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LA BEATA EUSTOCHIO DI PADOVA E IL DEMONIO PDF Print E-mail
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LA BEATA EUSTOCHIO DI PADOVA E IL DEMONIO

“Non possiamo permetterle di restare con noi! Il demonio si è impossessato del suo corpo!”, gridava una monaca. “Strega!”, rispondeva un’altra monaca, additandola con veemenza. Non era proprio il linguaggio più adatto per delle Monche Benedettine, come quelle del Convento di Santa Maria della Misericordia, dove Lucrezia Bellini si era ritirata ma la fanciulla rappresentava un pericolo, poiché il demonio si era realmente impossessato di lei. Anzi, Lucrezia, è la prima Santa ad essere stata posseduta dal demonio. Una tortura che la accompagnerà per tutta la sua breve vita, provocandole tormenti atroci, sia fisici che spirituali. Il suo destino sembrava averla segnata già dalla nascita. Era una figlia illegittima, di una suora e di Bartolomeo Bellini, un gentiluomo che tanto gentiluomo non era. A quattro anni viene affidata alle monache di san Posdocimo, un convento piuttosto inusuale perché più attento alla vita mondana che a quella spirituale. Non vi regnava alcuna forma di disciplina, ma nonostante questo, ella si ritirava da sola in preghiera, tenendosi lontana da quelle che percepiva già come delle tentazioni. ... 

... La condotta delle suore del convento finì per attirare l’attenzione delle autorità: tutte le monache furono allontanate e Lucrezia rimase sola, continuando a dedicarsi al culto della Vergine, di San Girolamo e di san Luca, cui era particolarmente devota. Poi arrivarono le Benedettine del Convento della Misericordia e con esse anche una nuova austerità. Ella allora aveva 18 anni ed espresse il desiderio di ricevere il velo. Fu allora che il demonio cominciò ad  ossessionarla: diventava violenta senza neanche rendersene conto, dalla sua bocca uscivano parole oscene e irrepetibili. Le suore la chiusero in una prigione per tre mesi, nutrendola solo con pane e acqua, ma il demonio non le dava tregua: la fanciulla stava male fisicamente, si infliggeva continue penitenze fino a quando, stremata, si trovava solo con le su preghiere. Il XV secolo è quello che fa del demonio una vera e propria costante nella vita religiosa dell’Europa occidentale: esorcismi, spiriti maligni, magia nera e stregoneria finivano per mescolarsi a vicenda ed era facile perdere il giusto punto di vista. Ma le suore rimasero profondamente colpite dalla serena accettazione con ella si sottometteva a quelle terribili torture e compresero che il suo era un animo puro, desideroso solo di ritrovare la libertà. Lucrezia ottenne così l’agoniato velo e mutò il suo nome in quello di Eustochio (1444-1469). La sua vita stava per spegnersi perché era ormai ridotta allo stremo delle forze: non mangiava quasi più e trascorreva le sue giornate a letto, delirando più che pregando. Dopo la morte il suo corpo è stato deposto in un’arca di cristallo e trasportato nella Basilica di San Pietro a Padova. La beata Eustochio ebbe numerosi assalti demoniaci come leggiamo nella sua vita, scritta dal Padre Giulio Cordara della Compagnia di Gesù che scrisse. “Incominciò il demonio a straziarla dall’età di quattro anni, e durò pressoché fino al termine di sua vita che fu di anni 25. da una sì lunga e dolorosa serie di patimenti (scrive il sud. Autore, cap. 9), che appena senza orrore e ribrezzo ponno ricordarsi, non che descriversi,m apparirà quanto superiore sia la virtù della grazia celeste a tutti gli sforzi dell’inferno, e quanto poco possa il demonio contro d’un’anima avvalorata dalla grazia di Dio. Prese il demonio a farle degli insulti più stranio e più frequenti, fino a volerla uccidere, se Iddio glielo avesse permesso. Ora la conduceva in qualche stanza più ritirata, e spogliata di tutte le sue vesti , aspramente la percuoteva con un flagello armato d’acute punte, o anche le squarciava crudelmente le carni con un coltello. Ora la trascinava crudelmente le carni con un coltello. Ora la trascinava furiosamente per terra fino alla porta del Monastero, quasi volesse cavarla fuori da quel sacro recinto, e talvolta sollevandola in alto da terra, lasciava poi cadere a piombo, sicché parea miracolo che non restasse sul colpo colle ossa infrante. Più volte le trinciò minutamente la pelle sopra del collo e molte volte le incise le vene con grande effusione di sangue, fino a patirne mortali sfinimenti e deliquii. Spesso cigevala strettamente con funi, le stringeva gagliardamente la testa, o gliela bagnava con acqua gelata, per cagionarle acuti dolori, come seguiva. Tre o quattro volte al giorno le dava a bere gran vasi d’acqua fredda, a solo fine che le si stemperasse lo stomaco, e talvolta vi mescolava dentro della calcina, della vernice o altra simil cosa nociva a in guisa. Nel prendere il cibo le moveva e conturbava lo stomaco a in guisa, che era a subito rigettarlo e spesso col cibo vomitava anche del sangue. Oltre a tutto ciò, le cagionava continuamente dogli atrocissime in tutto il corpo, talché parevale alle volte di bruciar viva in mezzo al fuoco, talvolta d’essere trinciata a brano a brano da taglienti rasoi, tal’altra volta si sentiva come stritolare tutte le ossa con dolori così acerbi ed intesi, che la riducevano agli estremi”. La Chiesa festeggia la beata Eustochio di Padova il 13 febbraio.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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