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GIOVANNI TAULERO E IL NATALE PDF Stampa E-mail

GIOVANNI TAULERO E IL NATALE

Nato a Strasburgo, entrò molto giovane nell’Ordine dei domenicani e studiò nella sua città natale e più tardi anche a Colonia. Diede vita con Enrico di Nordingen e la mistica domenicana Margherita Ebnner al gruppo degli “amici di Dio” o Gottesfreunde. Fu direttore spirituale e predicatore, specialmente tra le beghine e le monache domenicane. Morì a Strasburgo il 16 giugno 1361, in concetto di santità. Da alcuni è venerato come beato. Per la limpidezza della sua spiritualità fu considerato come dottore illuminato e sublime. Sono state attribuite a lui molte opere, oggi considerate spurie o ricostruite dai suoi ammiratori. Sono autentici una serie di 80 Sermoni, raccolti e trascritti dalle monache domenicane. Non sono suoi invece alcuni altri come Institutiones divinae o Medulla animae o il Libro della povertà spirituale. Se da un parte egli ha studiato il Maestro Eckhart e ne diffonde gli scritti e il pensiero, dall’altra evita gli eccessi del Maestro, la sua mistica troppo metafisica e astratta. Promuove una pietà interiore, fondata sui cicli della liturgia e orientata verso la vita concreta. Orienta la pietà genuina e inculca la vita mistica, che nasce dalla carità; lo realizza con un linguaggio chiaro, dolce e suadente. ...

... La mistica di Taulero è trinitaria. Invita le anime ad accogliere nel più intimo di sé, nel fondo dell’anima, la generazione divina che le fa diventare figlie adottive del Padre. Come maestro spirituale raccomanda alcuni atteggiamenti di carattere mistico – contemplativo: l’umile abbandono alla divina volontà, il raccoglimento interiore,, lo spogliamento assoluto di sé. Prospetta un itinerario spirituale della carità, attraverso tre gradi progressivi: il primo grado è l’esperienza dell’amore dolce o ferito dei principianti; il secondo è l’acquisto dell’amore saggio e devoto; il terzo, dopo una adeguata purificazione è l’amore forte della carità perfetta. Egli attribuisce un’importanza molto grande alla carità e ai doni dello Spirito Santo, seguendo la dottrina di s. Tommaso. Il vertice della vita spirituale si raggiunge nell’unione con la Trinità per mezzo dell’amore di Dio, dove l’anima conosce DIO  IN DIO, fluisce in lui, ma rimane sempre distinta da lui. In Dio attinge, quel grado di grazia e di gloria che aveva avuto nella mente di Dio nella sua predestinazione. La sua dottrina sembra aver influenzato molti mistici posteriori, cattolici e protestanti, da Luigi di Granada a Giovanni della Croce, a Paolo della Croce, e perfino a Lutero. Riguardo al Natale riporto un brano estratto dal sermone n.1 del grande predicatore che afferma: “Oggi si festeggia, nella cristianità santa, una triplice nascita e ciascun cristiano dovrebbe trovare in essa una gioia ed una felicità così grande, tale da farlo uscire fuori di sé. C’è di che farlo entrare in trasporti d’amore, di gratitudine, di allegrezza. Un uomo che non sentisse niente di tutto questo dovrebbe tremare. La prima e più sublime nascita è quella del Figlio unico generato dal padre celeste nell’essenza divina, nella distinzione delle Persone. La secondo nascita, oggi festeggiata, è quella che si compì attraverso una madre che nella sua fecondità conservò l’assoluta purezza della sua castità verginale. La terza è quella con cui Dio, ogni giorno e ogni ora, nasce in verità, spiritualmente, attraverso la grazia e l’amore, in ogni anima buona. Queste le tre nascite che si celebrano oggi con le tre messe. Si canta la prima messa nell’oscurità della notte. Essa comincia così: Domunus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodie genui te (SAal 2,7), “Il Signore m’ha detto: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato”. Questa messa è la figura della nascita nascosta che si operò nel mistero e nel segreto inconsolabile della divinità. La seconda messa comincia così: Lux fulgebit hodie super nos  (Is 9,7), “Oggi la luce brillerà su di noi”. Essa ci ricorda lo  splendore della natura umana divinizzata, ed è per questo che tale messa si celebra in parte durante la notte ed in parte durante il giorno, simbolo di una nascita in parte conoscibile ed in parte inconoscibile. La terza messa si canta in pieno giorno. Ecco il suo Introito: Puer natus est et Filius est nobis,  bambino è nato per noi ed un Figlio ci è stato dato”. Essa ci fa pensare all’amabile nascita che, ogni giorno e ad ogni istante, si deve realizzare e si realizza in ogni anima buona e santa, solo che essa voglia donarvi un’amorevole attenzione. Infatti per sentire in noi questa nascita e prenderne coscienza, è necessaria una concentrazione ed un richiamo di tutte le nostre facoltà. Allora, in questa nascita, Dio diventa talmente nostro e ci si dona in proprietà in tal modo, che nessuno ha mai avuto nulla in simile intimo possesso. Il testo non ci dice forse: “Un bambino è nato per noi ed un Figlio ci è stato dato?” e’ nostro, del tutto nostro, nostro più di ogni altro bene. Egli nasce ad ogni istante ed incessantemente dentro di noi. E’ di questa nascita, ricordata dall’ultima messa, che vogliamo innanzitutto parlare. Per arrivare a comprendere come tale nascita abbia in noi tutta la sua nobiltà e fecondità, bisogna considerare il carattere tutto proprio della prima nascita, quella dal Padre, che genera suo Figlio nell’eternità. La sovrabbondanza della ricchezza trascendente della Bontà divina non permetteva a Dio di restare racchiuso in se stesso; doveva espandersi, comunicarsi, perché, per dirlo con Boezio e sant’Agostino, “la natura di Dio, il suo carattere, è donarsi”. Il  Padre è perciò comunicato dapprima attraverso la processione delle Persone divine, poi si è riservato al di fuori, nelle creature. Ecco perché sant’Agostino ha detto: “E’ perché Dio è buono, che noi esitiamo e tutto quello che le creature hanno di buono, esse lo hanno dalla bontà essenziale di Dio”. Qual è dunque la proprietà che noi dobbiamo considerare e studiare nel Padre che genera suo Figlio? Il Padre, in virtù stessa della sua proprietà personale di Padre, rientra in se stesso con la sua intelligenza divina. In una chiara comprensione, scruta in se stesso il fondo essenziale del suo essere eterno, e attraverso questa semplice comprensione, si esprime perfettamente in una parola, che è suo Figlio. E’ difatti nella conoscenza che il Padre ha di se stesso quello in cui consiste precisamente la generazione del suo Figlio nell’eternità. Il Padre è presente in virtù dell’unità dell’essenza, distinto in virtù della distinzione delle persone. Così dunque, il Padre prende coscienza di se stesso, si conosce, poi si distingue da se stesso generando la sua propria immagine, quella stessa che fin dal principio ha riconosciuto ed afferrato in se stesso. Rientra allora di nuovo in se stesso con una perfetta compiacenza nel suo essere. Questa compiacenza si espande in un amore ineffabile che è lo Spirito Santo. E’ così che Dio vive in se stesso, esce da se stesso e rientra in se stesso. Ecco perché ogni uscita si fa in vista del ritorno. Ecco perché  il movimento più nobile e più perfetto è quello del cielo, che, nel senso più stretto, ritorna alla sua origine e al suo punto di partenza. Per la stessa ragione il corso della vita umana è anche il più nobile e il più perfetto di tutti i movimenti, quando ritorna alla sua origine. Questa proprietà in virtù della quale il Padre rientra in se stesso ed esce da se stesso la dobbiamo ritrovare nell’uomo che vuole, come una madre, concepire in sé il Verbo in modo spirituale. Egli deve rientrare completamente in se stesso per poter poi uscire da se stesso. Ma come? L’anima è dotata di tre nobili facoltà che ne fanno una pura immagine della Santissima Trinità: la memoria, l’intelligenza ed il libero arbitrio. Per mezzo di queste facoltà l’anima è capace di afferrare Dio e di restarne impressionata in tal modo da poter ricevere tutto quello che Dio è, possiede e può donare; è così che essa si fissa già nell’eternità, perché l’anima è nel tempo e nell’eternità. Attraverso le sue facoltà superiori essa appartiene all’eternità, mentre che per la sua parte inferiore, attraverso le facoltà sensibili o animali, essa appartiene al tempo. Ma attualmente l’anima si diffonde nel tempo e nelle cose temporali sia attraverso le facoltà superiori che con le inferiori. E la ragione va ricercata nella stretta unione che intercorre tra queste facoltà. Questa unione rende così facile la dispersione interamente nelle cose sensibili, da distrarsi così dalle realtà eterne. Ma per la verità, ci è del tutto necessario un ritorno su noi stessi perché questa nascita si compia; è necessario raccoglierci intensamente, ricondurre e radunare tutte le nostre facoltà, le inferiori altrettanto bene che le superiori, e richiamarle da ogni dispersione alla concentrazione che rende più possedenti tutte le cose unificate. Se un cacciatore vuole raggiungere sicuramente il suo scopo, chiude un occhio perché l’altro veda meglio. Chi vuol comprendere una cosa a fondo vi impiega tutti i sensi e li riconduce in quel centro dell’anima da dove hanno origine. Così come tutti i rami derivano dal tronco dell’albero, così tutte le nostre facoltà, quelle della sensibilità, quelle con cui desideriamo, altrettanto bene che quelle con cui lottiamo, sono unite alle facoltà superiori nel fondo dell’anima. Ecco cosa significa entrare in noi stessi. Se ora vogliamo uscire da noi stessi, o meglio elevarci al di fuori e al di sopra di noi stessi, allora dobbiamo rinunciare ad ogni volontà, desiderio ed azione personale. Non deve restare in altro che una semplice e pura ricerca di Dio senza aver desiderio di modo lo sia, e senza alcun desiderio di essere, di diventare o di ottenere qualcosa che sia soltanto nostra, ma con la sola volontà di appartenere a lui, perché due esseri possano fondersi in un solo è necessario che si comportino l’uno passivamente e l’altro attivamente: perché l’occhio possa percepire le immagini che sono su una parte, o qualsiasi altro oggetto, non deve avere dentro di sé alcun’altra immagine. Così pure quand’egli già avesse l’immagine di un determinato colore, non potrebbe mai percepire contemporaneamente un’altra, allo stesso modo che l’orecchio, già impegnato da un determinato suono, non può contemporaneamente percepirne un altro. Così dunque tutto quello che è destinato a ricevere dev’essere vuoto, puro e netto. Ed è per questo che sant’Agostino ci dice: “Svuota te stesso perché tu possa essere ricolmato; esci da te stesso per potervi rientrare”. E ancora: “O anima, nobile creatura, perché cerchi fuori di te quello che è interamente in te nel modo più vero e manifesto? E poiché tu partecipi della natura divina, cosa t’importa delle creature e che cosa hai dunque a che fare con loro?”. Se l’uomo preparasse così la base di fondo, Dio, senza alcun dubbio, sarebbe obbligato a colmare il suo cuore, e completamente; così come la volta del cielo sarebbe pronta a riempirsi per colmare il vuoto. Ancor meno Dio potrebbe lasciare le cose vuole, perché questo sarebbe contrario alla sua natura e alla sua giustizia. Perciò tu de vi tacere: perché allora il Verbo di questa nascita potrà esser pronunciato in te e tu potrai intenderlo; ma, siine ben sicuro, se tu vorrai parlare, lui dovrà tacere. Non si può servir meglio il Verbo che tacendo ed ascoltando. Se dunque esci completamente da te stesso, Dio entrerà, tutt’intero; man mano che tu esci, egli entra, né più né meno”.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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