San Luigi Gonzaga e gli Angeli |
Un Santo gesuita molto devoto agli spiriti celesti fu San Luigi Gonzaga che nacque il 9 marzo 1568 a Castiglione delle Stiviere in provincia di Mantova, il giovane fu soprannominato “censore” per la sua disapprovazione di ogni forma di frivolezza e leggerezza. Anche i suoi superiori gli consigliavano una qualche moderazione nell’esercitare la mortificazione del suo corpo che lui esercitava in modo selvaggio e la esagerata dedizione agli esercizi spirituali che seguiva con incredibile intensità. Guardava sempre in basso, soprattutto in presenza di donne, compresa sua madre, tanto che poteva dire di non sapere riconoscere neanche le sue parenti dal momento che non le aveva mai vista in faccia. Difficile parlare di una vera e propria fede quanto di una selvaggia religiosità. Veniva descritto come saccente, ingenuo spigoloso poco simpatico con un profondo ed inconscio desiderio di morire. Fu così fin da bambino quando dovette combattere la più grossa delle battaglie che un bambino ... ... può mai compiere, quella di opporsi al padre che lo voleva soldato. Era figlio primogenito del Marchese di Castiglione delle Stiviere (Mantova), Ferrante Gonzaga che voleva il figlio continuatore del suo valore e delle sue gesta e della Contessa Marta Tana di Santona che, al contrario, avrebbe assecondato la chiara e precoce vocazione del figlio verso la vita religiosa. Il giovane Luigi cercò di non disobbedire al padre, assecondando alcune sue proposte, ad oltre obbedendo senza fiatare. A cinque anni lo accompagna in una missione ordinata dall’imperatore dopo la battaglia di Lepanto, a 10 anni carica i pezzi d’artiglieria facendoli scoppiare tra la paura e le risate degli altri soldati; lo segue in tutte le corti più fastose d’Europa dove il padre lo porta per fargli assaporare i piaceri della vita cortigiana ed allontanarlo così dalla “insana” intenzione. Conobbe ed imparò le usanze ed il linguaggio della vita militare, che però considerava volgari e blasfeme da vergognarsene davanti al suo tutore. Condusse così, per molti anni, come una doppia vita, da una parte come passivo ed obbediente frequentatore di Corti e caserme, dall’altra il percorso di dedizione alla preghiera e mortificazione del suo corpo. Già a sette anni recitava tutti i giorni l’Ufficio della Madonna seguito dai sette Salmi penitenziari, inginocchiato sul pavimento senza cuscino, a dodici anni per reagire e ribellarsi alla vita dissoluta della corte di Mantova dove era stato portato, si rinchiuse e si protesse con una vita di masochistiche privazioni che lo consumarono sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo. Successivamente parte da Roma e si dedica all’evangelizzazione di intere regioni. Alla fine di porre fine allo strazio di questa doppia vita e abdica a favore di suo fratello Rodolfo. Libero da qualunque altro impegno, accentua la sua professione di penitenza, si flagella con la frusta dei cani, digiuna tre giorni a settimana, si sveglia a mezzanotte per pregare, non accende il fuoco durante l’inverno. I suoi polmoni si ammalano ed è per scongiurare questo che ancora oggi è invocato. A 17 anni, decide di unirsi alla Compagnia di Gesù, il padre si oppone, la madre lo difende ed è per questo accusata di ingannare il figlio per favorire il fratello Rodolfo. Perfino il Vescovo, per le pressioni ricevute, tenta di dissuadere Luigi, ma sarà tutto inutile, alla fine Don Ferante si dichiara sconfitto. Ma Luigi non ha le cose facili neanche nella sua nuova vita, i superiori lo accusano di esagerare, che il suo modo è controproducente in quanto non imitabile ne uguagliabile. Non riscuote simpatie neanche tra gli altri novizi che lo vivono come un esempio non imitabile e quindi frustante e lui non sa proprio come comportarsi, la sua situazione gli sembra addirittura peggiore di quella di prima quando era costretto a fare il falso cortigiano, è un periodo di depressione e sfinimento. Scoppiata la peste a Roma, i Gesuiti aprirono un ospedale dove curare i malati, Luigi chiese il permesso di unirsi a loro. Si dedicò a questo compito con la più totale dedizione, curava e consolava i malati per loro chiedeva elemosine cibo per le strade, svolgeva le mansioni più umili. Il suo fisico cedette, rimase contagiato e credette di essere in punto di morte, prospettiva che gli diede gioia e sollievo. Subito si pentì ritenendo peccato l’impazienza di voler raggiungere il Paradiso, raddoppiò le sue preghiere. Morì verso la mezzanotte tra il 21 ed il 22 giugno, durante l’ottava del Corpus Domini, il giorno da lui predetto. Era il 1591 e Luigi aveva solo 23 anni. Fu beatificato nel 1605 e canonizzato nel 1726, il suo corpo è custodito in una cappella laterale della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma, mentre il capo è custodito e nella Basilica a lui dedicata, in Castiglione delle Stiverie, suo paese natale. Da uno scritto del santo gesuita apprendiamo i suoi propositi e le sue pratiche devozionali in onore dei Santi Angeli: “Immaginerai di trovarti fra i Nove Cori degli Angeli che stanno facendo orazione a Dio e cantando quell’inno: “Sanctus Deus, Sanctus Fortis, Sanctus Immortalis, Miserere nobis”, però ripetendolo tu ancora nove volte, farai con essi la loro orazione. All’Angelo Custode ti raccomanderai particolarmente tre volte al giorno: la mattina con l’Angele Dei, la sera con la stessa orazione e durante il giorno quando vai in chiesa a visitare gli altari. Fa conto che dal tuo Angelo devi essere guidato come un cieco, che non vedendo i pericoli della strada si mette del tutto nella provvidenza di quello che per mezzo del bastone lo guida”. Luigi Gonzaga proposto, in passato a molte generazioni di giovani, soprattutto quale modello di verginale, angelica purezza, dai biografi moderni è invece segnalato per altri aspetti anch’essi di alto valore morale e spirituale, virtù apprese – possiamo dire- alla scuola degli Angeli Santi. Considerando la breve esistenza di questo Santo, si è anzitutto impressionati dalla sua coraggiosa determinazione nella difesa della propria vocazione religiosa contro la dura opposizione del padre; dalla sua fortezza, e umiltà insieme, nella decisa rinuncia al Ducato e agli onori della corte che gli spettavano di diritto, per abbracciare, nella Compagnia di Gesù, una vita di totale sottomissione, di evangelica penitenza, di povertà; dalla carità esercitata in grado eroico, che lo spinse a donare tutto se stesso nella cura degli appestati, contraendo il morbo che lo condusse alla tomba all’età di 23 anni. Dal suo primo biografo, il gesuita Virgilio Cépari, si è informati che, tra i soggetti di meditazione preferiti da S. Luigi Gonzaga, vi era quello delle “Eccellenze dei Santi Angeli”. Su questo tema, per richiesta di Padre Vincenzo Bruno, il giovane Santo scrisse un’ampia meditazione, pubblicata, in aggiunta finale, nella prima edizione della “Vita di S. Luigi Gonzaga” del Padre Cépari nel 1606, tralasciata poi nelle successive edizioni. Il Santo inizia la sua meditazione sugli Spiriti celesti con uno sguardo prolungato rivolto al Cristo Signore, che, “per il grande amore” verso di noi, ci offre sempre “nuove occasioni” di progresso nelle virtù. Una di queste è la “memoria” dei Santi angeli e particolarmente del “glorioso S. Michele Protettore della Chiesa”, che essa celebra “con qualche solennità”, perché tramite il ministero angelico tutto il popolo di Dio riceve dal Signore “tanti e contenuti benefici”. E’ questa una verità da non dimenticare mai; gli Angeli sono mediatori delle grazie divine, “servi” (cfr. Ap 29, 9), ministri “inviati per servire coloro che devono entrare in possesso della salvezza” (Eb 1,14), secondo questa emblematica definizione della Lettera agli Ebrei citata qui dallo stesso S. Luigi. Proseguendo nella sua meditazione, il Santo passa a considerare la peculiare virtù degli Spiriti beati, che è l’umiltà: essi “non sdegnano di abbassarsi al servizio dell’uomo, tanto inferiore a loro e neppure di averlo per compagno” nella beatitudine eterna, chiamato ad occupare le sedi rimaste vacanti per la caduta degli spiriti ribelli. A questo atteggiamento di profonda umiltà, gli Angeli sono sollecitati dall’abbassamento del Verbo, che si è incarnato per la salvezza dell’uomo, e che essi adorano e servono. L’esempio dell’umile Michele (e della) schiera degli Angeli buoni (che) per zelo della gloria divina si opposero “all’orgoglioso serpente” (cfr. Ap 12,7ss.) e “furono da Dio tanto sublimati e onorati” è un incitamento, per i fedeli, all’umiltà; così conclude S. Luigi, dichiarando perentoriamente:”E’ decreto infallibile ed eterno di Dio che ognuno possa ascendere alla gloria che gli Angeli posseggono, se non per la via dell’umiltà, per la quale essi camminarono”. Si sa che il nostro Santo recitava ogni giorno un’orazione particolare agli Angeli perché l’aiutassero a percorrere il cammino dell’umiltà, ch’essi batterono per primi. Egli desiderava di giungere ad occupare il posto di una di quelle stelle che caddero dal Cielo per superbia. Nella seconda parte della sua meditazione , S. Luigi traccia un parallelo tra l’Arcangelo Raffaele, di cui parla il Libro di Tobia, e l’Angelo Custode, che da quello assume le sue peculiari caratteristiche. E’ interessante notare a questo proposito come la figura di S. Raffaele, nell’arte pittorica dal Rinascimento in poi, perde gradatamente la sua fisionomia biblica per trasformarsi nell’immagine generica dell’Angelo Custode, che conduce per mano un giovanetto o un bambino (Vds. Ad es. opere di Palma il Vecchio e del Murillo). Raffigurazione tanto cara alla pietà popolare, divenuta tradizionale, e tramandatasi con fortuna nei secoli ai nostri giorni. Dopo un’analisi attenta e approfondita dei vari elementi che costituiscono la figura di S. Raffaele nella narrazione biblica, applicabili all’Angelo Custode, S. Luigi delinea la vera fisionomia e attraente del celeste Guardiano, riassumendola nei punti seguenti. Ascoltiamolo! – Come l’Arc. Raffaele a Tobia, così a te l’Angelo Custode procura beni temporali, quali “la salute, la forza e altri aiuti” per una vita conforme alla tua invocazione e al tuo stato. – Sull’esempio di S. Raffaele, che presentava a Dio le preghiere e le buone opere di Tobi e di Sara (cfr. Tb 12,11 ss.) il tuo celeste Custode offre al Signore “le tue orazioni, i tuoi desideri e quel poco che fai di buone opere, riportando da Dio all’anima tua sempre qualche dono e grazia divina”. – L’Arcangelo insegnò a Tobia “il modo che doveva tenere per cacciare il demonio (cfr. 6,8 ss.). Il tuo Angelo amico come “un fedele capitano, a cui sia stata data in guardia una fortezza, sta vigilante acciocché il nemico né per forza né per inganno” possa vincerti. Allontana da te “le occasioni di peccare”; ti istruisce sul modo di comportarti nelle prove; ti conforta e ti incoraggia “quando sei travagliato e combattuto dalla tentazione”; ti impetra infine “dal Signore aumento di forze e di grazia per potere resistere e riportare vittoria”. – Ad imitazione di S. Raffaele, che “legò il demonio confinandolo nel deserto perché non uccidesse Tobia come tutti gli altri martiri di Sara (8, 1-3) “il tuo buon Angelo ti assiste particolarmente al tempo della morte per liberarti dalle insidie del demonio, preservandoti da quei peccati ai quali in quel punto si è soggetti come l’infedeltà e la disperazione”. S. Luigi si sofferma, quindi, ad immaginare – congetture non lontane dal vero- il compito dell’Angelo Custode dopo “l’uscita dell’anima dal corpo”. Egli stesso l’accompagna al “tribunale di Dio” consolandola e “mettendole avanti i meriti di Cristo” in cui confidare. Se poi è destinata al Purgatorio,, il buon Custode la visita, la conforta e dà (persino) notizia dei suffragi che si fanno nel mondo” per lei. L’epilogo della narrazione biblica è il ritorno di Tobia alla casa paterna(cfr. 10,8ss.), dove l’Arcangelo lo riconduce, dopo avergli procurato una sposa e molti beni. Allo stesso modo l’Angelo Custode porta a compimento la sua missione verso il suo protetto; favorita l’unione dell’anima con il “celeste Sposo ornata di molti doni e grazie divine” la introduce nella “suprema Gerusalemme”, dove è accolta con molta festa e gaudio da tutti gli Angeli e Santi, da cui “era aspettata” e la presenta al Padre “per ricevere la corona della gloria”. S. Luigi conclude la sua meditazione ricordandoci il “gran debito di gratitudine” che abbiamo verso il Creatore per il dono prezioso della custodia angelica e verso gli Angeli stessi per la “grande carità” che esercitano nei nostri confronti. Ci invita quindi a ricambiarli:”Per l’assistenza del tuo Angelo gli devi onore, devozione, e riverenza, guardandoti di fare (davanti a lui) cosa che tu non faresti in presenza di qualunque uomo”. E’ quest’ultima, la regola d’oro, suggerita da molti Santi. S. Luigi ci offre infine un elenco delle virtù che “rallegrano gli Angeli Santi e che desiderano di vedere in noi”. Esse sono :” la castità, la povertà volontaria, le ferventi orazioni e soprattutto l’unione, la pace e la carità fraterna”. Di tutte queste virtù abbiamo luminosi esempi nella vita di S. Luigi Gonzaga, che perciò può considerarsi, non solo un vero maestro della devozione agli Angeli, ma anche un autentico testimone. Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui) |
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