MADRE CLELIA GENGHINI E ANGELI |
L’intima amicizia con gli Angeli, sostenuta da rapporti oranti frequenti, ed esaudite dagli Spiriti celesti, fiorì anche tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, la Congregazione femminile fondata da S. Giovanni Bosco. Madre Clelia Genghini (1872 – 1956), Consigliera e Segretaria dell’Istituto, morta in concetto di santità, può considerarsi la massima rappresentante della devozione all’Angelo Custode che caratterizzò tutta la sua vita religiosa. Contemplativa , pur generosamente impegnata nell’azione, aveva una spiccata familiarità con il suo invisibile Compagno a cui chiedeva, con assoluta fiducia, consiglio e aiuto nelle minute circostanze del quotidiano. Clelia nata il 9 giugno del 1872 a Coriano, a solo pochi passi dalla Casa Madre delle Maestre Pie dell’Addolorata, dove ancora per altri sette anni, operava tenacemente come Superiora Generale Elisabetta Renzi, aiutata dalla nipote Giuseppina Renzi. Queste due figure avranno in seguito un peso determinante nella crescita umana e spirituale della nostra Clelia, che fin da piccola era abituata a frequentare di questo Istituto di suore, sia la chiesetta per le regolari funzioni, sia l’oratorio per i momenti ricreativi. ... ... La madre, Teresina Cagnoli, originaria di Montescudo, poco distante da Coriano, ha da subito insegnato alla piccolissima Clelia le semplici devozioni cristiane, che in famiglia erano giornaliere, facendo si che crescendo si innamorasse in misura incalcolabile alla Madonna del Popolo, piccola immagine venerata nella chiesetta delle Maestre Pie, ed al Santissimo Crocifisso venerato nella chiesa parrocchiale . Da buon fornaio il padre Guglielmo, nativo di Coriano, ben volentieri si faceva accompagnare dalla figlioletta nelle varie consegne del pane alle povere suore, che all’epoca trascorrevano veramente momenti difficoltosi, sebbene non fossero dimenticate dai Corianesi e dalla Divina Provvidenza. Clelia crebbe in una famiglia pia, timorosa di Dio e confidante nella Madonna, con due zii sacerdoti che non mancavano di consigliarla adeguatamente, non nascondendo il piacere di vederla un giorno donata al Signore. Ma sebbene la sua crescita fosse ricca di spiritualità, purtroppo Clelia di salute era alquanto cagionevole; a soli due ani una grave malattia sembrava strapparla alla vita, costringendo la madre a richiedere all’allora Vescovo di Rimini, presente in Coriano per nuove vestizioni religiose delle Maestre Pie, la Santa Cresima che le venne urgentemente concessa e con vero entusiasmo Madre Giuseppina Renzi si offrì quale madrina. Scampato per grazia il pericolo della morte, Clelia stringeva sempre più il suo legame con le Maestre Pie e con la miracolosa immagine della Madonna del Popolo, ancora oggi venerata dalla popolazione Corianese, considerando come seconda madre la sua madrina cresimale Giuseppina Renzi,sempre presente nei momenti importanti anche con piccoli doni, come il libretto di preghiere regalatole in occasione della sua prima Comunione. L’adolescenza passava anche con tristi momenti: situazione economica familiare terribile, la morte della madre, il distacco dai due fratelli maggiori partiti per Torino a frequentare il collegio fondato da Don Bosco, che proprio in quei giorni era a Rimini e così via…Queste prove la portavano sempre più vicino all’altare a pregare il Santissimo nel tabernacolo, ricevendone grandi conforti, tanto da incominciare a pensare con serietà alla vita religiosa. A dodici anni viene inviata dallo zio Don Giovanni, parroco di Meleto, che si preoccupava subito della sua educazione e consigliatosi con la Madre Giuseppina Renzi, decide di inviare la giovinetta presso il collegio di San Luigi di Rimini, aperto nel 1876 dalle Madre Pie. L’ambiente fu da subito di suo pieno gradimento, le cordiali collegiali, le dolci suore maestre, l’aiutarono a superare i suoi nostalgici ricordi verso il piccolo paese natio. Intanto la buona Madre Giuseppina Renzi, chiaramente comprendeva la crescente vocazione che sempre più si manifestava nell’animo di Clelia e ottenuta la patente di maestra, di comune accordo, concordarono il suo invio come insegnante nella nuova Casa di Montefiore di Conca, sperando che la vita comunitaria le desse il coraggio necessario per la scelta vocazionale. Qui, in occasione di una visita della Madre Giuseppina, Clelia ebbe un forte colloquio con lei, con lo scopo di verificare la possibilità di entrare nelle Maestre Pie. Clelia, seppur riconoscente verso le Maestre Pie, non vedeva ancora chiaro nel suo futuro e ritornò dallo zio Don Francesco, passando le sue giornate pregando fortemente perché fosse fatta luce nel suo cuore. Ma lo zio conosceva chiaramente l’intimo della nipote che nel frattempo aveva avuto modo di conoscere le Suore di Maria Ausiliatrice, fondate da Madre Maria Domenica Mazarello, con ferma determinazione le indicò la strada della sua vita, inviandola presso la Pia Casa del noviziato di Nizza Monferrato, chiaramente solo dopo aver salutato ed avuto conforto da madre Giuseppina, alquanto desolata da tale improvvisa ed inaspettata decisione. Ormai è fatta, Clelia è suora di Maria Ausiliatrice, e il suo destino è legato a questa Congregazione, che proprio in quel periodo stava diffondendosi in maniera notevole. I suoi primi incarichi in seno all’Istituto furono: a Casale Monferrato come maestra; a Conegliano Veneto come Direttrice; quindi Visitatrice delle case del Veneto e dell’Emilia prima e della Spagna poi. Nel 1905 Madre Clelia iniziando la sua esperienza spagnola, in una lettera di circa un anno dopo, evidenzia la povertà di quella terra e la sua incondizionata volontà di operatrice “Ci sto volentierissimamente , perché qua ho trovato Gesù sulla paglia….” Nella casa di Barcellona ella ha anche l’incarico di maestra delle novizie, dimostrando pazienza ed esemplarità nell’insegnamento, seppur si considerasse inesperta per tale incarico. L’amore per la Spagna crebbe giorno dopo giorno, tanto da vederla in continuo spostamento da casa in casa, accompagnando suore per nuove fondazioni o intervenendo a sollevare disastrose condizioni economiche, questo con grande capacità e buon senso. Nel frattempo nel 1907, la sua buona madrina Giuseppina Renzi era volata dal suo amato Sposo e forse nessuno si sarà preoccupato di comunicarlo a Madre Clelia, che comunque nei suoi scritti, descrive come edificanti gli incontri avvenuti con Giuseppina. Dopo alcuni anni e siamo nel 1908 è di ritorno in Italia, a Nizza Monferrato, nei luoghi della giovinezza, ma non per molto. Infatti dopo un breve soggiorno a Roma per una udienza con papa Pio X, eccola imbarcarsi dal porto di Genova sulla nave “Sicilia” per il Brasile, dove visita tutte le case, quindi visita quelle dell’Uruguay e dell’Argentina. A Montevideo ebbe la gioia d’incontrare il fratello Don Zaccaria, proveniente dalla Patagonia , missionario salesiano. Don Zaccaria venne ordinato sacerdote nel 1895 seduto su una sedia, più morto che vivo, tanto da temere che no arrivasse alla conclusione della consacrazione, solo alcune settimane dopo la consacrazione, come miracolato, si alzò in piedi divenendo in seguito un laborioso missionario. L’avventura di Madre Clelia in America Latina non era ancora giunta al suo apice; nel 1910 continua la sua visita alle case del Matto Grosso, risalendo non senza pericoli, il corso di barche e di piroghe quindi, facendo ore su ore in dorso di mulo, giunse assieme ad altre consorelle, nella lontana Colonia del Sacro Cuore. La festa organizzata all’arrivo dalle consorelle fu un vero tripudio, ma la sua vera gioia fu quella di assistere , dopo diverse domeniche di forzata impossibilità, alla Santa Messa in una povera chiesetta di canne e fango. I suoi viaggi seguirono ininterrottamente: Patagonia, Perù, Cile, Panama, Colombia, San Salvador, Messico, qui correndo gravi pericoli a seguito di sommosse politiche, Stati Uniti. Sempre serena e cantando il “Te Deum laqudamus” per le spirituali esperienze delle sue visiti missionarie, ancora la benedizione di papa Pio X in una speciale udienza romana. Nel Capitolo Generale del 15 settembre 1913 le madri la designarono Segretaria Generale dell’Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, riconfermando fino alla morte. Scriverà nelle sue memorie “Un gabbia dorata…”. Il suo nuovo incarico non gli permetteva di muoversi più di tanto da Nizza Monferrato. Essa lo svolse con la massima dedizione e con amore incondizionato verso la Chiesa e l’Istituto, scrivendo libri di preghiera e di notizie sulle prime madri e su diverse consorelle, chiedendo conforto esclusivamente al Santo Tabernacolo, che a suo dire una sera le disse con chiara voce: “Vivi il momento…vivilo in amore!”. Parole più che confortanti. In seguito fu incaricata di effettuare diverse visite in alcune case del Belgio, della Francia e della Spagna, quindi, un secondo viaggio in America Latina. Ma ormai diversi dolori la costringevano a forzati riposi; anche se per umiltà non richiedeva alcun aiuto a sollievo della sua sofferenza. Le consorelle si prodigarono nell’aiutarla amorevolmente, ma Clelia desiderava non disturbare , invocando soltanto l’aiuto dell’Angelo Custode. Madre Clelia chiuse gli occhi terreni, quasi inaspettatamente, per riaprirli in cielo nelle prime ore del 31 gennaio 1956, festa del suo fondatore San Giovanni Bosco. Ci sono stati tramandati tanti episodi di interventi angelici nella vita di Madre Genghini, sorprendenti e di vario genere: da salvataggi nei pericoli di morte, ad insperati aiuti finanziari per le sue opere di carità, a soccorso nel disbrigo del suo lavoro di ufficio. La sua confidenza nell’Angelo Custode era incrollabile da sembrare talora ostinazione. Non minore appariva la sua gratitudine, quando riceveva qualche celeste favore. Con commozione e profonda riconoscenza esclamava: “Grazie, grazie, Angelo mio! Quanto sei buono! Oppure Quanto sono buoni e potenti gli Angeli! Confidiamo nel loro aiuto!”. Tra i tanti episodi di protezione angelica disseminati nella lunga esistenza di Madre Clelia, ci piace ricordare questo fatto, avvenuto quando ella accompagnò la Vicaria generale dell’Istituto in visita alle Case d’America. In un avventuroso viaggio a cavallo alle Missioni del Mato Grosso, mentre la comitiva faceva sosta presso un corso d’acqua, Madre Genghini ne approfittò per lavare della biancheria. Si inginocchiò sulla riva, ma ben presto sentì il terreno cedere sotto il suo peso e slittare verso il fiume. Si accorse di trovarsi, purtroppo su una di quelle terre insidiose, “trembladeras”, in procinto di trascinarla nell’acqua. Intanto dal terreno divenuto melmoso, affioravano come delle bolle che si aprivano lasciando apparire alla superficie la testa di un serpentello con la lingua biforcuta, pronto all’assalto…il terreno divenne tutto un gonfiarsi di bollicine che si moltiplicavano intorno alla sua persona e un drizzarsi di serpentelli viscidi e minacciosi. Era una tana di serpenti. Madre Clelia si vide perduta: ogni tentativo per rialzarsi la faceva sprofondare ancora di più. Non c’era nessuno lì vicino che potesse udire la sua invocazione di aiuto…solo l’Angelo Custode l’udì e prontamente la soccorse. Senza sapere come avvenne la Madre si trovò d’un tratto fuori dal pericolo, in un punto discosto, su un terreno asciutto. Fino agli ultimi anni della sua vita, ricordando quell’episodio ne parlava con intensa commozione e riconoscenza verso il suo invisibile soccorritore. Oltre a favori materiali, riceveva dagli Angeli pensieri, suggerimenti, richiami per la sua vita spirituale, che soleva annotare nelle ore notturne subito dopo averli…ascoltati. Erano quelle – come le chiamava – “dolci notti d’amore sotto l’ala dell’Angelo mio”. Una nota originale, caratteristica della devozione di Madre Genghini all’Angelo Custode – che è assai importante comprendere bene – è il voler conoscere e ricercare il nome del proprio Compagno celeste. Anche ad altri suggeriva di chiederlo al Signore nella S. Comunione. Sappiamo bene che la Chiesa, fino dagli antichi Concili ai nostri giorni, ha sempre proibito ai fedeli di dare nomi agli Angeli, eccetto i tre ricordati dalla Sacra Scrittura, Michele, Gabriele, Raffaele, che designano la loro missione. Certo Madre Clelia non la pensava diversamente e sarebbe del tutto aliena dall’approvare oggi i tanti nomi astrusi, inventati a scopo di lucro da presunti indovini, che circolano tra i fedeli ingenui e ignoranti. Il suo desiderio e i suoi tentativi di conoscere il nome dell’Angelo Custode (non un nome proprio ma un nome astratto come “grazie!”, “luce”, ossia luminosità) scaturirono da un’intuizione mistica profonda, non discorde dalla fede e dalla teologia cattolica. S. Tommaso infatti insegna che “ad ogni singolo uomo è assegnato [da Dio] un Angelo particolare, perché la custodia angelica riguarda anche l’attività intima e occulta [del singolo] che interessa la sua salvezza”, il disegno – potremmo aggiungere – che Dio ha su di lui e che ne fa un essere unico, irripetibile. Era appunto questo che Madre Genghini voleva conoscere e ricercava: il quid personale per cui ogni Angelo, secondo S. Bonaventura, si distingue dagli altri suoi simili. Ora in un rapporto di intima amicizia, di comunione soprannaturale, la personalità dell’Angelo Custode si riflette necessariamente – è lecito supporlo – trasparenza luminosa di Dio, quella della persona a lui affidata, dovrà essere ugualmente “luce”, secondo il disegno della Provvidenza destinato a realizzarsi con la collaborazione del protetto; s invece è “grazie!”, incessante ringraziamento a Dio ( questo era il nome del celeste Custode di Maria Clelia), ella dovrà impersonarlo nella sua vita. Le consorelle della Madre testimoniano che davvero la gratitudine, verso Dio e il prossimo, era una delle note più spiccate della sua anima. Possiamo concludere che la ricerca del nome dell’Angelo Custode, come l’intendeva Madre Clelia Genghini, è non solo lecita, ma anche consigliabile ai devoti degli Spiriti celesti, quale aiuto nel progresso della vita spirituale. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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