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LILIA MARIA DEL SANTISSIMO CROCEFISSO E LA DEVOZIONE A GESU’ BAMBINO PDF Print E-mail
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LILIA MARIA DEL SANTISSIMO CROCEFISSO E LA DEVOZIONE A  GESU’ BAMBINO

La Venerabile Serva di Dio Lilia Maria del Santissimo Crocefisso nasce come Anna Felice Bertarelli il 25 luglio 1689, verso le ore 22, da Benedetto e Maddalena d’Antonio, a Viterbo, in una casa situata nel vicolo della Spurinella, un rione famoso per la pudicizia dei suoi abitanti (oggi via della Marrocca). Anna Felice è la terza di quattro figli ; la famiglia è povera e modesta (il padre fa il contadino e la madre la fornara) ma è di così santi costumi che i viterbesi chiamavano la loro abitazione  la casa degli Angeli. Fu battezzata, il giorno dopo la sua nascita, nella Chiesa di San Giovanni dei Carmelitani della Congregazione di Mantova,  dal Padre Giandomenico Lucchesi, un santo uomo, il quale pronosticò che la bambina sarebbe stata una creatura santa che avrebbe grandemente onorato la città di Viterbo (cf. 52-59). E veramente la santità di Anna Felice si manifestò fin dalla fanciullezza. Non aveva ancora nove anni quando Le apparve, mentre era sola in casa, la Madonna col Bambino in braccio. Per provarne la bontà la Vergine Le chiese di regalarLe un grembiule che indossava, grembiule che alla piccola era assai caro e, non appena questa glielo pose senza esitare, scomparve. ...

... Un’altra volta, mentre era in preghiera davanti ad un edicola nella quale vi era una immagine della Vergine, Le apparve la medesima Signora col Bambino in braccio la quale, senza profferir parola, Le pose il Bambino tra le braccia. Non riuscendo a sostenerlo, la Serva di Dio disse alla Signora che il Bambino pesava molto, al che la Signora, rispondendole che pesava come tutto il mondo, disparve. I suoi primi maestri spirituali furono i suoi genitori, specialmente il padre il quale parlava sempre alla fanciulla della bellezza del Paradiso esortandola ad una vita di fede e di preghiera. Purtroppo il padre le venne a mancare quando aveva poco meno di nove anni, per cui la Contessa Cecilia Fani Galeotti, una nobile e generosa donna viterbese, si prese cura della piccola facendone da madrina alla Cresima e facendola studiare presso la scuola Pia di Viterbo, aperta nel 1685 da un’altra grande figura viterbese, la Beata Rosa Venerini, la quale oltre ad educare ed istruire le fanciulle, si dedicava alla formazione di giovani donne alla professione di maestre Pie. Alla scuola di Rosa e dei Gesuiti, che erano i direttori spirituali delle Maestre Pie, la piccola Anna Felice crebbe in santità e in sapienza, tanto che all’età di 18 anni ebbe la licenza di Maestra Pia e fu messa ad insegnare a Viterbo, nella scuola di S. Carluccio, poi fu mandata ad insegnare in altre scuole fondate dalla Venerini: Veiano, Oriolo, e forse anche in altri paesi, sempre della Provincia di Viterbo. Ovunque andasse spargeva il seme della Fede  e della Carità in modo così sublime da essere chiamata da tutti la maestra santa. Si legge nei processi di canonizzazione che, per sentirla predicare, allorquando dettava alle donne gli esercizi spirituali, chiamata dai parroci locali, gli uomini salissero sui tetti delle case vicine. Verso i primi anni del 1700 si trasferisce con la madre, dalla casa nativa, in una casa in affitto in via S. Luca, sempre a Viterbo (cf. 87,88). Dopo circa quattro anni di insegnamento, sia per accudire la madre anziana e malata, sia per seguire la chiamata di Dio, lascia le Maestre Pie e veste il saio francescano (cf. 71-73). Il 17 maggio 1712 veste l’abito di Terziaria Francescana nella Chiesa del Convento di Santa Maria del Paradiso dei Frati Minori Osservanti a Viterbo e, l’anno successivo, l’8 dicembre 1713, professa i voti nelle mani del suo confessore Padre Lettore Clemente da Toscanella, il quale Le impose il nome di Lilia Maria, per la sua purezza ed innocenza, al quale Lei stessa volle aggiungere del Santissimo Crocefisso per l’amore grande che portava e portò sempre a Gesù Crocefisso. Nella nuova veste francescana, che l’accompagnerà fino alla santa morte, ella riunisce nella Sua casa alcune giovani che educa alla santa fede e con le quali si dedica a moltissime opere di misericordia: visitare gli ammalati e i carcerati, sostenere i poveri e i deboli, confortare i moribondi, educare e proteggere le fanciulle indifese. Ovunque c’era bisogno di aiuto Suor Lilia e le Sue compagne accorrevano ed erano talmente note e benvolute da essere chiamate dai viterbesi  la compagnia degli Angeli. La sua fama di santità  era già così grande ed estesa,anche fuori Viterbo, al punto che il Vicario Foraneo di Ronciglione, Don Ostilio Ricciotti, con il benestare del Vescovo di Nepi e Sutri, lo chiamò nella sua cittadina per fondarvi un Monastero di terziarie Francescane Regolari. Così, il 1° marzo 1717, ella, insieme alla sua fida fattora Domenica Cecchini (una vedova che l’aveva seguita fin da quando era stata Maestra Pia a Veiano e che le rimarrà fedele fino all’ultimo giorno della sua vita), alla madre, e ad alcune fide compagne, tra le quali Suor Colomba della Purificazione, si reca a Ronciglione per dare inizio al suo primo Monastero : il Monastero di Sant’Anna (cf. 100-104). Dopo infinite difficoltà, e dopo aver consolidato il Monastero, dopo due anni circa di permanenza a Ronciglione, dove lascia Suor Colomba, torna a Viterbo dove, superando la ritrosia del Vescovo Sermettei il quale temeva che i Monasteri della città fossero troppi, fonda il Suo secondo Monastero: il Monastero dell’Assunta utilizzando la Sua casa e acquistando man mano le case adiacenti. Il 21 novembre 1721, giorno della presentazione al tempio di Maria Vergine (una data che Suor Lilia ricorderà sempre come la data ufficiale della fondazione, avendo avuto in quel giorno dal Vescovo l’autorizzazione a vestire Terziarie Francescane sei Sue compagne) ebbe veramente inizio ufficiale il Monastero dell’Assunta in Viterbo. Fu Madre  e Maestra per tutte le sue figlie spirituali che diresse sempre con autorevolezza amorosa al punto che i Suoi Monasteri venivano additati come esempio di vita claustrale, tra i più seri ed accreditati per la piena osservanza della disciplina monastica nonché per la perfetta osservanza della vita comune che  costituiva l’anima della Congregazione da Lei istituita. Grande fu l’influenza e l’opera evangelizzatrice che questa umile Suora ebbe sui costumi della società dell’epoca, sia di quella religiosa che di quella laica. Furono molti i doni soprannaturali che Dio volle concedere a questa Sua figlia prediletta, tra i quali il carisma della predicazione, della preveggenza, della sanazione, della moltiplicazione, e di altri fenomeni mistici di cui fu protagonista. Suor Lelia morì il 12 febbraio 1773, di venerdì alle ore 21, come aveva predetto con il nome di Gesù sulle labbra. Ricordiamo tra i tanti fenomeni mistici, quello relativo al Cristo miracoloso e al Gesù Bambino miracoloso. La Serva di Dio possedeva un grande Crocefisso che Le era stato regalato e che teneva molto caro nella Sua Cella, prima di collocarlo in una vetrina posta a destra dell’Altare maggiore della Chiesa del Monastero dell’Assunta da Lei fondato nel 1721. un giorno si recarono in visita a Suor Lilia il Cardinale Francesco Guidi di Bagno e la marchesa sua madre, grandi benefattori ed estimatori della Serva di Dio. Nel celebrare la Messa nella Chiesa del Monastero, il Cardinale si accorse che il Crocefisso posto sull’Altare omonimo, aveva la testa talmente piegata da battere sul vetro esterno della vetrina. Poiché Suor Lelia era a letto malata, si recò con la madre ed altre Suore nella Sua Cella e Le disse di far riparare il Cristo il quale, avendo la testa molto  piegata in avanti, cosa che prima non aveva, come Lui ricordava, rischiava di rompere il vetro che lo custodiva.  Poiché ella dichiarava non esservi alcun timore, il Cardinale, il quale forse aveva già subdorato qualcosa, ordinò a Suor Lilia, sotto il vincolo dell’obbedienza, di dirgli perché non vi dovesse essere alcun allarme. Costretta, Suor Lilia, dovette confessare che anni prima, mentre pregava il Cristo di darle un cenno se il suo operato fosse giusto o no, Questo aveva piegato la testa in cenno di assenso. Per questo motivo, ritenendosi indegna di essere la sola a venerare il suo Crocefisso, Lo aveva posto in Chiesa alla venerazione di tutti. L’episodio riguardante il Gesù Bambino miracoloso è anch’esso un avvenimento, nella sua vita, pervaso da una grande e dolcissima fede e poesia. Il Bambino di cera, una statuetta bellissima, si trovava nella Cella di Suor Lilia dove le Suore del Monastero si recavano quotidianamente a rendergli omaggio con le loro preghiere. Durante una assenza della Serva di Dio, la quale era a Monte San Vito per fondarvi un altro Monastero, la Vicaria chiuse la sua cella a chiave per timore che il Bambino dovesse subire danni. Dopo qualche giorno Suor Lilia scrisse alla Vicaria che il bambino si era lamentato presso di Lei, perché nessuno si recava a pregarlo. La Vicaria allora, con tutte le Suore del Monastero, si recò nella cella di Suor Lilia, e aperta la porta con la chiave che solamente lei possedeva, vide che le scarpe del bambino erano sporche di fango come se avesse camminato a piedi per diversi chilometri. Al processo per la beatificazione così testimoniò suor Maria Caterina della Circoncisione: “ Concluderò in breve che spiccò la fede della venerabile serva di Dio in tutti gli atti di divozione tanto verso Gesù Bambino, a di cui onore istituì nel monastero la lodevole costumanza del Camerierato, vale a dire che ogni giorno una religiosa debba portare ossequi particolari ad un’immaginetta di rilievo del Bambino Gesù facendo la santa Comunione ed un’ora di orazione, mentale o vocale, e tenendolo poi tutto il giorno nella propria camera, per tributargli continui atti di ossequio”. Un’altra teste, suor Maria Isabella della Volontà di Dio così testimoniò al processo: “ Era devotissima di Gesù Bambino. A questo fine volle che io mi impegnassi continuamente nel fare statuette di cera rappresentanti questo mistero, e siccome il Signore mi ha dato grazia di poterle formare con qualche naturalezza, tanto che riusciva di somma soddisfazione alla venerabile madre, in tutto il corso della mia vita religiosa finché mi hanno assistito le forze,ne ho fatto moltissime, e di queste statuine la venerabile madre se ne serviva per promuovere questa divozione a Gesù Bambino regalandole alle persone bene affette del monastero. Compariva ancora la di lei divozione a questo mistero dalla continua frequenza, con cui veniva a trovarmi nella mia cella allorché io m’impegnavo in questo lavoro, e pareva che si deliziasse, e godesse internamente nel vedermi applicata in un’opera così divota, animandomi sempre più ad applicarci con impegno, perché riuscissero più belli e amabili.”

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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