Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions
Frapponendo le immagini che ci accompagnano nel tempo, ancora non siamo riusciti a collocare, in una giusta ed equilibrata prospettiva, il rapporto che intercorre tra Dio, l’uomo e la fiaba. Troppo spesso le fiabe hanno avuto per molti, una funzione marginale e pressoché superflua. Relegando la favola e il racconto narrativo ad un qualcosa di prettamente lucido. Senza approfondire seriamente, ciò che il contenuto e messaggio del racconto può esprimere. Da qui nasce l’esigenza di portare la fiaba, nella giusta luce che le compete. E quale luce più grande e veritiera di quella di Dio? Si….avete sentito bene. Dio. Ecco il vero autore e ispiratore delle favole, che per anni hanno permesso ai nostri cuori di nutrirsi di verità bibliche. Infatti è interessante notare come in molte fiabe, ci siano delle similitudini con insegnamenti morali e spirituali…propri della Bibbia. Invero, il Signore per mezzo di favole e racconti narrativi, ci ha donato la sua parola di sapienza e verità. Tutto questo naturalmente con l’intento di aiutarci, nel difficile cammino insieme quello che Gesù ha detto a Maria Valtorta nel libro “L’Evangelo come mi è stato rivelato” volume quinto cap. 43: “E allora l’Amore viene e moltiplica. ...
... Anche Egli, Uno con Me e col Padre, ha “pietà di voi che morite di fame” e con un miracolo che si ripete da secoli raddoppia, decuplica, centuplica i significato, le luci, il nutrimento di ogni mia parola”. Riflettiamo…in un mondo dove si cerca in tutti i modi di cancellare l’immagine di Dio, ci si meraviglia forse che la “luce” del Creatore si rivolge ai piccoli? Rammentiamo che i bambini sono coloro che sanno ascoltare le verità eterne, senza ostacolare con inutili razionalismo e ipocrisie. Inoltre, non è forse scritto che Dio si rivela ai piccoli e disperde i pensieri dei superbi? E non sono forse i bambini, coloro che sono considerati a torto dagli adulti, dei “piccoli” cioè… delle semi nullità? Purtroppo ci si dimentica troppo spesso che i bambini hanno un’intelligenza molto sviluppata, e una capacità di assimilare le informazioni che provengono dal mondo esterno, molto acuta. Si dà molta importanza alla possanza di una pianta… alle sue dimensioni… ai suoi frutti ecc. e ci si dimentica che tutto l’insieme della suddetta pianta, è racchiuso in un piccolo seme. Quel seme che ha in sé tutte le potenzialità e caratteristiche interiori, di divenire una pianta sana e ricca di buoni frutti. Si, proprio quel piccolo seme …quasi invisibile…ignorato…denigrato…il bambino. E se gli adulti sono troppo impegnati a fare soldi o a vivere spensierati la loro egoistica vita, ecco che viene a mancare al bambino quel supporto morale, emotivo e affettivo che gli può servire per crescere meglio. Non possiamo negare che nella nostra epoca razionalistica, la mente del bambino viene spesso riempita di nozioni che portano a sperimentate l’ambiente circostante, come un eterno campo giochi, privo di regole morali e spirituali. E come possiamo pensare che Colui che ha creato e amato i bambini, così tanto da ritenerli un punto di riferimento per tutti, li possa dimenticare? E’ in questo contesto che la fiaba o racconto narrativo, supplisce a tutte quelle carenze emotive e spirituali, che sono estremamente utili per la corretta crescita interiore di ogni individuo. La funzione della fiaba non è quella di anteporsi al genitore, ma di aiutare il genitore. Spesso i padri e le madri sono presi da troppi problemi d’origine lavorativa, insomma non hanno tempo di affrontare, certe tematiche come l’ingiustizia, le virtù, la morte, la sofferenza, il perdono, ecc. Il bimbo viene così caricato di aspettative da parte dell’adulto e dalla società, che molte volte rimangono deluse. Si cerca allora una risposta a ciò che molte volte rimangono deluse. Si cerca allora una risposta a ciò che è venuto a mancare, ci si domanda il perché del susseguirsi di comportamenti strani e amorali da parte dei figli. Addirittura ci si dimentica che il bambino è in una fase evolutiva, tra le più difficili e irte di difficoltà. Ciò che per noi adulti può essere normale consuetudine, per il bimbo può divenite un vero e proprio problema. Ed è in questo ambito, che la fiaba può adoperarsi a favore del genitore. Proponendo soluzioni a problematiche emotivo – esistenziali, cui non sempre è così facile dare risposta. La fiaba propone un modello semplice e chiaro, nel quale il bambino si può identificare; scoprendosi capace di affrontare difficoltà emotive e spirituali, senza averle mai consapevolmente sostenute. Dato che attraverso l’identificazione con un personaggio fiabesco, si viene a creare nell’inconscio del bimbo, un’adeguata risposta nel superaree disagi emotivi, penosi e difficili. E non è tutto. Il racconto narrativo impartisce, per mezzo di metafore e allegorie, degli insegnamenti spirituali, capaci di nutrire le anime assetate dei nostri figli a casa oppure dei nostri scolari a catechismo, in chiesa durante le omelie oppure a scuola durante le lezioni. Nelle favole natalizie spesso appaiono gli angeli. Offro una rapida carrellata di novelle, fiabe e racconti in cui gli spiriti celesti sono messi maggiormente in evidenza. Durante il tempo liturgico di Avvento che ci prepara al Natale, molte insegnanti nelle scuole materne ed elementari fanno disegnare ai bambini e ai fanciulli i quattro angeli di avvento. La storia è questa: “Ci sono quattro angeli come quattro sono le settimane che preparano al Natale. Ognuno di essi indossa un vestito di un colore che rappresenta una particolare qualità: il blu, il rosso, il bianco e il viola. Durante la prima settimana, un grande angelo discende dal cielo per invitare gli uomini a prepararsi per il Natale. E’ vestito con un mantello blu, intessuto di silenzio e di pace. La maggior parte della gente non sente il suo arrivo perché è troppo indaffarata nelle faccende quotidiane. L’angelo blu canta con voce profonda e soltanto quelli che hanno un cuore attento possono sentirlo. Egli canta: “Il cielo scende sulla terra. Dio viene ad abitare nel cuore degli uomini. Prestate attenzione! Apritegli la porta”. E quelli che lo sentono incominciano a prepararsi per il Natale; cantano lodi al Signore, pregano, s’impegnano a diventare più buoni per essere degni di colui la cui bontà è infinita. Il blu significa il silenzio e il raccoglimento. Durante la seconda settimana un angelo col mantello rosso scende dal cielo e porta un cesto vuoto. Questo cesto è intessuto di raggi di sole e può contenere soltanto ciò che è leggero e delicato. L’angelo rosso passa su tutte le case e cerca; guarda nel cuore di tutti gli uomini per vedere se trova un po’ di amore…Se lo trova, lo prende, lo mette nel cesto e lo porta in alto, in cielo. E lassù le anime di tutti quelli che sono sepolti in terra e tutti gli angeli prendono quest’amore e ne fanno della .luce per l stelle. Il rosso rappresenta l’amore. Nella terza settimana , un angelo bianco e luminoso discende sulla terra. Tiene sulla mano un raggio di sole. Va verso gli uomini che conservano in cuore l’amore e li tocca col suo raggio di luce. Essi si sentono felici perché nell’inverno freddo e buio sono rischiarati ed illuminati. Il sole brilla nei loro occhi, avvolge le loro mani, i loro piedi e tutto il corpo. Anche i più poveri e gli umili sono così trasformati ed assomigliano agli angeli, perché hanno l’amore nel cuore. Soltanto coloro che hanno l’amore nel cuore possono vedere l’angelo bianco. Il bianco è il simbolo della luce che brilla nel cuore di chi crede. Nella quarta e ultima settimana di Avvento, appare in cielo un angelo dal mantello viola. L’angelo color viola passa su tutta la terra tenendo col braccio una cetra d’oro. Suona una musica dolcissima e canta soavemente. Ma per poterlo udire occorre avere un cuore silenzioso ed attento. Egli canta il canto della pace. Molti piccoli angeli lo accompagnano e cantano con lui: “Pace in terra agli uomini di buona volontà!”…Il viola, che è formato dall’unione del blu e del rosso, indica l’amore vero, quello profondo, che nasce quando si sta in silenzio e si ascolta la voce dell’Amore”. Un’altra storiella si intitola l’angioletto del presepe e narra: “Il Signore era impegnato nella Creazione. Un lavoro lungo e faticoso…e quello era il sesto giorno e Lui aveva già fatto io cielo e la terra, le acque e gli animali, e anche l’Uomo e la Donna. Insomma, era quasi alla fine e pensava ormai di riposarsi, quando si accorse che in quell’opera perfetta c’era una lacuna, una dimenticanza. Ai nomi delle piante e degli animali avrebbe pensato Adamo , così Lui s’alleggeriva di un impegno; ma per comunicare con l’Uomo e la Donna, e con tutti quelli che da loro sarebbero venuti, come avrebbe fatto? Tuoni,fulmini, va bene; ma ci volevano dei messaggeri. Prese una nuvola bianca e morbida come lana, ne staccò un grande fiocco e cominciò a modellarlo. Capelli ondeggianti, un corpo sottile e flessuoso, due grandi ali: ecco un angelo! Il Signore raccolse dal sole una lingua di fuoco e gliela mise sul capo: “Ti sarai un Cherubino” gli disse e lo lasciò volare. E come il primo, ne fece altri centro, finché la nuvola non fu ridotta a metà. Allora staccò un altro grande fiocco e modellò un angelo tale e quale i precedenti, prese poi una stella luminosa e gliela mise sul capo: “Tu sarai un Serafino”, gli disse, e l’angelo subito volò in alto, a raggiungere gli altri. novantanove ne aveva già fatti, ne mancava uno e avrebbe finito, pensò soddisfatto. Ma quando fece per prendere l’ultimo fiocco, s’accorse che della nuvola era rimasto poco o niente. “Pazienza- disse il Signore – lo farò piccolino. Mi servirà per le cose di poco conto!”. Prese dunque il batuffolo di nuvola e subito, in un batter d’occhio, ne fece un piccolo angelo. Staccò quindi una stella e gliela mise sul capo. Troppo pesante, il piccolo angerlo non riusciva a stare sospeso. Provò con una piccola e con un’altra ancora: niente da fare, per quanto battesse le ali, il peso lo mandava giù, verso la terra. Il Creatore guardò il piccolo angelo senza luce gli disse pensoso: “Vorrà dire che ti terrò per il presepe”. “Che cos’è il presepe?” pensò il piccolo angelo. Ma non ebbe il coraggio di chiederlo e si sistemò in un cantuccio, ad aspettare pazientemente che qualcuno glielo spiegasse. Intanto il Signore, seduto tra le nuvole, guardava compiaciuto le due schiere di angeli che designavano nel cielo il primo arcobaleno. Passarono gli anni e i Cherubini e i Serafini andavano e venivano, dal cielo, sempre più indaffarati. Il piccolo angelo, nel suo cantuccio,m aspettava una risposta alla sua domanda… Finché arrivò una notte, che sembrava come le altre…Nel cielo c’era come un gran fermento, la schiera degli angeli fiammeggiava più del solito, c’era anche una grande cometa spuntata dal nulla, che avanzava lentamente. E una strana allegria. Anche il Signore tra le nuvole sorrideva e il piccolo angelo era molto contento di tutto questo. Poi la cometa si fermò in un punto preciso del cielo e non si mosse, i Cherubini e i Serafini rotearono verso la terra, lasciandosi dietro scie di luce e il picco,lo angelo rimase solo, nel suo cantuccio un pl. Oscuro, ad aspettare paziente che qualcuno rispondesse alla sua domanda. E finalmente il Signore gli disse: “Il presepe è laggiù, dove la stella s’è fermata. Vai!”. Lui non chiese niente, batté le ali e si buttò verso il basso. Era la prima volta che volava e arrivò. Un po’ affannato. Ma soprattutto non trovava la strada. Era buio dovunque e la cometa era lontana e lui era un angelo senza luce; e non sapeva cosa doveva cercare! Volò di qua e di là; lontano vedeva le fiamme dei Cherubini , i lampi dei Serafini, ma sapeva che non era là che doveva andare. Poi sentì un pianto. Debole prima, quindi più forte e insistente. Nella notte si sentiva solo quello e sembrava riempire ogni cosa. Il piccolo angelo si mise alla ricerca e arrivò a una povera casa: dentro c’erano un bambino che piangeva e una donna e un uomo che lo guardavano. il bambino piangeva e loro non sapevano più cosa fare per calmarlo. Il piccolo angelo pensò che il bambino piangesse per il freddo e lo coprì con la sua ala. E il pianto tacque e il bambino si addormentò. Fuori, i Cherubini e i Serafini volteggiavano nell’aria, tracciando fasci di luce… Il piccolo angelo continuava a chiedersi come avrebbe fatto a trovare il presepe…E il Signore, tra le nuvole, sorrideva…”. Una leggenda popolare inglese si intitola “ L’angelo e l’albero di Natale” e racconta: “Come si sa, l’uomo ha vagabondato per tutta la terra fondando diversi insediamenti che, nel corso dei secoli, si sono sempre più allargarti creando società diverse e poi nazioni. Sebbene il piccolo Gesù sia nato in Palestina, un paese caldo nel quale sicuramente non si trovano alberi quali gli abeti, le popolazioni del nord del mondo usano addobbare proprio pini e abeti in occasione del Natale. Anche in Inghilterra, paese del nord dell’Europa, ogni anno, il venticinque di dicembre, piazza e giardini si illuminano di splendide decorazioni con cui la gente riveste gli alberi che diventeranno il, simbolo di questa festa così speciale. In un villaggio inglese viveva molti anni fa un bambino di nome Giacomo. Era un bimbo molto dolce e sensibile che la sorte aveva però toccato in modo speciale. Non aveva ricevuto infatti il dono della vista e si affidava ai racconti degli adulti o degli amici per immaginare dentro di sé tutto ciò che lo circondava. Se da un lato poteva essere considerato sfortunato, da un altro aveva però ricevuto un regalo: il suo angelo custode, che era davvero straordinario. A questo angelo era stato affidato proprio Giacomo e lui si dedicava al suo piccolo protetto con un entusiasmo e una dedizione come solo fra gli abitanti del Paradiso si possono trovare. Il bimbo in realtà non era mai solo e quello che non riusciva a immaginare con la fantasia gli veniva dipinto direttamente nella mente del suo attentissimo angelo. A volte questa capacità di intuire le forme della realtà lasciava tutti sbalorditi e alcuni borbottavano a mezza voce che quel bambino riusciva a mettersi in contatto con una dimensione sconosciuta. Poteva anche capitare, a chi si trovava a lui, di udirlo bisbigliare con qualcuno che, naturalmente, nessuno vedeva, chiedendo dettagli su questa o quella cosa che si trovava lì appresso. Giacomo non aveva mai parlato con nessuno di questo prezioso amico, né con mamma né con papà, né, tanto meno, con i suoi giovani amici ma lo aveva semplicemente accolto nella sua vita come ognuno di noi accoglie la parte più preziosa e profonda di se stesso. Come ogni anni, anche quella volta stava per arrivare la vigilia di Natale e i preparativi per l’addobbo più bello fervevano in ogni famiglia. Mamme, papà, nonni, zii e parenti tutti non facevano che correre da un negozio all’altro per riuscire a trovare qualcosa di veramente speciale con cui meravigliare i piccoli e gli amici. Ognuno lasciava andare a briglia sciolta la propria fantasia e il villaggio, giorno dopo giorno, si stava trasformando in un quadro animato, dove colori e luce rendevano ogni cosa spettacolare e quasi irreale. Naturalmente la fantasia di Giacomo galoppava più di ogni altra e lui non faceva che chiedere e richiedere, ora a questo e ora a quello, ma proprio in quell’occasione non riusciva a creare dentro di sé l’immagine del “misterioso” albero di Natale. Spesso pregava il buon Dio perché almeno quella volta, solo per pochi attimi, gli facesse dono della vista permettendogli di ammirare quel prodigioso sfavillio di luci. Sapeva bene che Dio era più buono di chiunque altro perché il suo amico segreto gli aveva raccontato su di Lui delle storie meravigliose. Giacomo intuiva dentro di sé che quell’albero rappresentava qualcosa di ancor più prezioso e profondo di quello che l’apparenza mostrava. “Quelle luci che giocano con le ombre dei rami sono come tanti sorrisi che si nascondo dentro le pieghe dell’anima” gli sussurrò l’angelo. “Ma perché si mostrano solo la notte di Natale?” rispose Giacomo perplesso. “Non si mostrano solo in quella notte, ma ogni qualvolta l’uomo si sente particolarmente vicino a Dio. E la notte di Natale è una di quelle volte”. “Dimmi tu quale sarà l’albero con i sorrisi più belli, perché io non potrò vederlo”. Disse allora sconsolato il bambino all’angelo. “Mio dolce amico, l’albero più bello sarà quello che brillerà nel tuo cuore!”. Giacomo stava ancora riflettendo su quelle parole quando la mamma lo chiamò. “Vieni, Giacomo ti farò toccare tutti gli oggetti che ho appeso al nostro albero: ci sono anche le caramelle che ti piacciono tanto e papà ha appeso una bella sorpresa per te. Sono sicura che ti piacerà tantissimo”. “Com’è dolce la voce della mamma! Dio è stato veramente buono con me” pensò il bambino, assaporando il tepore che l’amore dei suoi genitori sapeva infondergli. In quell’attimo dal suo cuore sgorgò un’emozione così profonda che si sentì scosso da un brivido e, guardando nella grande stanza, Giacomo vide brillare il suo albero di Natale. Non solo Giacomo vide per la prima volta tutto ciò che lo circondava , ma affacciato alla finestra, fra lo scintillio della neve, distinse chiaramente una figura luminosa che agitava la mano verso di lui segno di saluto. Nessuno nel villaggio dimenticò quel Natale in cui avvenne il miracolo del piccolo cieco, e anche se i medici diedero a quell’inconsueto fenomeno un nome scientifico, tutti vollero sempre considerarlo solo e soltanto un miracolo. Giacomo crebbe e divenne un uomo. Non si chiese mai cosa fosse successo quella notte, ma accettò pieno di gratitudine e basta. Il suo misterioso compagno sparì nello stesso attimo in cui lui riacquistò la vista, ma lui non lo dimenticò mai. Passarono gli anni ed egli ebbe a sua volta dei figli e dei nipoti per i quali, ogni Natale, non mancò mai di addobbare bellissimi alberi luminosi, ricordando loro che ogni luce era un sorriso che durante l’anno essi avevano dedicato a Dio. Ma arrivò un natale in cui Giacomo non ebbe più la forza di addobbare il grande abete che faceva bella mostra di sé nella sala della sua casa e per lui lo fecero i figli e i nipoti. E lo fecero con tanto amore che mai albero di Natale gli parve più bello. Seduto nella poltrona preferita, il vecchio Giacomo guardava i suoi cari intorno all’alfabeto luccicante e pareva che la loro gioia riempisse tutto il mondo. Il suo ultimo pensiero fu: “Dio è stato veramente buono con me!” e lo guardò ,andò alla finestra, oltre la quale una figura luminosa, fra lo scintillio della neve, lo stava aspettando”. Una bella fiaba scritta da Mario Bergamo si intitola “ Leggenda dell’albergo degli angeli” e racconta: “Non molto lontano da Carmagnola, lungo una viuzza che porta a Sommariva, a una ventina di passi dall’olmo centenario che aveva visto passare i soldati di Napoleone, là dove le zolle delle due province si confondono fra loro e non si riesce in alcun modo a distinguere l’una dall’altra terra, fino a un decennio fa, all’incirca, si scorgevano ancora dei ruderi di un’antica costruzione: un mezzo muro di pietre coperte da umidi muschi e felci ricamate, su cui pareva che riposasse una stanca e vecchia madreselva; il 16 novembre 1987, quel muro, ahimè, venne falciato da un contadino, perché gli serviva quel triangolo di suolo per poter passare col suo rosso trattore, e l’episodio fu vissuto , - a quanto si dice , - con grande stridìo da due anziani merli verdi, che lì sempre progettavano il loro nido, e, con acuto spasimo, soltanto da un vecchio, un certo signor Michele A., nato alla fine dell’Ottocento. In sant’uomo soleva, ogni lunedì, recarsi in quel luogo, col dolce rosario di noccioli d’oliva fra le dita, a pregare gli angeli e a recitare la Corona Angelica, che il risplendente arcangelo Michele aveva rivelato alla serva di Dio, Antonia De Astonac e, a chi gli domandava dove andasse , con un lieto sorriso egli rispondeva: Vò all’Albergo degli Angeli A quella risposta , sovente, si levava un sorriso d’ironia mista a commiserazione sul labbro delle persone, perché s’era perduta la memoria di un così caro sito, e quel suo dire sembrava una fola per far ridere…però certi nomi restano attaccati al respiro del vento quello più leggero dei primi pomeriggi estivi, e si palesano a chi è straniero e li apprende col primo novello significato, e borghi con i nomi dei santi entrano nel cuore con lo stesso tremore di chi li aveva pronunciati la prima volta. E fu così che un pomeriggio d’estate, di giugno forse,non ricordo più l’anno, il 1991 forse, mentre sognavo all’ombra delle fresche ed odorose fronde di un tiglio antico, appresi il nome di un luogo, chiamato “Albergo degli Angeli”, ed una vecchia storia. Stavo pregando e avevo fra le mani un libricino di preghiere a San Michele arcangelo ed ai mirabili Cori angelici, quando una voce cantilenante d’un vecchio signore mi destò con la sua favella piemontese. Lei prega gli angeli? – Domandò. - Si, è dolce pregare gli angeli per giungere fino a Dio! – Risposi. - - Anch’io , anch’io, prego sempre gli angeli. Cammino e prego gli angeli! – Sospirò – Angiol di Dio , che sei il mio custode… Il vecchio si mise a recitare la preghiera come Un fanciullo che l’avesse appresa da poco. Poi, - Sa, - disse come il vento che spira fra le foglie d’un pioppo tremolo -, sorgeva non molto lontano da qui, sul ciglio d’una polverosa viuzza, che, allontanandosi da Carmagnola, porta a Sommariva, un pilone, forse più che un pilone, una casuccia che aveva, una porticina con un arco a sesto acuto, che tutti i vecchi dell’Ottocento chiamavano Albergo degli Angeli. Narravano vecchie storie, coperte dalla rugiada del tempo che in quel luogo fosse apparso l’arcangelo Raffaele a un bambino, che aveva perduto la strada di casa, quando tutta la valle era verde di roveri, frassini e faggi. Si vedeva in una nicchia, infatti, un affresco con un angelo bianco e dalle ali d’oro, che indicava a un bimbo le altre torri di Carmagnola. Ma udii cantar la novella più bella da un vecchio nonno del settecento; egli l’aveva ascoltata da un rugoso pellegrino del lontano Oriente. Sui frammenti di un antico manoscritto “Il vangelo dell’infanzia di nostro Signore e degli Angeli Custodi” si leggeva che, quando il Salvatore del mondo venne sulla terra fiorendo nel seno della Vergine Maria, gli angeli obbedienti, guidati dal fulgente arcangelo Gabriele, tutti furono inviati dal padre che dà la vita, e in una mano raccoglie tutte le costellazioni, in ogni angolo, ad annunciare a tutti gli uomini di buona volontà la lieta novella. I messaggeri, allora,con le loro ali iridescenti, volarono sulla grigia terra,a portare il luminoso annuncio, e giunsero non soltanto a Betlemme, dove nacque Gesù, ma anche in altri luoghi; al nord e al sud, all’est come all’ovest; e così le zolle di Eboli e di Carmagnola, di Roma e di Bisanzio e di mille e mille altri paesi, si destarono dal loro sonno millenario. Gli angeli cantavano “Gloria a Dio e pace agli uomini” e tutti gli esseri viventi, in quella notte di mistero e profumo profondissimi, all’udire quella voce, s’ingocchiarono a pregare, e il cuore del mondo sussultò nel suo viscere, incredulo che il sommo Fattore santissimo e onnipotente, come un bambino nudo e indifeso. Ebbene, amico mio, in quei punti, dove gli angeli si erano fermati per modulare quel canto si librò lo Spirito del Signore e li benedisse, e quando la Parola di Cristo si diffuse per le contrade delle province romane, sorsero chiese e cattedrali, monasteri e cenobi, abbazie e santuari, alle volte piloni e cappellette di campagna, là proprio dove quella notte indimenticabile i nobili messaggeri avevano dato l’annuncio. Poi l’uomo sospirò e disse ancora: - Gli uomini sovente dimenticano i doni ricevuti! Chi dice veramente “grazie” per questo guardino? Il vecchio incominciò a piangere, piano piano, e le lacrime, grosse e lucenti, scivolavano silenziose per le gote rugose e bruciate dal sole e dagli anni, come rivi chiari di montagna. Non sapevo né che cosa dire né come consolarlo. Avevo un nodo alla gola per trattenere un singhiozzo. Dentro il mio animo, intanto, nasceva una commozione inesprimibile; un sentimento strano, dolce e a un tempo bruciante; vedere quel vecchietto piangere faceva tremare tutto il mio essere. Incominciai a pensare a chi non c’era più; ai miei cari, ormai morti; al tempo che fugge via inesorabile, e mi sovvenne di tutti i doni che a larghe mani avevo avuto. La mente percorse , poi, le quattro parti del mondo, e vidi popoli divisi e dimentichi gli uni degli altri anche se figli di un solo Padre. Non so che cosa mi prese: ho un certo pudore a raccontarlo; incominciai a piangere anch’io accanto a quel vecchio trasparente come un angelo. Mi attraversò il petto un affetto struggente per quella terra che l’orgoglio della vita mi aveva donato come seconda patria; mi sentii senza confini; senza nord senza sud, né est, né ovest; quella leggenda lontana mi schiudeva spazi infiniti là, su quella grigia panchina, in un angolo di niente, in pomeriggio forse di giugno, a Carmagnola. Mi aveva raccontato ancora il vecchio: - Dicevano vecchie cantate, sussurrate in calde stalle, d’inverno, quando le famiglie, per nascondere il tempo lungo e freddo delle notti, accanto a modesti bracieri e a mansuete e pensose mucche, filavano fili intricati di canapa e di lino, che il, primo angelo avesse annunciato gli Evangelia là dove si scorgevano quei perduti ruderi; i vecchi pellegrini del Seicento percorrevano vie e vie per giungere, il lunedì dell’Angelo, con dolci pani, al venerato albergo, e inginocchiarsi devoti su quella terra, che aveva visto generazioni di fedeli. Essi affermavano che gli angeli, poi, erano ritornati in quegli stessi luoghi, quando Cristo era risorto, per annunciare a donne ignare il nuovo grande mistero. Passarono alcuni veloci anni ed in un angolo del mio cuore serbavo questo ricordo; non avevo raccontato a nessuno questa storia; né avevo più incontrato quel vecchio signore; mi rammaricavano di non avergli chiesto più precisamente le coordinate di quel luogo, per andare anche io in pellegrinaggio. Giunsi perfino a pensare di aver sognato tutto e che l’Albergo degli Angeli esistesse solamente nel mio cuore…però che cosa bella naufragare in certi sogni più vaghi della fragranza dei tigli in fiore! Avevo quasi dimenticato quella leggenda, quando, una domenica di sole, girando per un mercatino delle pulci, lungo i portici di via Valobra, mi fermai davanti a una bancarella; il mio sguardo si posò su una immaginetta sacra con una preghiera bellissima ai nove Cori Angelici. Si vedeva la figura color seppia di un angelo appena appena segnato da una linea d’oro, che proteggeva l’animuccia di un bambino sperduto per le vie del mondo. Intorno, linee dorate come rabeschi fioriti illuminavano una preghiera, che da un lato diceva:
Angiol di Dio, Tu condottiero del viver mio.
Dall’altra parte:
A Voi m’inchino umilmente, o gloriosissimo S. Michele…
continuai a leggere poi girai quella paginetta che misurava pochi attimi, e vidi, sul margine, in fondo, un nome, un luogo, una data, scritti con la fine e tremolante grafia degli antichi inchiostri:
Michele A. (Chi come Dio?) Albergo degli Angerli, Carmagnola, 1986.
Lo scrittore Karl Heinrich Waggerl ha scritto una novella natalizia intitolata “ E fu così che Gesù bambino sorrise” che narra: “Giuseppe e Maria avevano ormai Nazareth alle spalle e si stavano recando a Betlemme per dichiarare di appartenere alla stirpe di David – cosa che per altro le autorità avrebbero ben dovuto sapere, dal momento che stava scritta già da lungo tempo- . Nel frattempo, dunque, l’Arcangelo Gabriele scese ancora una volta furtivamente dal Cielo, per verificare che nella stalla tutto fosse in ordine. Anche per un Arcangelo della sua intelligenza era difficile capire perché mai il Signore dovesse venire a nascere proprio nella più miserevole delle stalle, e perché mai la sua culla non potesse essere qualcosa di meglio di una mangiatoia. Comunque, Gabriele voleva almeno dar ordine ai venti di non soffiare con troppa violenza fra le connessure; voleva chiedere alle nuvole in cielo di non scontrarsi proprio allora riversando la piena delle loro lacrime sul Bambino. Quanto poi alla luce della lanterna, Gabriele voleva smorzarla ancora un po’; doveva emettere una luce fioca, non già risplendere abbagliante come la Stella Cometa. L’Arcangelo provvide inoltre ad allontanare dalla stalla tutti gli animaletti: formiche, ragni, topi. Non voleva neppure pensare a cosa sarebbe potuto accadere se la Madre Maria si fosse spaventata di fronte ad un topo al momento meno opportuno. Solo all’asino ed al bue fu concesso di rimanere. All’asino perché sarebbe certamente stato utile averlo a disposizione più tardi, per la Fuga in Egitto. Quanto al bue, esso poté rimanere perché era talmente enorme e talmente pigro che nemmeno tutte le schiere angeliche del Cielo sarebbero riuscite a spostarlo di lì. Infine, Gabriele, sistemò qua e là nella stalla e sulle travi del soffitto ancora una schiera di angioletti, di quelli più piccoli che non hanno altro che testa e ali; del resto il loro compito era starsene immobili a vigilare per dare subito l’allarme se qualche pericolo avesse minacciato il Bambinello nella sua estrema povertà. Ancora uno sguardo intorno e poi il potente Gabriele spiegò le ali e volo via rapidamente. Tutto era a posto. No, non proprio tutto, perché una pulce era rimasta sul fondo della mangiatoia e stava dormendo nella paglia. Il piccolo mostro era sfuggito all’Arcangelo Gabriele – cosa del resto comprensibile, perché quando mai un Arcangelo ha avuto a che fare con le pulci?! Orbene, il Miracolo avvenne. Il Bambino giaceva allegro e vivace nella paglia, tanto grazioso e tanto povero da muovere a compassione. Ormai gli Angioletti sotto il tetto non ce la facevano più a stare fermi e come un volo di colombe scesero intorno alla greppia. Alcuni diffondevano intorno al Bambinello profumi balsamici, altri tiravano e sprimacciavano la paglia affinché nemmeno un filino potesse disturbare o pungere il Bambino. Tutto questo affaccendarsi, però, svegliò la pulce rimasta nella paglia. Essa si spaventò subito, temendo che come al solito qualcuno le stesse dando la caccia. Cominciò a correre qua e là dentro la mangiatoia, ricorrendo a tutti i trucchi che conosceva. Infine, sentendosi ormai perduta, si rifugiò furtivamente nell’orecchio di Gesù Bambino. “Perdonami”, mormorò la pulce senza fiato, “questa è la mia sola via di scampo: se mi prendo nomi uccideranno! Me ne vado subito, Gesù Bambino, dammi solo il tempo di escogitare un sistema”. Si diede un’occhiata intorno e subito le venne un’idea. “Ascolta” disse “se io raccolgo tutte le mie forze e tu te ne stai immobile, forse mi riesce di raggiungere la testa pelata di San Giuseppe di lì con un balzo potrei arrivare alla finestra ed alla porta” . “Salta, dunque!” disse Gesù Bambino senza farsi sentire, “Io non mi muovo”. E la pulce saltò. Ma, inevitabilmente, raccogliendosi per il balzo e tirando le zampe sotto di sé, fece solletico a Gesù Bambino. Proprio in quel momento la Madre di Dio scosse il suo sposo dal sonno: “Guarda”, disse felice Maria, “sorride”. Dello stesso autore austriaco riporto un’altra bella novella intitolata “ Come fu risanato l’uccellino malato” che descrive questa deliziosa storiella: “Dapprima soltanto umili folle venivano dalla città alla stalla, e non mancavano certo i soliti sfaccendati curiosi che sempre si immischiavano quando tanta gente si raccoglie. Per lo più, comunque, si trattava di poveri e malati, di ciechi e lebbrosi. Essi si inginocchiavano davanti al Bambino, si inchinavano e pregavo fervidamente che egli li guarisse. Anzi, molti di essi furono davvero aiutati non già da un potere magico come essi credevano nella loro ingenuità, bensì dalla forza della loro fede. Anche una fanciullina rimase a lungo fra la folla davanti alla porta e non riusciva a farsi strada. Finalmente la Madonna la chiamò: “Entra”, le disse, “cosa celi nel tuo grembiule?”. Per tutta risposta la bimba aprì i lembi del grembiule: apparve un uccellino – piccolo piccolo – tutto spaventato ed arruffato. “Guardalo”, disse la bimba a Gesù Bambino, prima l’ho sottratto ai monelli, poi il gatto ha cercato di mangiarselo. Non potresti guarirlo tu? In cambio ti regalo la mia bambola”. La bambola! La faccenda era molto seria ed anche San Giuseppe, che di solito era un uomo accorto, si grattò la testa calva con perplessità. La gente raccolta si accalcava lì intorno fissando l’uccellino mezzo morto dentro il grembiule, domandandosi se avesse anche lui un’anima credente. Molto probabilmente no, ma neppure Gesù Bambino lo sapeva con precisione. Perciò rivolse rapidamente lo sguardo verso l’alto, dove gli angioletti se ne stavano seduti sulle travature del tetto. E subito essi scesero volando in suo soccorso: dopo tutto gli uccelli erano i loro cari compagni di volo in cielo! Gli Angeli allora lisciarono le piume del malatino, lo pulirono, gli accomodarono premurosamente un’ala, gli raddrizzarono persino la coda – ché ben misera cosa è un uccellino senza coda”! di tutto ciò, ovviamente la gente non si accorse: essi videro soltanto che le penne dell’uccellino poco a poco si spianavano,che esso apriva il becco e tentava di emettere un cinguettio. Poi all’improvviso volle già spiegare le ali, e con un grido si levò nel cielo azzurro soprala folla. La gente restò stupefatta e cantò lode al Signore per questo miracolo. Soltanto la bimba non si mosse, le cocche del grembiule aperte. Nel suo grembiule non c’era più nulla, solo una piccola piuma d’oro tutta splendente. E non necessariamente era una piuma di uccello: poteva ben essere accaduto che, nella fretta, uno degli Angeli l’avesse perduta!”. Concludo questa breve raccolta di favole natalizie in cui compaiono gli spiriti celesti con un’ultima storiella intitolata “ L’angelo più piccolo” che narra: “C’era una volta un angelo piccolissimo. Non era cresciuto molto e non era stato ancora assegnato a nessuno. Stava ancora imparando giocando sul pavimento cosparso di stelle del cielo e ascoltandole conversazioni degli angeli più grandi e dei cori del cielo. Negli ultimi tempi sembrava che stessero imparando una nuova canzone che egli non aveva mai sentito prima. Si perdeva in quel canto, e spesso si addormentava. Un giorno stava ascoltando di nascosto una conversazione che l’arcangelo Gabriele intratteneva con alcuni del coro. Gabriele disse: “Questa è la notte che abbiamo a lungo atteso. Questa notte scenderemo sulla terra, sulla campagna attorno a Betlemme, presso i pastori che accudiscono le loro pecore e canteremo: “Gloria!”. Voglio che ciascuno di voi vada a scegliere quelli che verranno e canteranno con noi”. Il piccolo angelo sperava di essere scelto, ma dubitava di avere qualche possibilità. Era così piccolo e non sapeva ancora cantare molto bene. A malapena riusciva a volare. Guardò in basso dal cielo e cercò la località che aveva indicato l’arcangelo Raffaele: Betlemme, il luogo in cui il bambino Gesù doveva nascere. Pensò tra sé e sé: “Forse se partissi subito, potrei arrivare per la notte, anche se volo lentamente”. Voleva un dono da portare al bambino, così andò un po’ in giro per raccogliere un mazzo di fiori di stelle. Poi si diresse sulla terra. I terrestri, lo sapevano già, consideravano i fiori di stelle come il simbolo di una speranza giunta a compimento. Così passò da una stella all’altra, fermandosi per riposare quando si sentiva stanco. In un primo momento la cosa era facile, ma poi prese il volo dall’ultima stella amica mentre c’era ancora molta strada da percorrere nel buio. Fece un altro balzo e atterrò sulla dura terra. E ora, qual era la strada verso Betlemme? Laggiù era diverso. Si guardò intorno e si avviò verso la luce: c’era un villaggio. Adesso camminava, ma era faticoso sulla terra. Nel tardo pomeriggio la luce si fermò. Egli senti un suono: cip, cip, cip. Guardò in basso, vicino ai suoi piedi, e scoprì che un uccello era caduto dal suo nido. Si curvò, lo raccolse e lo rimise nel nido. Lasciò cadere il fiore di stella senza neanche accorgersi e una campagna suonò. Rimase sorpreso all’udire il suono, ma non vide nessuno e proseguì per la sua strada. L’angioletto raggiunse il bordo del villaggio, una delle case più povere con una porta semiaperta. Al suo interno vide una madre estremamente preoccupata, seduta accanto a un bambino febbricitante, che soffriva e si agitava. Il bambino vide l’angelo e sorrise. Poi sprofondò in un sonno pacifico. L’angelo si chinò sopra la culla e lasciò cadere alcuni fiori di stella sul bambino. Ci fu un doppio suono di campane. Ora si era fatto più buio. I suoi piedi erano lividi ed egli era troppo stanco perfino per cercare di volare. Poi, in lontananza, sentì gli angeli. Sarebbe arrivato in ritardo? In quel momento, lì vicino, sentì un agnello belare. Si fermò e vide che aveva la zampa anteriore rotta. Lo consolò, lo prese in braccio e lasciò cadere gli ultimi fiori di stella. Ora non aveva più nessun dono per il bambino. L’agnello che aveva tra le mani belò. Sapeva che casa sua non era lontana. L’angelo vide una grotta e pensò che poteva esser un buon posto per potersi riposare un momento. L’angelo entrò nella grotta con l’agnello tra le braccia e vide una donna con un bambino. Il bambino sorrise e la donna ascoltò la storia dell’angioletto. Lo confortò e gli disse che aveva già portato un dono migliore di tutti i fiori di stella del cielo. Si era preso cura delle creature che avevano bisogno di conforto e sollievo. In quel momento il bambino allungò le braccia verso l’agnello, lo toccò e l’agnello balzò dalle braccia del piccolo angelo e iniziò a saltellare sul pavimento della grotta. Il bambino rise di gusto. Anche la donna rise e disse. “Questa notte, con le tue azioni, hai suonato le campane d’oro della carità: hanno già suonato tre volte, quella era il segnale per il coro degli angeli perché iniziassero il loro Gloria! E ora,m a ogni Natale, sarà tuo compito e tuo privilegio visitare la terra e portare la musica nei cuori di coloro che sono buoni e che hanno il cuore aperto nei confronti di chi si trova nel bisogno”. Così il più piccolo degli angeli quella notte volò di nuovo verso il cielo, stremato e felice. Ogni anno egli torna sulla terra per obbedire al comando di quella donna. Ascoltate le campane,m i rintocchi della carità. Fate la carità e aiutate il piccolo angelo a farle risuonare nel mondo che è in attesa, e lasciate dietro di voi un fiore di stella che onori il Figlio delle stelle dell’universo”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |