SAN CAMILLO E IL SOGNO DELLA CROCE |
Camillo nacque a Bucchianico (Chieti) il 25 maggio1550 da Giovanni, un ufficiale della nobile famiglia romana “Lellis” che poi tramutò il cognome in de Lellis, viveva al servizio dell’imperatore Carlo V come capitano di ventura sempre in giro per l’Italia frazionata in principati e micro-Stati. Sua madre, Camilla de Compellis, proveniente da una rispettata famiglia di Loreto Aprutino, era sessantenne “ già bianca di capelli e con faccia crespa” quando lo diede alla luce. Lo fa nascere nella stalla che è sotto casa, come segno di ringraziamento a Dio ( il primo figlio, Giuseppe, le era morto ancora piccolo), e di supplice preghiera per il nascituro, sognato più volte prima del parto – con una croce rossa sul petto e un vessillo in mano con il medesimo segno- a capo di una schiera di bambini crocesegnati, ritenuto dalla madre come un triste preavviso di sventure e di delinquenza del figlio in arrivo. In quel tempo, scorrerie e angherie erano piuttosto frequenti e si parlava di briganti e di corsari che scorazzavano portando distruzione e morte, reggendo come simbolo stendardi raffiguranti macabri teschi e ossa spettrali. ... ... Ora a mamma Camilla, il segno di una croce e per di più rossa come il sangue, incuteva funesti presagi. Il figlio che stava per nascere avrebbe imboccato una via pericolosa da criminale? I timori si aggiungevano al pensiero della sua età avanzata; perciò ricorse intensamente alla preghiera, affidando al buon Dio il nascituro. Fin da piccolo, Camillo si segnala per la sua statura fuori dalla norma e per l’esagerata irrequietezza. La lontananza del padre per le imprese militari e l’anzianità della madre –Madonna Elisabetta, come la chiamano in paese- lo portano a marinare spesso la scuola e a seguire i più scapestrati coetanei. Camillo, a tredici anni già molto ribelle e sbandato, ne rimase orfano, motivo per cui crebbe nel più completo abbandono, in preda alla sua incomposta vivacità , insofferente di disciplina e riluttante ad ogni sforzo fisico e intellettuale con una passione travolgente per il gioco delle carte e dei dadi. Nel 1568 si arruolò con il padre nell’esercito della repubblica di Venezia in lotta contro i turchi , ma ben presto rimase orfano anche di lui. Privo di risorse, fu costretto a causa di un’ulcera varicosa al piede, cercare, come infermiere, delle cure gratuite all’ospedale di San Giacomo degli Incurabili a Roma. Dopo un mese, però, da quel posto fu allontanato a causa della sua passione per il gioco. Camillo, semi – analfabeta, ma di buon cuore, fisicamente era un gigante, alto più di due metri. Non gli fu difficile perciò dal 1569 al 1574 prestare servizio al soldo di Venezia contro il sultano Selim II (1574), tra rischi e avventure belliche di terra e di mare, in Dalmazia e in Africa, smanioso più di divertimenti che di gloria militare. Una dissenteria gl’impedì di prendere parte, sotto il comando di Don Giovanni D’Austria, alla battaglia di Lepanto (1571). Più volte, in pericolo di morte, aveva formulato propositi di vita cristiana, ma quando raggiunse Napoli su galere dirette a Tunisi, dopo un terribile, si congedò dalla milizia per abbandonarsi di nuovo ad una vita di piacere. Nel gioco delle carte perdette tutto quello che possedeva, persino la camicia. Per vivere, dovette mendicare finché non trovò lavoro, nell’autunno del 1574, come manovale nella costruzione del convento dei Cappuccini di Manfredonia (Foggia). Il 1 febbraio 1575 Camillo con somaro e ceste contenenti “una somma di tagliolini” parte alla volta di S. Giovanni Rotondo, destinazione Convento di S. Maria delle Grazie, per cambiarli in buon vino. Il momento di Dio per Camillo viene da un fraterno scambio tra due Comunità di Frati Cappuccini.. arriva sul tardi pomeriggio. Scaricato il somaro, rifocillato da un buon pasto, inizia col Guardiano del Convento P. Angelo, un colloquio decisivo passeggiando sotto il pergolato spoglio dell’orto. Lenta e dolce la voce del vecchio frate parla di Dio e della vita dell’uomo: “Dio è tutto. Il resto, tutto il resto, è nulla! Salvare l’anima che non muore, è l’unico impegno per chi vive una vita breve e sospesa come quella dell’uomo sulla terra”. Il gigante composto per metà d’orgoglio e l’altra di testardaggine, comincia a sgretolarsi. Non parla, ma il suo cuore è commosso e in tumulto. Passa la notte in bianco. Al mattino , 2 febbraio festa della Purificazione dell’Immacolata Madre di Dio, la Beata Vergine Maria , dopo aver ascoltato la Messa e ricevuto la candela benedetta, saluta P. Angelo raccomandandosi alle sue preghiere e riparte col suo somaro verso Manfredonia. La luce tenue e rossastra del primo sole si rifrange sulle cime pietrose del Gargano, e illumina la strada tortuosa che s’impenna per tuffarsi poi verso il mare, attraverso un’orrida valle. Martellanti come gli zoccoli dell’asino sul pietrisco, gli risuonano nella mente le parole di P. Angelo: “Dio è tutto…il resto è nulla…”. E’ questione di attimi, poi Camillo si ritrova singhiozzando come un bimbo, inginocchiato tra le pietre che spuntano tra cardi e rovi, e grida a Dio percuotendosi con violenza il petto: “ Signore ho peccato! Perdona a questo peccatore! Misero e infelice me, che per tanto tempo non ti ho conosciuto, mio Dio, e non ti ho amato! Dammi tempo di fare penitenza e di piangere a lungo i miei peccati, fino a lavare con le lagrime ogni macchia di essi.. non più mondo…non più mondo!”. La Grazia questa volta ha vinto. E’ caduto finalmente su terreno fertile e disponibile. Troppe volte nel passato Camillo aveva fatto il sordo! Ma il Signore non l’ha abbandonato ed è ripassato bussando alla sua porta. Ha 25 anni e deve ricominciare daccapo. Quindi dopo vivaci resistenza, si dette vinto alla grazia; il 2 febbraio1575, in seguito a una esortazione del P. Guardiano, Camillo decise di abbracciare la vita cappuccina; lui, discendente da famiglia nobile, avrebbe atteso ai più umili uffici della comunità. Ottenne di vestire l’abito, ma dopo qualche mese l’ulcera varicosa si riaperse. Dovette ritornare a San Giacomo degli Incurabili dove maturò la sua vocazione all’esercizio della carità (1575-1584). Rifiutato per lo stesso motivo, una seconda volta, dai Padri Cappuccini, il santo decise di consacrarsi come infermiere al servizio dei malati sotto la direzione di S. Filippo Neri (1595), l’apostolo di Roma. In lui, dorato di una volontà ferrea, la trasformazione fu progressiva, inarrestabile. Era molto pio e conduceva una vita estremamente austera. Il moderatore del suo spirito riusciva a stento a contenere l’impeto e l’ardore perché la fatica del quotidiano servizio non ,lo distoglieva dal portare il cilicio, una cintura di ferro ai fianchi e dal flagellarsi frequentemente. Dopo quattro anni consacrati alla cura dei malati, fu eletto economo dell’ospedale a motivo del buon senso, intuito e inesauribile carità dimostrati specialmente verso i moribondi. La nuova carica gli diede l’occasione di attuare una riforma completa nella cura dei malati, come aveva già fatto S. Giovanni di Dio in Spagna (1550). I Padri Gesuiti furono felici di affidargli i loro novizi di tirocinio negli ospedali perché erano sicuri che sarebbero stati da lui ben formati. Siccome il personale inferiore dell’ospedale era, in generale, reclutato tra gente rozza e incapace, fin dal 1582 egli pensò di riunire in un’associazione dei malati. Un primo tentativo fallì per l’incomprensione dei direttori dell’ospedale. Camillo si convinse allora che era necessaria una famiglia religiosa indipendente. Per raggiungere lo scopo era necessario che egli, a trentadue anni, si rimettesse sui banchi della scuola, frequentasse al Collegio Romano i corsi di san Roberto Bellarmino (1621) e di Francesco Suarez (1617), pur continuando a visitare e a curare i malati. Nel 1584 poté celebrare la sua prima Messa nella cappellina di Santa Maria Porta del Paradiso. I direttori lo nominarono cappellano della Madonnina dei Miracoli ma, contrariamente al parere di S. Filippo e con grande dispetto dei direttori, egli abbandonò la sua carica di economo e lasciò l’ospedale. E’ tradizione che Camillo sia stato indotto alla fondazione dalla voce stessa di Cristo crocifisso, che aveva staccato le mani dalla croce per tenderle supplichevoli a lui, La sua esperienza lo spingeva a rinnovare il tentativo fallito la prima volta, a fondare cioè una associazione d’infermieri, che avrebbero concepito la cura dei malati come una vocazione e che avrebbero veduto in una comunità religiosa il mezzo per conservare vivo l’alto ideale della loro professione. L’8 settembre del 1584 egli ricevette nella sua cappella i primi discepoli che alloggiarono in una casa delle Botteghe Oscure, e andò a offrire i suoi servizi all’ospedale di Santo Spirito. Ben presto affluirono nuove vocazioni, così che il 18 marzo1586 Sisto V approvò la Compagnia di Padre Camillo sotto il nome di Congregazione dei Ministri degli Infermi, e concesse ai membri di portare cucita sull’abito e sul mantello una croce di stoffa rossa. Quasi quarant’anni dopo il sogno di Camilla de Compellis di suo figlio ragazzino che guidava una lunga schiera di altri giovani sotto lo sventolio di una bandiera bianca con una grande croce rossa si era così realizzato in positivo… Camillo morì a Roma il 14 luglio 1614 e in questi mesi in cui celebriamo il quarto centenario della sua morte ho composto un agile volumetto edito dalla Segno di Udine ed intitolato: “ San Camillo de Lellis. 365 giorni con il patrono dei malati”. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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