini bisogna vivere, sapendo che Dio vegli costantemente su tutti gli uomini, con coraggio e con serena e piena fiducia in Lui. Di Santo Lazzara Segnalazione di Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |