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IL PURGATORIO VISTO DA SANTA MATILDE DI HACKEBORN PDF Stampa E-mail

IL PURGATORIO VISTO DA SANTA MATILDE DI HACKEBORNMatilde nacque nel 1241, in seno ad una nobile famiglia di Hackborn , in Turingia, famiglia imparentata con l’imperatore Federico II e che aveva già messo al servizio di Dio, una figlia. Sembra che proprio durante una visita con la madre al convento di Rodersdorf, nella diocesi di Halberstadt, dove si trovava la sorella maggiore. La bambina (aveva allora 5 o 7 anni, secondo le varie cronache) chiese con fermezza di rimanere nel convento vicino alla sorella già monaca, ed alla quale fu affidata perché provvedesse alla sua educazione. La bambina oltre ad una intelligenza pronta e vivace dimostrò presto la sua inclinazione pere la vita monastica e quando la sorella, eletta badessa di Helfta, si spostò nel convento a lei affidato, la seguì nella celebre Abbazia Sassone. Viveva allora nel Monastero un’altra grande personalità religiosa, di qualche anno più giovane di Matilde, Gertrude, che sarà poi chiamata la Grande, e che con Matilde, aveva  più di un punto in comune. ... 

... Donna dio grande cultura, anche lei attratta dal richiamo mistico insieme ad altre tre donne fece del Monastero cistercense un vero faro di luce per i suoi contemporanei. Infatti, quasi nello stesso periodo sono ben quattro le personalità che lasciarono un segno tanto forte. Abbiamo così Gertrude, la sorella della nostra Santa Matilde di Hackeborn, Matilde di Magdeburgo e Gertrude la Grande, per merito loro il convento di Hefta ebbe una grande notorietà nel Medioevo. Sappiamo, da qualche accenno da lei stessa fatto nel suo “Libro delle Rilevazioni”, che fu maestra di canto nel coro della Cappella, e la musica, insieme ai libri, all’istruzione delle giovani monache e ai molti libri da lei scritti, riempiva la sua vita in un modo totale ed esclusivo. Dopo la morte della sorella, a cinquant’anni, confessò a due sue consorelle, tra cui forse la stessa Matilde la Grande, quella che era stato fino allora il suo segreto: cioè le cose meravigliose che Dio operava in lei da anni e che la rendevano così forte e sicura nella sua fede. Da queste confidenza nacque il “Libro della Grazia speciale” ( Liber specialis gratie) un capolavoro della letteratura mistica del Medioevo che la rese celebre in Germania e fuori. Morì silenziosamente nel 1299 nel rimpianto generale. Boccaccio testimonia che Firenze, già dal ‘300 conosceva il suo “Libro della Grazia Speciale” e qualche studioso di Dante, riconosce in lei la guida che il poeta incontra nel canto XXVIII del Purgatorio: “La donna soletta che si gìa cantando ed iscegliendo fior da fiore”. La Chiesa la festeggia il 19 novembre.
Un giorno in cui la Santa aveva fatto la Comunione, e offerto a Dio l’Ostia preziosa per la liberazione delle anime purganti, la remissione dei loro peccati e la riparazione delle loro negligenze, il Signore le disse: “Reciterai per esse il Pater, in unione con l’intenzione che ebbi nel trarlo dal mio Cuore per insegnarlo agli uomini”. In pari tempo l’ispirazione divina le svelò quanto segue: “Con le prime parole:
Padre nostro che siete nei cieli, si deve domandare che venga perdonata a quelle anime la mancanza di amore verso un Padre si adorabile ed amabile. La sua bontà, infatti, innalzò gli uomini ad un onore così grande che sono chiamati e in realtà sono figli di Dio; ma quelle anime al contrario non lo amarono né lo riverirono degnamente; gli rifiutarono il dovuto onore, spesso lo irritarono coi peccati, scacciandolo dal loro cuore dove Egli aveva fissato di regnare come nel suo cielo. Si deve pregare allora in unione con l’amorosa soddisfazione prestata dal loro innocente fratello Gesù, affinché in riparazione del peccato, il Padre accolga l’amore del divin Cuore del Figlio suo, ricevendo la riverenza e l’onore che gli vennero offerti dall’Uomo – Dio.
Il vostro nome sia santificato;  in supplemento della mancanza di rispetto che le anime usarono verso il nome di un Padre così buono; in riparazione del male che fecero nominandolo invano e dimenticandolo, ovvero rendendosi indegne con la loro vita perversa di portare quel nome di cristiano che loro veniva da Cristo, si deve domandare che il Padre si degni di accettare la perfettissima santità con la quale il Figlio suo esaltò il nome di Lui in tutti i suoi discorsi, e l’onorò con tutte le onere della sua Santa Umanità.
Venga il vostro regno. Con queste parole Gesù Cristo aveva l’intenzione di domandar perdono per le anime che non avessero abbastanza desiderato il Regno di Dio, né aspirato verso Dio medesimo il quale vuole essere cercato con diligenza, perché in Lui solo si trovano il vero riposo e il gaudio eterno. Si deve pregare allora il Padre di accettare il santissimo desiderio del suo amabile Figlio di aver codeste anime per eredi del suo regno, e di riparare col suo nome la loro tiepidezza nel bene.
Sia fatta la vostra volontà in terra come in cielo. Non avendo gli uomini preferito la volontà di Dio alla propria, né avendolo amato in ogni cosa, si deve con quelle parole pregare il Padre che dimentichi questa disobbedienza, in virtù dell’amatissimo Cuore del Figlio suo unito al suo nella prontissima sommissione con cui fu obbediente sino alla morte. Matilde conobbe in particolare che le persone spirituali molto peccano contro queste parole: “Sia fatta la vostra volontà”, perché molto di rado offrono pienamente a Dio la loro volontà e quando gliel’hanno offerta, spesse volte la riprendono. Perciò è grandemente necessario di fare menzione di quelle anime in questa domanda., perché la loro negligenza le ritiene, dopo la morte, in una grande lontananza da Dio.
Dateci oggi il nostro pane quotidiano.  Molte anime non ricevettero il nobilissimo e vantaggiosissimo Sacramento dell’Eucarestia con quel desiderio, quella divozione e quell’amore che si richiede, quindi se ne resero indegne; un maggior numero ancora non lo ricevettero che raramente o non lo ricevettero mai. Si deve pregare il Padre perché accetti in compenso quell’amore infocato, quell’ineffabile desiderio, quella grande santità e devozione con cui Gesù Cristo accetti la preghiera così amorosa che il Figlio suo fece per i suoi nemici.
Non c’indurre nella tentazione; vale a dire, perdonate a quelle anime di non aver resistito ai vizi ed alla concupiscenza e di essersi volontariamente immerse nel male, acconsentendo al demonio ed alla carne. Si deve pregare il Padre celeste che, in riparazione di tutte  queste colpe, accetti la vittoria che Cristo riportò sul demonio e sul mondo; che accetti parimenti tutt’intera la vita santissima del Figlio suo con le sue fatiche e le sue pene, e si degni di liberare quelle anime da ogni male e di condurle al regno della gloria che è Lui medesimo. Amen.
Quando la Santa ebbe recitata secondo queste intenzioni l’Orazione domenicale, vide una gran moltitudine di anime rendere grazie a Dio con eterna letizia per la loro liberazione. Matilde  avendo recitato per un defunto cinque Pater in onore delle sacralissime piaghe di Cristo, come si usa appena ricevuto l’avviso della morte di una persona, desiderava sapere qual sollievo l’anima ne avesse ricevuto. Il Signore le disse: “Ella ne ritira cinque vantaggi. Gli Angeli le porgono, a destra, protezione; a sinistra, consolazione; davanti, le danno la speranza; dietro, la confidenza; e di sopra, il celeste gaudio”.
Il Signore soggiunge: “Chiunque per un sentimento di compassione e di carità intercede per un defunto, ha parte a tutto il bene che nella Chiesa si compie per quello, e nel giorno in cui uscirà da questo mondo, troverà tutto questo bene preparato a sollievo e salute dell’anima propria”.
Durante la sua preghiera Matilde vide una volta l’inferno spalancato sotto i suoi piedi, e in quell’abisso una miseria ed un orrore infinito: serpenti, rospi, cani, orribili spettri di atrocissime fiere le quali crudelmente si laceravano a vicenda. Ella disse al Signore: “O Signore, chi sono questi disgraziati?”. “Quelli , rispose, il Signore, che non hanno mai voluto, neppure, per un’ora, pensare a me con dolcezza”. In un’altra circostanza, Matilde vide pure il purgatorio, dove erano altrettanti tormenti quanti sono i vizi di cui, le anime su la terra si fanno schiave. Gli orgogliosi cadevano senza posa da un abisso in un altro; quelli che erano stati infedeli alle loro regole ed alla loro professione religiosa, camminavano curvi come sotto un peso schiacciante. I golosi ed i bevoni giacevano per terra, privi di sensi e dissecati dalla fame e dalla sete, Quelli che avevano soddisfatto i loro desideri carnali, si fondevano nel fuoco come la carne ed il grasso sul braciere. Ogni anima soffriva la pena che si era meritata col suo vizio preferito. Ma quando la Santa ebbe pregato per loro, il Signore misericordiosamente ne liberò una copiosa moltitudine.
Quando l’anima esce dal suo corpo se è libera da ogni peccato così da poter subito entrare in cielo, nell’istante medesimo Dio la penetra con la sua virtù divina, tutta la riempie e prende un tal possesso dei suoi sensi che Egli diventa l’occhio per il quale l’anima vede, la luce per la quale vede, e la bellezza ch’essa vede. In tal modo, in una maniera meravigliosa e sommamente deliziosa, Dio nell’anima e con l’anima contempla sé medesimo e l’anima e tutti i Santi. Egli è l’udito per il quale l’anima sente le parole di Dio piene di dolcezza ed amorevoli come la più materna tenerezza, e insieme la soave armonia di Dio e di tutti i Santi. Parimenti in Dio l’anima sente e respira il soffio vivente e divino dei più  soavi aromi, il quale da Lui emana e la vivifica per l’eternità. Dio è il gustò dell’anima, per il quale Egli gusta nella medesima la dolcezza di sé stesso. Dio è ancora la voce e la lingua dell’anima, poiché nel modo più completo e più sublime loda sé medesimo nell’anima e per mezzo dell’anima. Dio è pure il cuore dell’anima per rallegrarla e rapida, godendo Egli medesimo, nell’anima e con l’anima, delle proprie inebrianti delizie. Di più, Dio è la vita dell’anima in maniera  che ogni azione dell’anima sembra fatta da Dio in lei.
Così nei Santi si trova adempito questo detto: Dio sarà tutto in tutti. Le anime che non sono ancora purificate, dagli angeli ricevono la luce della conoscenza, l’assistenza e la consolazione nelle loro pene.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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