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San Giovanni d’Avila e la conversione di Giovanni di Dio PDF Imprimir E-Mail
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San Giovanni d’Avila e la conversione di Giovanni di DioGiovanni d’Avila dopo pochi mesi dal suo arrivo a Granada, la Provvidenza gli preparò un incontro con un’anima privilegiata, nella cui conversione egli avrebbe svolto un ruolo di primo piano. Il 20 gennaio 1537, festa di san Sebastiano, Giovanni predicava nel santuario di questo santo, ad Albaicìn. Gran parte della città di Granada era accorsa per ascoltare il famoso predicatore. In mezzo all’uditorio c’era un portoghese di quarantacinque anni, di nome Giovanni Ciudad, che possedeva, a Porta Elvira, un negozio nel quale vendeva oggetti usati e libri a poco prezzo. La parola carismatica del Maestro d’Avila infiammò il cuore del Ciudad che subito si pentì dei suoi peccati. Il portoghese allora uscì dalla chiesa come un pazzo, gridando e proclamando l’enormità dei suoi peccati. Avila lo accolse con grande affetto e paternità. Cambiò il suo nome e decise di andare fino in fondo con eroismo nella sequela di Gesù Cristo. Quella fu una delle conversioni più clamorose realizzate da san Giovanni d’Avila.  ... 

...  Giovanni Ciudad nacque in Portogallo l’8 marzo 1495, ma trascorse la sua giovinezza in Spagna. Nel 1538 si stabilì a Granada, ove un giorno, un misterioso fanciullo lo soprannominò Giovanni di Dio e così fu sempre chiamato in seguito. Sensibile alla sofferenza degli ammalati, affittò una casa che trasformò in ospedale. Per curare gli ammalati si mise a fare la questua esclamando: “Fate bene fratelli”. All’inizio faceva tutto da solo, raccomandandosi all’aiuto dell’arcangelo Raffaele che invocava, non solo come “Medicina di Dio”, ma anche come guida e sostegno. Un mattino Giovanni si rese conto che l’acqua era insufficiente, prese delle brocche e si affrettò alla fontana che era abbastanza lontana dall’ospedale. Ritornò dopo diverse ore ovviamente in ritardo per sbrigare le faccende che di solito compiva di buon mattino. Ma ecco, al suo ritorno, trovò tutto il lavoro terminato: la casa era pulita, i letti rifatti, i piatti e gli altri utensili lavati, puliti e sistemati; il pane tagliato, la carne e le verdure cotte, in una parola, tutto nel miglior ordine possibile. Grande fu la sorpresa di Giovanni, quando, nel chiedere agli ammalati il nome di chi aveva fatto tutto ciò, tutti gli risposero che egli stesso l’aveva fatto e nessun altro che lui, perché essi non avevano visto nessun altro lavorare e non avevano ricevuto alcun servizio da qualche estraneo, ma solo da lui stesso. Giovanni si meravigliò, egli credette che essi lo dicessero per prenderlo in giro, ma gli ammalati erano a loro volta meravigliati della sorpresa di Giovanni e tutti confermarono di nuovo l’accaduto. Allora Giovanni esclamò: “Dio sia benedetto, miei fratelli, perché in verità, egli ama molto i poveri, perché manda i suoi angeli stessi per servirli”.

Poi aggiunse che san Raffaele gli aveva promesso, poco prima, di assisterlo nel suo ministero e che lo stesso Arcangelo era da Dio incaricato di essere il suo collaboratore nella cura dei malati.

Un’altra sera, Giovanni ritornava a casa dopo aver raccolto in città molta beneficenza per i suoi ammalati; all’improvviso s’imbatté in un povero che giaceva sfinito lungo la strada; era quasi notte e non si poteva lasciarlo lì abbandonato. Senza esitare Giovanni lo prese e se lo caricò sulle spalle cercando però di portare anche la beneficenza ricevuta. Purtroppo poco dopo cadde a terra poiché non riusciva a reggere entrambi i pesi. Fece allora grande rimproveri alla debolezza del suo corpo. Improvvisamente si presentò a lui un giovane dall’aspetto nobile che si offrì di aiutarlo e di condurlo all’ospedale e gli disse: “Voi non avete ragione di prendervela con il vostro corpo; perché appesantirlo così? Appoggiatevi a me”. Giunti all’ospedale il giovane si manifestò nella sua vera natura: “Giovanni, io sono l’Arcangelo Raffaele. Dio mi ha incaricato di prendermi cura di te e di tutti quelli che serviranno con te i poveri. Io sono mandato da Lui per aiutarti nella tua caritatevole opera affinché tu sappia bene quanto è gradita al Signore l’opera da te intrapresa, Egli mi ha incaricato di tenere un fedele conto di tutte le tue azioni e di tutte le elemosine fatte. Ed anche io sono incaricato di proteggere e di conservare tutti coloro che favoriranno l’impresa che tu hai assunto in favore dei poveri”. Detto questo, sparì.

Altri esempi del genere – che non ritengo necessario citare – testimoniano la grande familiarità che san Giovanni di Dio ebbe con San Raffaele che viene, dai suoi seguaci, i religiosi Ospedalieri detti “Fatebenefratelli”, considerato patrono e protettore dell’Ordine.

Giovanni di Dio morì l’8 marzo 1550, fu sepolto nella Basilica di Granada e sopra la sua tomba vegli la statua dell’arcangelo san Raffaele. Nel 1690, papa Alessandro VII lo ha proclamato santo.

Nella vita del fondatore dei Fatebenefratelli ha avuto un enorme influsso proprio Giovanni d’Avila. Francesco de Castro, il primo biografo di san Giovanni di Dio cita numerose volte il Maestro d’Avila, riporto a questo riguardo i capitoletti dal settimo al nono della sobria e limpida biografia che il de Castro scrisse tra il 1581 e il 1582 consultando molti che avevano conosciuto personalmente il santo fondatore degli ospedali cristiani: “Essendo, infatti, il buon Giovanni di Dio tutto preso dal suo lavoro, il Signore, che non dimenticava la grazia che doveva fargli, si ricordò di lui, rivolgendo i suoi occhi di misericordia sopra di lui ed innalzandolo ad un altro differente lavoro, facendolo, da gran peccatore, gran penitente e giusto, e dispensiere dei suoi poveri. E fu in questo modo. Nel giorno del beato martire san Sebastiano, nella città di Granata si faceva allora una festa solenne nel Romitorio dei Martiri, che si trova nella parte alta della città, di fronte all’Alhambra, ed avvenne che vi andò a predicare un eccellente uomo, maestro in teologia, chiamato il maestro Avila, luce e splendore di santità, e tale che,col suo buon esempio e con la sua dottrina , nostro Signore, in ogni genere e stato di persone, tanto che su questo si richiederebbe una narrazione molto particolareggiata. E siccome le sue prediche erano tali e tanto celebri, lo seguiva, con molta ragione, un gran numero di gente, e così in quel giorno; e fra gli altri andò ad ascoltarlo anche Giovanni di Dio. Siccome il terreno della sua anima era sufficientemente   disposto, per le confessioni e gli atti di carità che, come abbiamo detto, faceva, la parola di Dio in essa fruttificò.

Quell’uomo di Dio esaltava con vive ragioni il premio che il Signore aveva dato al suo santo martire per aver sofferto tanti tormenti per amor suo, concludendo da ciò fino a che punto un cristiano deve esporsi per servire il suo Signore e non offenderlo, ma patire piuttosto mille morti. Aiutato dalla grazia del Signore, che diede vita a quelle parole, queste si fissarono talmente nell’intimo del suo animo e furono così efficaci, che subito mostrarono la loro forza e la loro potenza; poiché, terminata la predica, uscì di là, come fuori di sé, chiedendo ad alta voce misericordia a Dio e, in dispregio di sé (come colui che davvero ormai stimava ciò che dev’essere stimato, si gettava a terra e batteva la testa sui muri, e  si strappava la barba e le sopracciglia, e faceva altre cose, le quali facilmente davano a tutti il sospetto che avesse perduto la ragione. Facendo salti e correndo, ripetendo le medesime parole, cominciò ad entrare in città, seguito da molta gente, e specialmente da ragazzi, che gli gridavano dietro: “Al pazzo! Al pazzo!”; e continuò fino alla sua dimore dove aveva bottega e quanto possedeva. Appena vi giunse, prese i libri che aveva e, con le mani e con i denti, ridusse in molti pezzi quelli che trattavano di cavalleria e di cose profane, e quelli, invece, che trattavano della vira dei santi e della buona dottrina li dava volentieri gratuitamente al primo che glieli chiedesse per amor di Dio. Lo stesso fece per le immagini e per tutto il resto che aveva in casa. E siccome coloro che ricevevano non venivano meno, in poco tempo rimase senza capitale e privo di tutti i beni materiali, perché non si limitò soltanto a questo, ma diede anche gli indumenti che aveva addosso, spogliandosene e dando ogni cosa, si che non gli rimase se non la camicia e un paio di calzoni, che ritenne per coprire la sua nudità.

E così, nudo, scalzo e col capo scoperto, tornò nuovamente a gridare per le strade principali di Granada, volendo, nudo, seguire Gesù Cristo nudo, e farsi totalmente povero per colui che, essendo la ricchezza di tutte le creature, si fece povero per mostrare ad esse il cammino dell’umiltà. In questo modo andò chiedendo misericordia al Signore per le strade di Granada, e seguendolo molta gente per vedere quello che faceva, giunse alla chiesa maggiore, dove, messosi in ginocchio, cominciò a gridare dicendo: “ Misericordia, misericordia, Signore Dio, di questo grande peccatore che vi ha offeso!. E graffiandosi, dandosi schiaffi e buttandosi a terra, non cessava di piangere e dar grida e chiedere al Signore perdono dei suoi peccati. Era tanto quello che faceva, che, essendo stato visto da persone e considerando che quella non era pazzia, come comunemente si giudicava, lo alzarono da terra e, confortandolo con amorevoli parole, lo condussero nella dimora del padre Avila, per la predica. Ed egli ordinò a tutta la gente che veniva con lui di andar fuori, e rimase nella camere solo con lui; e Giovanni di Dio si gettò in ginocchio ai suoi piedi, e dopo di avergli fatta una breve narrazione della sua vita passata, gli manifestò, con grandi segni di contrizione, i propri peccati, e gli disse di prenderlo sotto la sua protezione e la sua guida, giacché il Signore, per mezzo suo, aveva cominciato a fargli tante grazie, chè da quell’ora egli lo prendeva per padre suo e profeta del Signore, ed era disposto ad obbedirgli alla morte.

Il padre maestro Avila prendeva molte grazie a nostro Signore, vedendo i grandi segni di contrizione del nuovo penitente e il dolore che mostrava di sentire per avere offeso il Signore; e gli concesse di accoglierlo come figlio spirituale fin d’allora, e gli promise che avrebbe avuto cura di consigliargli ciò che sarebbe stato conveniente, dicendo: “Fratello Giovanni, confortatevi molto in nostro Signore Gesù Cristo e confidate nella sua misericordia, poiché avendo egli incominciato quest’opera, la povertà a compimento; e siate fedele e costante in ciò che avete iniziato. Non voltatevi indietro, né lasciatevi vincere dal demonio. Sappiate che coloro che combattono come bravi cavalieri nella milizia di questo Signore sino alla fine, godranno con lui nella gloria; e quelli che voltano le spalle come codardi, cadranno nelle mani dei loro ne,mici e periranno per sempre. Quando, poi, vi sentirete sconsolato e afflitto (il che non può mancare) per le fatiche e le tentazioni che sogliono incontrare coloro che incominciano a combattere le battaglie del Signore, venite da me, perché, conoscendo io le percosse e le ferite che più vi fanno soffrire, e le insidie con le quali maggiormente vi combatte l’avversario, con la grazia e il favore di nostro Signore troverete la medicina salutare che curi la vostra anima, e nuove forze per combattere contro i vostri nemici. Andate in pace, con la benedizione del Signore e mia, perché io confido nel Signore che non vi sarà negata la  sua misericordia”.

Giovanni di Dio rimase tanto consolato ed animato dalle parole e dai buoni consigli di quel santo uomo, che ricuperò di nuovo le forze per dispregiare se stesso e mortificare la propria carne e desiderare di essere da tutti preso e stimato pazzo e cattivo e degno di ogni disprezzo e disonore, per meglio servire e piacere a Gesù Cristo, poiché viveva solo sotto il suo sguardo, e per meglio coprire con questa santa cautela la grazia che aveva ricevuto dalla sua mano. E per questo, uscendo dal padre Avila, scelse come mezzo di andare a piazza Bibarrambla, dove si gettò e si arrotolò tutto in una pozza di fango, cominciò a confessare ad alta voce, davanti a tutti quelli che ,o guardavano (ed erano molti) i peccati che gli venivano in mente, dicendo: “Io sono stato un grandissimo peccatore verso il mio Dio, e l’ho offeso in questo  e quest’altro peccato. Un traditore che ha fatto questo, quindi, che cosa merita se non di essere da tutti percosso e maltrattato e tenuto per il più vile del mondo e gettato nel fango e nel loto dove vengono buttate le immondizie?”.

Tutta la gente del volgo, vedendo ciò, credette che avesse perso la ragione. Ma siccome egli era ormai tutto infiammato della grazia del Signore e desiderava morire per lui ed essere vilipeso e disprezzato da tutti, perché di fatto lo facessero, uscì dal fango e, così come stava, cominciò a correre per le principali strade della città, saltando e facendo mostra di essere pazzo. Al vederlo, i ragazzi e una numerosa plebaglia cominciarono a seguirlo, gridando e schiamazzando e tirandogli sassi e fango ed altre molte immondizie. Ma egli soffriva tutto con molta pazienza e contentezza, come se fosse a una festa, sembrandogli gran fortuna poter giungere a soddisfare i suoi desideri di patire qualche cosa per colui che tanto amava, e senza fare del male a nessuno. Portava una croce di legno nelle mani e la dava a baciare a tutti. E se qualcuno gli diceva di baciare la terra per amore di Gesù, obbediva subito e lo faceva , anche se c’era molto fango e glielo avesse comandato un fanciullo. Fece questo per alcuni giorni con tanto fervore, che molte volte cadeva in terra stanco e stordito dallo schiamazzo e dagli urtoni e dalle percosse che gli davano, poiché usava tanta abilità nel fingere la pazzia, che realmente quasi tutti lo cedettero pazzo.

Era, poi, tanto debole per le continue sofferenze che gli infliggevano e per il poco nutrimento, che non poteva reggersi in piedi, e ciò nonostante, non era ancora sazio di obbrobri, ed offriva con volto lieto (senza lagnarsi né protestare) il proprio corpo alle sassate e alle percosse dei ragazzi. Avendolo visto in tale stato due uomini dabbene della città, mossi a compassione di lui, lo presero per mano, e togliendolo dallo schiamazzo del volgo, lo condussero all’Ospedale Reale, che è il luogo dove vengono rinchiusi e curati i pazzi della città, e pregarono il maggiordomo di volerlo ricoverare e farlo curare, mettendolo in una stanza, dove non vedesse gente e potesse riposare, perché così forse si sarebbe guarito dalla pazzia che lo aveva colpito. Il maggiordomo, poiché lo aveva visto andare per la città e soffrire quel tormento, lo ricevette subito ed ordinò a un infermiere di ricoverarlo. Avendolo visto così maltrattato, con gli indumenti a brandelli e pieno di ferite e lividure per le percosse e le sassate, lo presero subito in cura. E sebbene all’inizio procurarono di trattarlo con buone maniere perché potesse tornare in sé e non soccombesse, dato che la principale cura che ivi si pratica a questi tali consiste in sferzate e nel contenerli in aspri vincoli, e cose simili, affinché, mediante il dolore e il castigo, perdano ferocia e tornino in sé, gli legarono i piedi e le mani, e nudo, con un flagello a doppia corda, gli diedero una buona dose di frustate.

Siccome, però, la sua infermità era di essere ferito dall’amore di Gesù Cristo, affinché , per suo amore, gli dessero più frustaste e lo trattassero peggio, cominciò a dire in questo modo: “Oh, tradito nemici della virtù, perché trattate così male e con tanta crudeltà questi poveri infelici e fratelli miei che si trovano in questa casa di Dio insieme a me? Non sarebbe meglio che aveste compassione di essi e delle loro sofferenze, e li puliste e deste loro da mangiare con più carità ed amore di quello che non fate, poiché i Re Cattolici per questo lasciarono tutte le rendite che occorrevano?” . Udendo ciò gli infermieri, sembrando loro che alla pazzia aggiungesse la malizia, e volendolo curare dell’una e dall’altra, alla flagellazione aggiunsero altri poderosi colpi, più di quanti ne davano a coloro che ritenevano soltanto pazzi. Non per questo egli cessava sotto quel pretesto, di rimproverarli per le negligenze che vedeva commettere da essi. Ma tutto gli veniva ricambiato con una doppia dose di frustate. E così, in questo modo, patì molto più di quanto possa dirsi, offrendo in cuor suo tutto a colui per amore del quale soffriva e per il quale si era messo in quell’impresa.

Allorché il maestro Avila seppe che Giovanni di Dio, preso per pazzo, si trovava all’Ospedale Reale, conoscendo bene la causa della sua infermità e pazzia, inviò subito un suo discepolo a visitarlo e dirgli che si rallegrava molto di ogni suo bene, vedendo che cominciava a patire qualche cosa per amore di Gesù Cristo; che da parte sua lo pregava, per ,lo stesso Signore, di comportarsi come un buono e coraggioso soldato, esponendo la vita per il suo re e signore, e che ricevesse con umiltà  pazienza tutte le sofferenze che la divina Maestà gli avrebbe mandato; poiché, se considerava quanto il nostro Redentore patì sulla croce, qualunque tormento gli sarebbe sembrato lieve; e dicendogli inoltre: “Addestratevi, fratello Giovanni, ora ch ne avete il tempo, per quanto andrete per il mondo a combattere contro i tre nemici , ed abbiate fiducia che il Signore non vi abbandonerà”. Il fratello Giovanni riteneva come un gran favore,  e gli era di molte consolazione, che il suo buon padre e maestro Avila mandasse a visitarlo e si ricordasse di lui, che stava in quella prigione, dimenticato da tutti; e che solo egli, dopo il Signore, ne avesse memoria per consolarlo nelle sue sofferenze. E perciò piangeva per la gioia che sentiva di questa grazia che il Signore gli faceva, e rispondeva così: “Dita al mio buon padre che Gesù Cristo lo visiti e gli ripaghi la buona opera che sempre mi fa; che il suo schiavo, acquistato in buona guerra, è qui che spera nella misericordia del Signore; che sono servo cattivo e neghittoso; che, per amore di nostro Signore, non si dimentichi di raccomandarmi alla divina Maestà nelle sue preghiere, perché così vivrò contento e spero che non mi mancherà il suo aiuto”. Con queste e simili parole, i due si visitavano segretamente e si intendevano l’un altro.

Gli infermieri dell’ospedale si prendevano molto cura di lui,e di quando in quando, vedendolo alterato, ed egli (come si è detto) ne dava loro occasione, non lasciavano di dargli le sue frustate, come agli altri, con l’intenzione di vederlo guarito. Ed egli le riceveva allegramente e diceva: “Datele, fratelli, a questa carne traditrice, nemica del bene, che è stata causa di ogni mio male; ed avendolo io obbedito, è ragionevole che preghiamo tutti e due, perché tutti e due peccammo”. E vedendo castigare gli infermi, che erano pazzi e stavano insieme con lui, diceva: “Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi dia la grazia di avere io un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonati e privi della ragione, e servirli come desidero io”.

E nostro Signore lo esaudì pienamente, come si vedrà in seguito. Trascorsi alcuni giorni, da quando Giovanni di Dio stava nell’ospedale, patendo queste e, molte altre sofferenze, per meglio dissimulare e mettere i  pratica il desiderio e l’ansia che aveva di servire nostro Signore nei suoi poveri, e sembrandogli ormai tempo, cominciò a far vedere che stava quieto e tranquillo, e a rendere grazie a Dio con lacrime e sospiri e a dire: “Sia benedetto nostro Signore, perché mi sento guarito e libero, e meglio di quanto io merito, dal dolore dall’angustia che sentivo nel mio cuore nei giorni passati”. Il maggiordomo e gli altri ufficiali ebbero molto piacere di vederlo più riposato e sentirgli dire ce stava meglio; e perciò gli tolsero i vincoli e gli diedero libertà di andare sciolto per la casa. Ed egli si mise subito, senza attendere che gi dicessero qualcosa, a servire i poveri in tutte le loro necessità, con molto amore, strofinando e scopando e pulendo i servizi. Gli infermieri provavano molta contentezza nel vederlo che, libero da quella malattia, aveva così bene riacquistata la ragione, che li precedeva tutti nella carità e diligenza, con cui serviva i poveri; e ne rendevano grazie a nostro Signore.” Di San Giovanni d’Avila ci rimangono te lettere scritte a san Giovanni di Dio per guidarlo nella via della perfezione e nelle opere di carità ma nessuna delle diverse che quest’ultimo scrisse a lui.

Riporto la lettera 46 che il Maestro d’Avila scrisse a Giovanni di Dio, nella quale lo incoraggia alla perseveranza nel servizio di Dio e gli raccomanda grande prudenza negli affari che dovrà trattare: “ Ho ricevuto la vostra lettera: non pensiate di disturbarmi perché mi scrivete a lungo, giacché, dato che l’amore è molto, non può certo sembrare lunga la lettera. Vi chiedo che vi ricordiate di far si, quando mi scrivete o quando io avrò notizie vostre, ch’io mi possa rallegrare di avere le nuove che desidero. E giacché voi desiderate non darmi motivo di colera, non siate pigro nel metterlo in pratica, anche se vi costa qualcosa, ché l’amore non assomiglia alle parole, ma alle opere; ed esso si mostra di più, quando più duole ciò che facciamo per coloro che amiamo, osservate, fratello, quanto costò a nostro Signore il bene che mise nella vostra anima. E come, se vi avesse dato una gioia che gli costasse il suo sangue, la metteste a buon frutto, così dovete fare il bene che vi diede nella vostra anima; giacché per questo vi fu dato, perché Egli lo guadagnò, non in un modo qualsiasi, ma lottando per voi sul monte Calvario e perdendo la vita perché voi la poteste acquistare. Quindi, che senso avrebbe che voi abbandonaste sotto i piedi dei porci ciò che nostro Signore vi diede, perché foste simile agli angeli? Cosa accadrebbe se perdeste quella bellezza che Egli mette nelle anime, che le rende a Lui più gradevoli e più belle perfino del sole? Meglio morire che non essere leali con nostro Signore per essere fedeli è necessario essere prudenti, perché così dice nostro Signore che il suo servo, da Lui messo a capo della sua famiglia, deve essere fidato e prudente; perché , se non vi è prudenza, l’uomo cade in mille cose sgradite a Dio e la sua nequizia viene castigate con il dovuto castigo. Per questo dobbiamo fare esperienza per il futuro. E basta che l’uomo sia stolto una volta, perché impari la lezione per tutta la vita.

Giacché il cane bastonato non osa ritornare dove fu bastonato, né il passero alla gabbietta da cui prese il volo. Perché, se il saggio imparta la lezione dell’esperienza altrui e lo stolto dalla propria, cosa sarà di colui che, anche dopo esserne uscito malconcio, non impara la lezione? Che cosa merita questo tale, se non che il Signore lo abbandoni del tutto, perché sia castigato con i più stolti che vanno all’inferno? Colui che ha ricevuto doni da Dio ed è stato da Lui so trattato all’inferno, e ha ricevuto pegni celesti, ha un grande obbligo di vegliare per la propria salvezza e per l’onore di Dio. E più avanziamo nella vita, più motivi abbiamo di migliorare nelle nostre buone abitudini, giacché a poco serve aver iniziato bene, se finiamo male. E prova grande collera un cacciatore che, subito dopo aver preso un rapace, se lo vede scappare di mano; e queste collera è ben più grande della pena che prova per quello che non ha mai preso. Così nostro Signore, al vedere un’anima che Egli ha guadagnata, mondata, e fatta suo tempio, allontanarsi con il suo nemico, il demonio, si offende di più che per altre, che non sono mai state sue. E il demonio si rallegra maggiormente di fare sue queste anime, che prima servivano Dio, che non di (fare sue) quelle che prima erano cattive.

Per questo fratello, è ragionevole che apriamo gli occhi, e teniamo ben alta la bandiera di nostro Signore e non gli procuriamo motivo di collere, né procuriamo al demonio questo piacere di vederci lasciare il cammino che rimane. Chiamate nostro Signore dal profondo del vostro cuore, e non dimenticate di pregare e di andare a messa, che è cosa molta buona; guardate dove mettete i piedi, si da non fare male a voi stessi per fare del bene agli altri. La vostra anima non perda il raccoglimento; giacché, se viene a trovarsi affamata, sconsolata e cattiva, dove va a finire tutto il bene che fate agli altri? Giacché dice nostro Signore: Quale vantaggio infatti avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? Comprendete che la cosa più gradita che potete presentare a Dio è mantenere la vostr4a anima nel rispetto di Lui; e la più grande opera di misericordia che potete fare è mantenere la vostra anima gradita a Lui.

Quindi vegliate e pregate, come disse nostro Signore; perché il demonio non vi sorprenda impreparato, ché egli non fa altro che cercare ogni vostro punto debole e tendervi insidie per farvi cadere. Mi sembra bene che andiate a corte a fare le vostre richieste da quei signori di Castiglia, quanto meno perché non aumentiate i vostri debiti rimanendo lì. E abbiate riguardo per voi, mentre siete lì, e fuori da lì, in modo da rendere servizio a nostro Signore e da guadagnarvi la gloria per la quale nostro Signore vi ha allevato. Egli sia sempre il vostro guadagno e la vostra protezione. Amen. Codesta persona che vi pregava di potervi pagare il debito e caricarvi di un altro onere, sarà sicuramente il demonio in persona, che vi voleva ingannare, e dicendovi: “Non è peccato”, vorrebbe far si che perdeste la vocazione per la quale Dio vi ha chiamato. San Paolo dice che ciascuno si comporti in maniera degna della vocazione che ha ricevuto da Dio; perché, se Dio desidera che io lo serva da cameriere, e io non voglio far altro che guardare i maiali, allora peccherò contro di Lui, e dorò rendere conto a Lui e dovrò rendere conto a Lui di tutto ciò che potrei guadagnare svolgendo l’altro compito. E così, fratello se un essere splendente vi apparisse e, presentandosi come un angelo di Dio, vi portasse siffatta ambasciata, ditegli che non è altri che il diavolo, e che voi non volete lasciare il cammino sul quale Dio vi ha messo, ché vi disse nel Vangelo: Chi persevererà sino alla fine sarà salvato. Leggete queste righe molte volte, e Dio vi guardi da ogni male. Amen. Non ho vestiti da mandarvi ora; dirò delle messe per voi, al loro posto, ed esse vi copriranno ancor meglio”.

Don Marcello Stanzione (Ha scritto e pubblicato clicca qui)

 
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