LA VENERABILE SUOR ROSA MARIA SERIO E SAN MICHELE |
Non ci sono traduzioni - There are no translations - Nein Übersetzungen - No traducciones - Aucun traductions La venerabile suor Rosa Maria Serio nacque ad Ostuni il 6 agosto del 1674, da Antonio Serio, medico, e di Francesca Spennati. Fu battezzata come Romana ed entrò, sedicenne, nel Carmelo di Fasano (al tempo Conservatorio di Terziarie Carmelitane Scalze, intitolato a S. Teresa) Suor Rosa Maria entrò con una sorella maggiore, Maddalena, in seguito suor Michela di S. Francesco (1673-1708), e fu poi seguita, nello stesso Carmelo, da due sorelle minori: suor Maria Benedetta dello Spirito Santo e Suor Michela della Santissima Trinità. Nella sua comunità fu portinaia, economa, maestra e priora per diciotto anni. Dopo una lunga e penosa malattia, spirò il 9 maggio del 1726. la descrizione della suora era questa: “Era di mediocre statura, di complessione robusta e sanguigna, di bel colore e ben composta; ma divenuta poi pallida e scarna per le continue malattie e penitenze. Il suo volto era sempre allegro e gioviale, la bocca ridente, le labbra sottili e porporine. Gli occhi neri e brillanti, modesti però e regolati nello sguardo. Le ciglia nere e incarnate. ... ... Il naso non tanto profilato, nulladimeno proporzionato alla faccia che propendeva nel lungo… Il passo moderato e grave. Il tratto amabile e cortese di modo che chiunque aveva occasione di trattarla, restava preso dalla sue dolci ed amabili maniere”. Romana, a sedici anni, lasciò la sua amata Ostuni per entrare nel Carmelo di Fasano, dove ricevette l’abito carmelitano il 1 ottobre 1690, iniziando un noviziato austero, dove la sua propensione per la penitenza fu ampiamente valorizzata dalla maestra, suor M. Maddalena di s. Niccolò e dalla priora delle terziarie carmelitane, madre Cherubina di s. Giuseppe, con penitenze pubbliche e private di ogni tipo. Verso la fine dell’anno,m essendo insorta la peste, le consorelle ritennero che per le sue preghiere la comunità ne fosse stata esentata, patendone lei solo il contagio. Ritenendo che il percorso della giovane fosse segnato da troppi eventi straordinari, la priora preferì farla esaminare a più riprese. Mentre un primo esame le risultò a lei favorevole, un secondo, fatto da un religioso rimasto anonimo, le fu contrario e la priora ebbe ordine di porre suor Rosa in carcere, in custodia alla monaca che l’aveva accusata. Ogni problema che insorgeva nel monastero le veniva attribuito. Le vennero a più riprese negati i sacramenti per studiare le sue reazioni, fino ad ordinarle una misura precisa e scarsa nell’acqua da bere. Considerato il fatto che veniva da una famiglia abbiente, venne incaricata in cucina delle faccende delle converse. Certo qualche problema in comunità c’era, se la giovane carmelitana si trovò a soffrire d’insonnia. L’interpretazione del tempo asseriva che si trattava di infestazioni diaboliche. Senza escludere qualche evento di tal genere, però, fa riflettere il fatto che, nel dormitorio comune, in più casi, suor Rosa, al mattino, si trovava senza abiti o velo da indossare che venivano, in seguito, recuperati in posti strani del monastero, dall’immondezzaio alle latrine. Insieme ai diavoli, è possibile che ci fosse qualche sorella invidiosa della povera giovane che tante attenzioni richiedeva da parte dei superiori. Nella Pentecoste del 1694, il 30 maggio, mentre stava ricevendo la comunione, un globo di fuoco le si posò sul cappo bruciandole parte del velo e della cuffia e imprimendole sul petto la forma di un cuore, rimanendole, sia sul capo che sul petto, delle ferite aperte e sanguinanti insieme ad una gioia spirituale particolare. Come in altri momenti difficili del suo cammino, veniva confortata da s. Maddalena de’ Passi che le indicava la strada da percorrere. La priora pensò di impiegarla in un ufficio che la distraesse e la togliesse spesso dalla cella. Così la promosse portinaia e in tale incaico non mancarono dei bei fioretti. Come quando la priora, in un periodo di siccità, le ordinò di non dare più l’acqua ai poveri fasanesi che la elemosinavano dal pozzo delle monache, rischiò di lasciare a secco pure il monastero. Quando si ricominciò a donarla, anche per le monache il pozzo riprese il suo livello consueto. Dopo una malattia logorante, durante la quale rimase per alcuni anni priva dell’uso delle mani e dei piedi e da cui fu miracolosamente guarita, per diversi anni servì la comunità anche come valente infermiera. Nel 1698, la comunità era composta quasi solo di giovani, con età media di trent’anni quando, durante l’anno di noviziato canonico, che era stato previsto avendo chiesto le terziarie di diventare monache di clausura, venne a mancare sia la priora suor Cherubina che il confessore ordinario. Dopo la professione di tutte, anche per suggerimento di suor Rosa, fu scelta la sottopriora suor Angela Musco e nel suo secondo priorato, venne eletta maestra suor Rosa Maria. La giovane maestra fu molto amata dalle sue novizie. Chiedeva una coerenza senza sconti, certo, ma forse, memore di quanto aveva patito per la severità della priora suor Cherubina, facile ad usare il cilicio e anche le mani per metterla alla prova, decise di dare un singolare metodo di correzione con le giovani. Ogni qualvolta queste commettevano una mancanza era lei ad accusarsi e a farne, anche pubblicamente, la penitenza. In questo modo, le novizie rimanevano così toccate dalla sua carità da rispondere, il più delle volte, positivamente alle sue richieste. Nel 1704, fu eletta priora e in questo ruolo, suor Rosa Maria, poté dispiegare , malgrado la giovane età, le sue doti di carità e discernimento verso la comunità che la ricambiò con affetto, riuscendo con vari permessi pontifici,a rieleggerla per sei mandati, quasi un ventennio. Le monache, durante il processo, ricordavano le sue sentite esortazioni, particolarmente di domenica, che rivolgeva alla comunità. Ma anche oltre le grate era nota la sua carità nel soccorrere i bisogni materiali e spirituali della popolazione che la cercava come madre, attenta pure ai bisogni dei passeri che nella calura estiva aveva bisogno di dissetarsi. Mistica concreta, riuscì anche a migliorare sia l’edificio che comprendeva ormai pure un educandato che le rendite, curando molto che tutte le proprietà fossero comuni, pure quelle provenienti dai lavori realizzati. La madre Serio ebbe una spiritualità profondamente cristocentrica, mariana e liturgica: fatto decisamente raro per il suo tempo. Pur non essendo arrivati sino a noi, altro che minime tracce delle sue letture, pare evidente che dovesse avere una discreta conoscenza tanto di una vita di s. Maria Maddalena de’ Pazzi (comprendente parte delle sue estasi a partire dal 1611) che delle opere di s. Teresa. In cella aveva sempre un Catechismo del Bellarmino. Non è noto quale fosse la sia comprensione del latino, ma le parole a lei attribuite fanno eco a responsorii ed elementi liturgici che poteva aver memorizzato. Numerose erano le testimonianze delle sorelle riguardo alla preparazione delle feste che curava, secondo lo stile del tempo, con penitenze, ma anche attraverso servizi alla comunità che svolgeva in prima persona, quando per censo e ruolo avrebbe potuto evitarli, uniti a giorni di esercizi spirituali. Un primo elemento indiscutibile era il suo legame con la passione del Signore e il suo natale che sembrava rivivere in prima persona. Ma, in diverse circostanze, il cuore del suo cammino di fede si sintonizzò, come per la sua maestra, s. Maddalena de’ Pazzi, sulla Pentecoste. A più riprese, in tale circostanza, visse particolari doni spirituali, ricevendo una sovrabbondante effusione dello Spirito che giungevano, stando alla testimonianza delle consorelle, a produrre ferite visibili sul suo capo e sul cuore. Un momento di significativa gioia era costituito, per lei, dal suo compleanno che solennizzava per la festa della Trasfigurazione. In sintesi, fu lei la madre del Carmelo pugliese che plasmò le giovani monache , sulle tracce di s. Maddalena de’ Pazzi e s. Teresa d’Avila. Riguardo alla sua grande devozione a san Michele il padre gesuita Giuseppe Gentili che scrisse la biografia della monaca riporta numerose grazie a lei concesse dall’arcangelo Principe. Il gesuita scrive che quando Rosa Maria che allora si chiamava Romana partì con sua sorella maggiore per recarsi al Carmelo di Fasano, mentre Suor Maria Cherubina di San Giuseppe, la fondatrice del monastero, stava in orazione, le apparve san Michele che conduceva per mano due fanciulle e le disse: “ Queste due fanciulle saranno tra breve vostre religiose; alla maggiore metterete nome suor Michela e all’altra suor Rosa Maria e questa Rosa sarà odorifera e darà odore a tutto il mondo”. Suor Rosa Maria entrata in monastero ebbe frequenti apparizioni di san Michele, La prima di cui abbiamo notizia fu quando la monaca essendo ammalata gravemente le fu ordinato che pur essendo la festa del santo Natale, non si recasse in coro a pregare con le altre religiose. Questo ordine le creò un gran dispiacere ma mentre tutte le monache erano a pregare nella chiesa del monastero, Suor Maria Rosa vide entrare nella sua camera la Madonna con san Giuseppe e giunta la mezzanotte vide assistette pure alla nascita di Gesù Bambino. Apparve poi pure l’arcangelo san Michele insieme con una grande moltitudine di angeli e dopo aver adorato il divino infante lo prese e lo depose nelle braccia della monaca. Un’altra volta che la suora carmelitana era particolarmente oppressa dai dolori fisici ebbe un’apparizione del Signore accompagnato da santa Caterina da Siena, da san Giovanni della Croce e dall’arcangelo Michele che le promise che l’avrebbe protetta per tutto il corso della sua vita. La venerabile ebbe un’altra misteriosa apparizione del Principe degli angeli il 29 settembre 1715 dove le si mostrò con una lancia nella mano destra, una spada nella sinistra e con uno scudo che pendeva di traverso dal collo. San Michele l’invitò ad andare presso di lui e la suora rispose: “ Andiamo, vengo a te o bellissimo Principe”. La suora poi pregò l’Arcangelo di portarla presso Dio e questi acconsentì al suo desiderio e così la carmelitana comprese il simbolismo delle armi del condottiero angelico: La spada indicava lo zelo con cui aveva combattuto gli angeli infedeli, lo scudo indicava la sua grande umiltà e la lancia indicava il suo grande amore all’Altissimo. Un’altra volta san Michele le apparve con in mano una spada e nell’altra una croce indicandole che ella come superiora doveva con una mano imbandire la spada dello zelo dell’onore di Dio e con l’altra la croce dei patimenti e delle sollecitudini che vanno annesse al governo. La suora dopo aver ricevuto questa istruzione si ritrovò in un istante trasportata in una spaziosa strada che ai suoi lati confinava con dirupi e precipizi. La strada era piena di animali orribili e mostruosi ma sopra ogni fiera vi era un bellissimo personaggio che briglia alla mano la teneva a freno ed esse per quanto inferocite erano così bene tenute sotto controllo che non si potevano gettare nei precipizi. Madre Rosa Maria era inorridita da tale visione e pensava al significato di tutto ciò che vedeva e si accorse che tutte quelle bestie si tramutarono in mansueti agnelli con grande soddisfazione di quei personaggi che li guidavano. San Michele allora le spiegò che quelle fiere rappresentavano le anime agitate dalle passioni che le spingevano a precipitarsi nei baratri di peccati e quei personaggi che li tenevano sia a freno, sia lontano dai precipizi erano i loro angeli custodi. Nel giorno della festa del Corpus Domini del 1715 madre Rosa Maria stando in orazione vide apparirle un altare e nel mezzo vi era l’arcangelo Michele che con la mano destra teneva elevata una sfera d’oro fiammante entro cui rinchiusa si vedeva l’Ostia consacrata. Dal cielo scendevano numerosissimi angeli dei più alti cori che con incensieri e con vasi pieni di profumi offrivano a Gesù sacramentato la loro umile adorazione. Gli angeli poi rivelarono alla pia carmelitana molte conoscenze riguardo l’altezza sublime del Mistero Eucaristico. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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